di OLIMPIA GARGANO
Che Atrani sia un presepe naturale, lo scenario perfetto per ambientarvi l’apparizione della stella cometa nella notte di Natale è noto da tempo non solo agli abitanti del luogo ma anche ai tanti spettatori che da ogni dove vengono ad assistere a questo evento fiabesco, le cui origini si perdono in tempi indefiniti. Ma proprio in questi giorni, dai tesori sommersi negli arcipelaghi letterari è affiorata una testimonianza finora inedita che permette di datare con precisione quella che a nostra conoscenza è la prima testimonianza in lingua inglese del Natale ad Atrani, contenuta in un racconto dell’antropologo Herbert Philip Fitzgerald Marriott (1865-1939). Il testo fu pubblicato nel 1892, lo traduciamo qui in anteprima per i lettori del Quotidiano della Costiera.
Come altri intellettuali del suo tempo, H. P.Fitzgerald Marriott era uno studioso a tutto campo. I suoi interessi andavano dall’archeologia all’etnologia alla psicologia. Scrisse anche un romanzo di fantascienza, The Iron Detective of Germany: A Comedy of the Near Future (1908), la storia di un investigatore – robot dotato di telepatia.
Dal 1889 al 1895 fu a Pompei, per studiare gli scavi archeologici. I risultati delle sue indagini furono raccolti nel volume Facts about Pompei: its masons’ marks, town walls, houses, and portraits (1895) dove annotò i marchi lapidari, le iscrizioni incise nelle pietre durante i lavori edilizi dell’antichità. Fu in quella occasione che venne anche in Costiera, e in una casa atranese assisté alla Calata della Stella di cui leggeremo fra poco.
Il testo fu pubblicato nel numero di maggio-agosto 1892 della rivista londinese The Month, un periodico di area cattolica che ebbe tra le sue firme nomi famosi quali Graham Greene (di cui forse molti ricordano romanzi come Il terzo uomo, Il nostro agente all’Avana), Edith Sitwell, Muriel Spark, e altri. Il racconto è intitolato Amalfi and its inhabitants, e si apre con la più classica delle vedute, quella di Amalfi dai giardini dell’Hotel Cappuccini. Dettaglio non trascurabile, H. P. Fitzgerald Marriott annotò i suoi ricordi di viaggio su carta a mano di Amalfi, di cui aveva comprato numerose risme.
Amalfi, come si vede in una bella giornata dai giardini dell’antico Convento dei Cappuccini, ora ahimè diventato hotel, sembra un gioiello incastonato nelle aspre rocce che la circondano. Grandi scogliere si estendono nelle valli lungo tutta la costa fino al mare, che con la sua assolata superficie color zaffiro e le sue baie di smeraldo, che a volte assomigliano ai più profondi colori del petto del pavone, fa davvero sembrare Amalfi un gioiello luminoso. In alto crescono cactus e fichi d’india, che si arrampicano sullepericolose sporgenze rocciose alle spalle del monastero e della città, e con la loro audace capacità di arrampicarsi sui precipizi sporgenti rendono verdi le alterocce grigio ruggine. Olivi, euforbie, mirti, crescono tutti qui, su terrazze e in ogni punto panoramico, e l’aria ha il profumo dolce del narciso o, in altri periodi dell’anno, di fiori d’arancio o di reseda.
Come tanti suoi contemporanei, per documentarsi sulla storia locale anche Fitzgerald Marriott aveva fatto visita al “colto Cavaliere Matteo Camera”, con cui ebbe “molte interessanti conversazioni”. Meno usuale invece, e tanto più interessante, il suo desiderio di conoscere la realtà quotidiana interagendo direttamente con le persone del luogo.
Ma non è solo negli alberghi alla moda o visitando antiche chiese che si deve cercare di conoscere un posto; bisogna mescolarsi alla vita sociale dei suoi abitanti e diventare uno di loro. Questo, grazie alla loro cortesia e gentilezza, sono stato in grado di fare durante il mio lungo soggiorno ad Amalfi.
Ed è proprio alla sua apertura verso la società locale che dobbiamo questa preziosa descrizione di un Natale atranese di oltre 130 anni fa.
