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18 luglio 1943: Amalfi sotto le bombe, quelle 11 vittime dimenticate

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di SALVATORE AMATO

In un recente volume pubblicato per le edizioni Officine Zefiro, Rita Di Lieto, nel proporre una serie di testimonianze orali e documentarie sul secondo conflitto mondiale vissuto dai cittadini della Costa d’Amalfi, ha fornito ulteriori elementi per ricostruire la drammatica incursione aerea subita dalla città di Amalfi, nella notte tra il 17 e il 18 luglio 1943, a pochi giorni dallo sbarco alleato in Sicilia.

Il 19 luglio successivo, il podestà Raffaele Camera d’Afflitto forniva accurata relazione sull’episodio al Prefetto di Salerno.

Dopo aver avvertito alcuni scoppi in lontananza, che lasciavano presumere si trattasse di bombe cadute in mare, un apparecchio quadrimotore si era abbassato ad una quota non superiore ai 200 metri sganciando cinque bombe sul centro abitato di Amalfi, allontanandosi sul mare in direzione est.

Gli spezzoni lanciati caddero «sul palazzo di proprietà di Girolamo Gambardella, l’altra in una via laterale al palazzo, la terza fra il palazzo Gambardella e il monumento a Flavio Gioia, una quarta innanzi al monumento e una quinta sul frangionde costruito per la difesa della piazza».

L’incursione provocò la morte di undici persone, a partire dai militari Antonio Russo, Vincenzo Marra, Gennaro Tatillo, Pietro Culicchi, Pasquale Ienco, Andrea Abbagnara e Alberto Smiraglia.  Le vittime civili furono la commerciante Maria Carmela Benissimo, il telefonista Giuseppe Amatruda e i giovani fratelli Francesco e Antonietta Fiorenza.

Dopo lo scoppio degli spezzoni, accorsero sul posto il podestà, il Segretario comunale, il Segretario del Fascio, il Comandante della sezione dei carabinieri, il Capitano comandante il distaccamento di fanteria con i suoi ufficiali e soldati, Tommaso Paolillo, Lorenzo Gambardella, Antonio De Rosa e Giuseppe Nastri per prestare i primi soccorsi.

I feriti furono immediatamente trasportati all’Ospedale di Cava con auto private con un autobus della Sita, «i cui dirigenti si misero subito a disposizione».

Venne effettuata, contestualmente, anche la verifica di stabilità degli edifici colpiti, a cura dell’appaltatore Salvatore Savo e, nell’opera di soccorso alla popolazione colpita, si distinse l’impegno dei vigili urbani e dei dipendenti comunali.

Nella relazione era segnalata anche la «nobile attività del clero di Amalfi, specialmente quella del giovane sacerdote Don Mario Di Lieto (poi vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola n.d.r.), per l’assistenza sanitaria e morale dei feriti e dei congiunti dei caduti». 

I corpi delle vittime vennero ricomposti nella chiesa di Santa Maria di Portosalvo, dove il Pretore, fra i primi ad accorrere, ne constatò la morte, ed erano stati coperti con le bandiere.

L’Arcivescovo di Amalfi, il Servo di Dio Ercolano Marini, trasferito per motivi di sicurezza nei paesi collinari per evitare i bombardamenti, era stato raggiunto dalla notizia al termine della celebrazione di una professione religiosa nel monastero ravellese di Santa Chiara.

Durante i funerali aveva tenuto una breve allocuzione perché – scriveva – «nei grandi dolori la parola si spegne essendo impari a dirne la larghezza e ad esprimerne l’intensità», di cui si riporta il testo per l’eccezionalità della circostanza:

«Fratelli e figliuoli,

vi parlerò con brevità lapidaria perché nei grandi dolori la parola si spegne essendo impari a dirne la larghezza e ad esprimerne l’intensità. Quest’anno non mi sono allontanato dalla diocesi per recarmi, come al solito, nel seno della mia famiglia, benché dopo la recente malattia, lo richiedesse la mia sanità ancora malferma, e mi sono contentato di trattenermi nelle varie contrade della mia giurisdizione per essere vicino a voi e dividere con voi le trepidazioni e i sacrifici.

Ieri a Ravello, dopo aver presieduto la professione religiosa di una nuova clarissa, mi fu annunciata la tragedia sanguinosa svoltasi ad Amalfi la notte precedente e ne fui scosso profondamente. Pensai alle vittime di una morte così paurosamente penosa; pensai ai feriti che ancora spasimano nelle membra dilacerate; pensai a tutta la cittadinanza in cordoglio e tremore. La visione di spasimo mi ha sospinto in atto e mi ha fatto pregare. Questa mattina ho applicato la santa messa per i nostri morti, per i feriti e per voi. In mezzo alla descrizione luttuosa mi è giunta una notizia altrice di conforto; i sacerdoti di Amalfi e quelli dell’Orfanotrofio, con il vicario generale, si sono prodigati a vantaggio dei feriti; hanno loro amministrato i santissimi sacramenti confortandoli con motivi di speranza e di fede, e hanno trasportato a braccia i cadaveri insanguinati. Anche i RR.CC. al comando del maresciallo maggiore sono stati attivamente presenti e amorosamente operanti. Agli uni e agli altri e a qualunque altro che ha prestato l’opera benefica, la mia ammirazione e il mio plauso. Il mio cuore e il mio sguardo ora si protendono verso le numerose bare contenenti i cadaveri straziati delle recenti vittime. Mi inchino commosso dinanzi ad esse; tutte sono degne della nostra commiserazione e del nostro compianto, però meritano una speciale considerazione quelle dei RR. CC. e del fante che hanno incontrata fine così tormentosa nel compimento del loro arduo dovere.

E con ciò faccio punto, perché il silenzio, che è il linguaggio dei grandi dolori e delle profonde agonie, è la vera parola dell’ora presente. Io amo il silenzio e lo preferisco a tutte le espressioni dell’eloquenza, perché il silenzio, il mio silenzio può dirvi e vi dice ciò che non può dirvi la mia parola.

Intanto eleviamoci con l’animo amoroso e fidente verso Dio, Padre di misericordia, affinché dia luce e riposo a questi defunti a noi cari, risani i feriti, animi e difenda voi tutti, o cari figli di Amalfi.

Il sangue cittadini or ora versato, che va a fondersi con il sangue umano che violentemente si sparge in tutte le nazioni, gridi al trono di Dio, come gridava il sangue di Abele, figura di Cristo, e implori che su questo povero mondo sconvolto abbia preso a sorridere la pace, la santa pace di Cristo che si basa sulla verità, sulla giustizia e sull’amore».

A margine degli eventi, il Podestà cittadino chiedeva a gran voce l’urgenza di dotare il territorio di un pronto soccorso e a provvedere ad una adeguata organizzazione sanitaria.

redazione
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