di DONATO SARNO
La prima costruzione a Maiori in cemento armato fu un palazzetto costruito lungo il Corso Reginna, all’interno del quale, durante l’alluvione che colpì la Città nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 1954, trovarono tragicamente la morte diverse persone. Il palazzetto era stato voluto e realizzato alcuni anni prima dall’ingegnere Gennaro Conforti, di cui è utile tracciare una breve biografia.
Nato a Maiori il 18 settembre 1875, egli, immediatamente dopo il parto, era stato collocato nella ruota degli esposti, in quanto frutto di una relazione sentimentale tra due giovani, entrambi non sposati e di condizione sociale diseguale. Il padre, infatti, don Venanzio Conforti, di anni ventisei, apparteneva ad una importante e distinta famiglia che circa un secolo prima si era trasferita da Calvanico a Maiori in persona del suo bisnonno Venanzio (1754 – 1822). Un suo parente, don Francesco Conforti, era in quel momento il Sindaco di Maiori e un suo zio, anch’egli a nome Venanzio, era Arciprete della Collegiata. Per linea femminile, poi, il giovane Venanzio apparteneva alle famiglie Confalone e Cimini, egualmente distinte. Rispetto a lui, invece, la madre del piccolo, Maria d’Uva, di anni ventuno, era di ceto inferiore. Per una donna era allora oltremodo disdicevole e riprovevole avere una relazione o un figlio prima di essere sposata; l’unico modo per rimediare alla vergogna era quello di contrarre subito – ovviamente in tono dismesso e senza l’abito bianco – un matrimonio riparatore, ma ciò non era facile quando, come nel caso di specie, vi ostava la disparità sociale. Di qui la decisione di ricorrere alla ruota, cosa all’epoca alquanto frequente tutte le volte in cui non poteva addivenirsi alle nozze ovvero la madre non aveva i mezzi per mantenere il figlio: una impiegata comunale, chiamata la ricevitrice dei proietti, prestava al neonato le prime cure, in attesa che fosse poi adottato da qualche famiglia, ed in tal maniera si evitava il rischio di una sua soppressione prima o dopo il parto. A tutti i neonati esposti nella ruota, siccome non si sapeva chi fossero i genitori, si imponevano nomi e cognomi di fantasia e così capitò anche al neonato di cui parliamo: egli, più precisamente, ebbe il nome di Gennaro, in quanto nato la vigilia della festa di San Gennaro, ed il cognome di Settembre, perché venuto alla luce appunto nel mese di settembre, e con questo nome e questo cognome fu battezzato.
Dopo però appena dieci giorni, i genitori del piccolo, che evidentemente non riuscivano a staccarsi dalla loro creatura, si presentarono innanzi all’ormai ultraottantenne notaio e storico di Maiori don Filippo Cerasuoli e con atto ufficiale da lui rogato in data 28 settembre 1875 riconobbero il bambino ad ogni effetto come loro figlio naturale, in quanto nato fuori dal matrimonio. Per effetto dell’operato riconoscimento, al bambino, pur mantenendosi il nome di Gennaro, fu attribuito il cognome paterno Conforti, in luogo di quello di Settembre. Dopo poche settimane i genitori si sposarono, regolarizzando la loro relazione e attribuendo di conseguenza a Gennaro la qualità di figlio legittimo: l’amore tra i due genitori e dei due genitori verso il figlio prevalsero alfine sulle resistenze familiari dovute alla disparità di ceto.
Gennaro Conforti era un ragazzo magro, ma intelligente, studioso ed inclinato alla matematica, tanto da laurearsi in ingegneria in un’epoca in cui, anche tra i ceti agiati, i laureati erano pochissimi. L’attività professionale lo portò a viaggiare, anche all’estero: lavorando, infatti, presso la Pirelli ebbe modo di soggiornare per alcuni periodi in Inghilterra. A Maiori, in cui aveva diverse proprietà, egli mise a frutto le sue conoscenze a servizio del proprio paese, adoperandosi tra l’altro, nella veste di consigliere comunale, per portarvi l’energia elettrica e per contribuire al ripristino dei danni prodotti dal nubifragio del 1910. Rimasto a lungo celibe, solo sul finire del 1927 convolò a nozze con donna Rosa Conforti, già vedova e sua parente (era una cugina del padre), di dieci anni più giovane e dalla quale non ebbe figli.Nell’agosto del 1943 l’ingegnere Conforti si incontrò con un gruppo di ufficiali angloamericani, venuti in tutta segretezza ed in borghese a Maiori per verificare se il Corso Reginna era idoneo a sopportare il transito dei carrarmati in vista dello sbarco militare che andavasi programmando, e fornì loro tutte le informazioni tecniche a riguardo necessarie. Come si è detto all’inizio, l’ingegnere fece costruire, in un’area di sua proprietà,immediatamente a nord dell’imbocco di Via degli Orti con il Corso Reginna, il primo edificio in cemento armato, scegliendolo come sua abitazione: si trattava di palazzetto di forma sottile e rettangolare, sviluppantesi in altezza su più piani, con retrostante giardino, attualmente occupato dall’Ufficio Postale. Anche da anziano, l’ingegnere manteneva una mente lucida: non a caso mia madre Matilde Conforti, sua parente alla lontana, da bambina ebbe da lui, in tale palazzetto, proficue ripetizioni di matematica.
Nella terribile notte dell’alluvione tra il 25 e il 26 ottobre 1954, molte persone, vicini e parenti, si rifugiarono, anche su invito dell’ingegnere Conforti, nella sua abitazione: tutti erano convinti – e ancor più lo era lo stesso ingegnere, forte delle sue conoscenze tecniche – che l’edificio, proprio perché in cemento armato, non avrebbe subito i crolli che i vecchi palazzi iniziavano a patire e che quindi, restando in quel palazzetto, essi sarebbero stati al sicuro, evitando di uscire fuori al buio, sotto la pioggia incalzante, tra il fiume in piena e i boati. “Appena farà giorno – ripeteva l’ingegnere ai presenti – vedremo molti morti”. Purtroppo le cose andarono diversamente, a comprova dell’imprevedibilità delle forze della natura. In effetti il palazzetto, contrariamente alle vecchie case, restò compatto come si pensava, ma la furia delle acque, oltre a fare saltare la copertura del Corso Reginna, erose le fondamenta del palazzetto, che cadde integro, ma rovinando al suolo causò il decesso di molti di quelli che lì si trovavano, a cominciare dallo stesso ingegnere Conforti e da sua moglie. Le fotografie del palazzetto abbattuto scattate nei giorni successivi esprimono efficacemente quello che era successo
Purtroppo, a settanta esatti anni di distanza dal nubifragio del 1954, non c’è stato a Maiori quel momento di approfondimento e di pubblica commemorazione che nei decenni scorsi non era mancato e che altri Comuni hanno invece organizzato. Ricordare pertanto fatti e protagonisti di momenti così terribili costituisce sia un doveroso omaggio alle vittime sia un opportuno monito per evitare che episodi simili abbiano in futuro a verificarsi.