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Amalfi e la Corsa di Sant’Andrea: la spinta della fede, la prova di forza di un grande popolo

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Ci sono tradizioni identitarie, usanze acquisite – quasi sempre – dalla religione, ma derivanti dal paganesimo e che si fondono col folclore. La Corsa di Sant’Andrea, ad Amalfi, non è soltanto la rivelazione della profonda fede del popolo amalfitano verso il suo Santo protettore. È uno dei riti ‘aggiunti’ alla pratica religiosa: è un’ostentazione, la prova di forza finale del grande popolo, dei discendenti dei padroni dei mari nell’Alto Medioevo, che onorano il loro Protettore. Quella ‘spinta’ in più della devozione popolare, prima che il busto argenteo del primo degli Apostoli chiamati da Gesù faccia ritorno nel suo tempio, tra i più affascinanti al mondo, dopo aver percorso l’imponente scalea.

Le origini di questa pratica sono recenti e risalenti al secondo dopoguerra perché il rigoroso Monsignor Ercolano Marini, che fu arcivescovo fino al 1945, non avrebbe mai consentito una forma di devozione così poco “ortodossa”.

A raccontare la prima “Corsa” è don Gabriele Vissicchio nei suoi preziosi quaderni di memorie: nel 1946 la processione di Sant’ Andrea non passò come al solito per la spiaggia di Amalfi perché vi si commettevano «crescenti scandali e immodestie». La decisione era stata accolta con fischi e schiamazzi da parte dei pescatori, al punto che, stando agli ordini dell’indignato monsignor Demetrio Moscato«la statua è stata salita in fretta sino all’atrio». Un’origine ben lontana dunque da una ben precisa “fondazione”, ma decisamente casuale.

Sigismondo Nastri, decano dei giornalisti della Costa d’Amalfi, da testimone oculare ha raccontato nel dettaglio quel 27 giugno 1946: «Arrivato in piazza, in un clima di eccitazione collettiva, accentuata dalle note della banda musicale, Sant’Andrea – sospinto da un nugolo di portatori – risalì di corsa la gradinata fino all’atrio».«L’indomani si scatenarono le ire dell’Amministratore apostolico. In un duro documento (cfr. Rivista Ecclesiastica Amalfitana, anno XXXI, n. 3, maggio-giugno 1946) mons. Demetrio Moscato parlò di “sovvertitori”, di “malsane correnti avverse alla Chiesa”, di “seminatori di zizzania, di elementi abituati a pescare nel torbido”, che avevano spinto il popolo “all’infrazione della disciplina, alla ribellione ed al disprezzo della Autorità ecclesiastica”» (clicca qui per approfondire).

Da quel giorno, dunque, per il secondo appuntamento annuale della festa, quello del 27 giugno, che corrisponde al giorno in cui è fissato il miracolo a lui attribuito (gli altri sono il 30 novembre, secondo la ricorrenza definita dal calendario, e l’8 maggio, giorno dell’arrivo da Costantinopoli delle sue reliquie grazie al cardinale Pietro Capuano), il pesante busto argenteo del Patrono esce dal Duomo e diviene il protagonista della solenne processione e della Corsa.

Un appuntamento che richiama nel comune capofila della Costiera numerosi fedeli oltre che curiosi turisti, consacrato dalla scena del film La macchina ammazzacattivi di Roberto Rossellini. Una fatica immane ma ben tollerata dai portatori, che affrontano le sessantadue gradinate di Piazza Duomo con fede e determinazione. A supportarli i fedeli, che sorreggono gli ammantati di porpora nello sforzo finale al grido di “Forza Sant’Andrea”, a mo’ di tifo da stadio della folla trepidante, che man mano guadagna la vetta grazie a quella formidabile spinta di fede.

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