Poco dopo il mio arrivo desiderai vedere le luminarie e i fuochi d’artificio allestiti ogni Vigilia di Natale ad Atrani, l’antica cittadina che un tempo faceva parte di Amalfi e ora ne è divisa da un pittoresco promontorio che le separa completamente. Così, alle undici e mezza di sera, molto gentilmente un mio amico italiano mi fece accompagnare da suo nipote a casa di suoi amici che vivevano lì. Scortati da tre domestici, che ci fecero strada a forza tra la folla che si era radunata in diversi punti lungo la strada, ci inoltrammo in una rete di stretti vicoli, ripidi e sporchi, e alla fine entrammo dauna porta che, a quell’ora della notte e nella strada alta e buia, aveva tutta l’aria di essere un ingresso ordinario, come quello di una qualsiasi delle case più povere lungo la strada.
In realtà, come ora vedremo, stava per entrare nella dimora di un’agiata famiglia dell’alta società locale.
Poi, dopo essere saliti al terzo o ultimo piano, entrammo in un grande appartamento e fui introdotto non in piccole stanze, ma in un salotto piuttosto grande, scarsamente ma ben arredato, come non ci si sarebbe aspettato di trovare tra le alte case di un posto strano, sporco e vecchio come Atrani. Il padrone di casa stava lì, molto simile a uno qualsiasi dei più ricchi proprietari di vigneti, ma sua moglie aveva tutta la grazia tranquilla di una gran dama, e tale evidentemente era nella società amalfitana e atranese. In seguito venni a sapere che apparteneva a una delle famiglie più antiche e importanti del luogo. Quella sera c’erano vari parenti, una figlia in età da marito, alcuni zii e zie, e ragazzi dall’aspetto inglese, molto signorile, appena tornati da scuola per le vacanze, mentre di tanto in tanto facevano capolino i loro amici, che evidentemente venivano in visita su invito o per tradizione annuale. Subito furonoserviti dei liquori, poi uscimmo sulla veranda e dopo un po’ scoccò la mezzanotte, e contemporaneamenteesplosero i petardi.
Sembra di vederlo, il “salotto buono” aperto a parenti e amici per scambiarsi gli auguri di Natale mentre tutt’intorno passano guantiere di liquori e dolcetti vari. Ma oltre ad essere l’abitazione di una famiglia agiata, questa casa atranese aveva un pregio particolare, la veduta panoramica sulle pendici del Monte Aureo, dove da lì a poco sarebbe stata calata la Stella. A giudicare dall’entusiasmo della descrizione, doveva essere uno spettacolo straordinario anche per un londinese abituato alle fastose scenografie dei suoi luoghi d’origine.
Le campane di tutte le chiese presero a suonare, i razzi sfrecciarono in alto, e divamparono i falò. Ed ecco che, sospesa a una corda straordinariamente lunga, sulla piccola chiesa al centro del paese, che è interamente costruito fra due alti precipizi rocciosi ai quali erano legate le estremità della corda, scese fluttuando una sfavillante rappresentazione della stella di Betlemme, a dire il vero più simile a una gigantesca gran croce luminosa dell’Ordine di Bath. La cittadina sfolgorava di luci, e risuonarono gli applausi; le case bianche che si stagliavano contro le grandi rocceretrostanti, tutte illuminate, e il mare di fronte, offrivano un’indimenticabile scena teatrale. Quando tutto fu finito rientrammo nel salotto e alcuni degli ospiti cominciarono a congedarsi; ma noi aspettammo che gli altri se ne andassero, e all’improvviso entrò un ragazzo di circa diciassette anni, di bell’aspetto, che mi fu presentato con quella graziosa formula espressivaitaliana, “Il primo nato”. Questo ragazzo era l’erede di un’enorme proprietà compresa fra Atrani, Amalfi e le montagne alle loro spalle. Quella sera lasciai i miei amici con un certo rammarico, ma dovevo ritenermisoddisfatto per aver avuto un tale svago.
Stasera l’incantesimo si ripeterà. La Stella scenderà dalla “casa di Masaniello” fra un tripudio di fuochi d’artificio ed effetti speciali, in uno scenario probabilmente più hollywoodiano rispetto al passato, e nel breve spazio della sua apparizione si rinnoveranno emozioni, speranze e auspici. Buon Natale, e che la Stella possa davvero illuminarci.