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8 settembre 1943: l’armistizio corto e lo sbarco degli alleati a Maiori

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di EMILIANO AMATO

“Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta.Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

Sono circa le 19.42 dell’8 settembre 1943: attraverso i microfoni dell’EIAR, il maresciallo Pietro Badoglio annuncia alla nazione italiana la firma dell’Armistizio di Cassibile (detto anche “armistizio corto”), l’atto reso pubblico circa un’ora prima, alle 18.30, dai microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwight D. Eisenhower, e firmato in gran segreto pochi giorni prima, il 3 settembre, con il quale il Regno d’Italia cessa le ostilità contro le forze britanniche e statunitensi.

Poi dalle montagne sorge la luna. “E’ come un segnale: le batterie costiere sparano con assordante fragore. Sentiamo che si risponde. E’ lo sbarco”. Ha inizio, così, la “Operation Avalanche”.

Il golfo di Salerno, da Maiori ad Agropoli, diviene protagonista di uno degli episodi decisivi della Seconda Guerra Mondiale. I tre ideatori dell’operazione, Eisenhower, comandante in capo del Teatro di Operazioni Mediterraneo, e il generale Mark Wayne Clark, comandante della 5ª Armata e il vice ammiraglio Henry K. Hewitt, comandante della Forza Navale d’Impiego Occidentale, hanno obiettivi ben precisi: allontanare i tedeschi dall’Italia Meridionale, impadronirsi delle basi aeree di Foggia, raggiungere Napoli e liberare Roma. Ma perché la scelta ricadde su Salerno e il suo golfo?

Due, oltre il nostro capoluogo, erano le alternative al vaglio: il golfo di Gaeta, poi scartato perché troppo lontano dalla Sicilia, teatro dello sbarco di luglio, e quello di Napoli, che era però stato minato per evitare gli sbarchi nemici. Il golfo di Salerno aveva, inoltre, caratteristiche orografiche tali da costituire una pianura di forma triangolare, dominata da colline e montagne che permettevano ai soldati di controllare la zona attraverso una vasta visuale.

L’ora X scatta alle 3:30 del 9 settembre, momento di massima oscurità, utile per l’occultamento della forza da sbarco, ma svantaggiosa per le manovre di avvicinamento alla costa. Oltre 400 navi sostavano lungo il golfo di Salerno e tra le 3.35 e le 4.42 i Rangers americani sbarcano a Maiori con mezzi anfibi. Le navi alla rada cominciarono a bombardare tutta la costa cercando di creare una sorta di condotto dove poter far sbarcare i propri uomini. Dalle colline di Ravello, ancora oggi tanti anziani lo ricordano con emozione unanime quello spettacolo aveva dell’incredibile: «all’alba il mare era tutto grigio, come se fosse zeppo di mosche».

Intorno alle 9 i militari giungono a Ravello e si dirigono al Comune, obbligando il podestà a ordinare ai cittadini di consegnare tutte le armi da fuoco e da taglio in loro possesso. Nei giorni successivi lo sbarco, nei cieli ormai scuri si odeva solo il cupo e inquietante rombo degli aerei, mentre nella rada di Marmorata erano ormeggiati due incrociatori dai quali partivano potenti missili che, sorvolando il Valico di Chiunzi, raggiungevano Castellammare di Stabia e le zone circostanti ancora in mano tedesca.

Proprio sul Valico una batteria tedesca resistette al lungo prima di cadere. Gli alleati stazionarono a Ravello per circa un anno. Delimitarono un’area di piazza Vescovado con filo spinato, riservandola alla sosta degli automezzi e requisirono tutti gli alberghi sfruttandoli come “Rest Camp”, campi di riposo per gli ufficiali di ritorno dal fronte di Cassino nei mesi seguenti (gennaio-maggio 1944).

Con i Ravellesi la convivenza dei militari alleati si rivelò cordiale, tanto che spesse volte alla popolazione venivano forniti anche i viveri. Numerosi erano i ragazzini che, alla vista degli uomini in divisa alla guida dei mezzi militari, ne rimanevano affascinati. Uno di loro, Pantaleone Di Palma, aveva dieci anni e saltava con agilità dalle camionette che occupavano piazza Vescovado in cerca di cioccolata. «Do you remember me, do you remember me?»: così il ragazzino, armato della sola sfrontatezza che lo ha sempre contraddistinto, si rivolgeva ogni giorno a quei militari che lo presero in simpatia, riservandogli abbondanti razioni di cioccolato. Che Pantaleone divideva con tutti i suoi amici. Da quel giorno quell’intrepido ragazzino sarà conosciuto come “Gino ‘o mericano”.

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