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26 ottobre. Ravello celebra il Beato Bonaventura da Potenza: il “martire dell’obbedienza”

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Ravello celebra il Beato Bonaventura da Potenza. Domani, sabato 26 ottobre, la comunità di Ravello si riunisce attorno alla mensa eucaristica per celebrare il “Martire dell’obbedienza”, esempio di perfezione evangelica, di ascesi, di santità, testimone della fede che si è speso totalmente per annunciare la lieta novella ai poveri e per servire Cristo nei fratelli bisognosi.

Presso la chiesa di San Francesco, dove dal 1711 riposano le spoglie del Beato Bonaventura, le celebrazioni eucaristiche scandiranno il giorno festivo.

Alle 8.30 Santa Messa con la benedizione del pane, a cui seguirà la celebrazione delle 11.00 presieduta dal ministro provinciale, fra Cosimo Antonino. Previsto l’arrivo di fedeli dal capoluogo lucano con la delegazione del Comune di Potenza a rinsaldare il gemellaggio stretto con Ravello.

Alle 18,00 la processione della nuova statua e al ritorno Santa Messa a cui seguirà un francescano momento di convivialità.

Il Beato Bonaventura da Potenza, al secolo Carlo Antonio Gerardo Lavanga, nacque a Potenza nel 1651; figlio di “povera gente ornata di singolare onestà di costumi e d’insigne cristiana pietà”, lasciò la città natale all’età di 15 anni (per non ritornarvi mai più da vivo), cominciando il novizio nei Minori Conventuali di Nocera Inferiore. Trascorso il periodo di preparazione tra Aversa, Maddaloni e l’Irpinia, nel 1675, ad Amalfi, sotto la guida di padre Domenico Girardelli, venne ordinato sacerdote.

Fu quindi inviato in diversi conventi, tra i quali quelli di Napoli, Ravello, Ischia, Sorrento e Nocera Inferiore, dove divenne responsabile dei novizi. Morì il 26 di ottobre del 1711, in una cella del convento di San Francesco a Ravello, per i postumi di un intervento resosi necessario per l’asportare un cancro alla gamba.

A lui si riconducono molti miracoli: si racconta che abbracciò un lebbroso che immediatamente guarì dalla sua malattia. Venne proclamato beato da papa Pio VI nel 1775. Oggi il Beato Bonaventura riposa nella meravigliosa urna posta sotto l’altare maggiore della chiesa di San Francesco.

ULTIMA DESTINAZIONE: RAVELLO

Si era nel cuore del rigido inverno quando, nel 1710, Padre Bonaventura, in qualità di Superiore, insieme ad altri confratelli raggiunse, percorrendo vie accidentate, una Ravello solitaria, che nelle Visite ad limina appariva “una città con edifici caduti o cadenti e in gran parte rasa al suolo”.

Il Vescovo Giuseppe Maria Perrimezzi (1707-1714), dei Minimi di San Francesco di Paola, celebre predicatore e scrittore, aveva infatti richiesto espressamente al Commissario della Religiosa Provincia di Napoli la riapertura del convento francescano di Ravello già soppresso nel 1652.

Nella città costiera il frate potentino avrebbe terminato una lunga itineranza, spesa totalmente nel soccorso ai poveri e agli ammalati senza, tuttavia, far mancare una parola di conforto ai nobili che, con frequenza, si rivolgevano a lui. Amalfi, Napoli, Sorrento, Capri e Ischia, sono solo alcune tappe di un itinerario spirituale, prima che fisico, volto all’imitazione di Cristo sull’esempio del Serafico Padre San Francesco e costellato di eventi prodigiosi, prima di essere nominato Maestro dei Novizi nel Convento di Nocera Inferiore.

A Ravello il pensiero del Beato andava spesso alle parole del suo maestro spirituale, il Venerabile Domenico Girardelli da Muro Lucano, altro figlio esemplare della provincia francescana conventuale di Napoli, morto ad Amalfi nel 1683 e sepolto nella chiesa del convento di San Francesco.

Egli, tre anni prima della dipartita, nel momento del commiato aveva profetizzato a Padre Bonaventura la riapertura della casa conventuale della “Città di Ravello col favore di un vescovo amantissimo dei nostri” dove avrebbe trascorso gli ultimi anni prima del suo ritorno alla casa del Padre, “così i corpi sarebbero stati vicini dopo la morte, come gli animi erano stati in vita congiunti”.

Nonostante il convento fosse desolato e privo di tutto, persino le suppellettili ecclesiastiche erano difatti indecorose, il Padre Superiore riteneva che non mancava “ciò ch’era necessario e che in convento aveva assai più di quello che si sarebbe meritato”.

Il Vescovo lo nominò suo confessore e gli affidò la direzione spirituale dei due monasteri delle “Sacre Vergini nobili, principal coronamento dell’angusta sua Diocesi”.

redazione
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