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Amalfi: Maestra dei Villaggi, una via francigena

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dI RITA DI LIETO

Le vie francigene sono le vie del pellegrinaggio alto medievale verso i Luoghi Santi, una rete di strade che si diramavano attraverso tutta l’Europa. Erano dette francigene perché passavano per la Francia, che si trova al centro dell’asse Nord-Sud ed Est-Ovest dell’Europa.

Scrive Franco Cardini, il più autorevole ed eminente studioso di questa pratica devozionale: “Il pellegrinaggio cristiano si fonda sulla tradizione ebraica della ‘salita’ verso la Città Santa e sulla consuetudine del viaggio alla volta d’un santuario o comunque di un ‘centro sacrale’ cara all’antichità greco-romana e comune del resto a molti sistemi mitico-religiosi.

Dopo la distruzione di Gerusalemme da parte delle truppe dell’imperatore Tito, nel 70 d.C., e l’edificazione di Aelia Capitolina sulle rovine della città da parte di Adriano, a partire dal 135, i luoghi fisici sui quali si era un tempo elevata l’antica capitale del mondo ebraico continuarono ad esercitare un richiamo sulle comunità cristiane in quanto lì si erano svolti alcuni dei principali fatti della vita di Gesù; al tempo stesso, alla memoria di Gerusalemme si tornava costantemente in quanto essa era figura della Gerusalemme Celeste della visione di Giovanni”. F. CARDINI, La via della memoria. le antiche vie di pellegrinaggio, C.E.I., Fano, 2-4 giugno 2011).

Tito aveva distrutto Gerusalemme per soffocare la rivolta degli ebrei contro Roma. L’imperatore Adriano (Publio Elio Traiano Adriano) in seguito ad una nuova rivolta, per cancellare i ricordi delle religioni giudaica e cristiana, fondò sulle rovine di Gerusalemme una nuova città: Aelia Capitolina, Elia in suo onore, e capitolina perché vi eresse un Campidoglio per gli dei romani.

I pellegrinaggi in Terra Santa ebbero un grande impulso dopo gli editti di Galerio del 311 e di Costantino nel 313, che concedevano la libertà di culto ai cristiani.

“Secondo la narrazione destinata a consolidarsi e a diffondersi nel ciclo medievale della legenda crucis, – spiega Cardini – Macario vescovo di Gerusalemme avrebbe in occasione del concilio di Nicea del 325 invitato l’imperatrice madre (S. Elena n. d. r.) a visitare la città; essa vi si sarebbe in effetti recata l’anno successivo, e in quell’occasione avrebbero avuto luogo l’inventio della Vera Croce e la fondazione delle due principali basiliche gerosolimitane, l’Anastasis (Risurrezione) sul luogo tradizionale del Calvario e della grotta del Sepolcro […] e l’Eleona sul Monte degli Olivi”.

Costantino intraprese lavori di ricostruzione sia a Gerusalemme che a Betlemme, a Nazareth, al lago di Tiberiade, a Gerico… La basilica del Sepolcro sarebbe stata solennemente inaugurata il 14 settembre 336. E il 14 settembre sarà la festività dell’Esaltazione della Croce.

Chi dall’Italia voleva recarsi in Palestina poteva fare il viaggio fino ai porti tirrenici o pugliesi da dove salpavano per l’Oriente. I luoghi d’imbarco tirrenici preferiti erano Roma, Palestrina, Gaeta, Napoli, Salerno e Amalfi, quelli pugliesi Otranto, Bari e Brindisi.

Il Ducato di Amalfi ricadeva sotto la giurisdizione bizantina. Le navi amalfitane veleggiavano spesso verso Costantinopoli ed accoglievano a bordo anche i pellegrini. Essendo la loro una navigazione di cabotaggio, lungo le rotte, in molti porti del Mediterraneo gli amalfitani avevano acquistato case e terreni per crearvi dei fondachi, edifici adibiti a magazzini ed alloggio che, a poco a poco, diventavano delle vere e proprie colonie, le amalfitanìe, con la propria chiesa, alberghi, banche. In ogni fondaco avevano un proprio console, il magister fundicarius, a cui si rivolgevano per risolvere le eventuali controversie con i mercanti di quella città.

C’erano insediamenti amalfitani anche in nodi stradali importanti per il commercio, ma da dove passavano anche gli itinerari delle vie franchigene: a Capua e a San Germano (nelle vicinanze del monastero di Montecassino) mansiones di scalesi e ravellesi; a Benevento di amalfitani scalesi e ravellesi; un gruppo di ravellesi nel 1044 edificò Melfi un monastero lungo la strada per la Puglia.

Ma come imbarcarsi e al ritorno sbarcare nel porto di Amalfi?

Attraverso Via Maestra dei Villaggi, la strada medievale che metteva Amalfi in comunicazione con l’area vesuviana e nocerina-sarnese, allacciandosi ad Agerola con l’antica mulattiera, la Via Stabiana degli Amalfitani, che, passando per Lettere e Gragnano, possedimenti del Ducato di Amalfi sull’altro versante dei Monti Lattari, raggiungeva il litorale stabiano. Se ne diramava una fitta rete di gradinate collegate tra loro a vari livelli da vie secondarie più o meno pianeggianti che raggiungevano i gruppi di case di cui il territorio era disseminato e arrivavano fino a Positano.

Per controllare l’accesso dalla vasta piana vesuviana e nocerina-sarnese, gli amalfitani, a partire dalla metà del X secolo, costruirono il castello di Pino e fortificarono “nuclei abitativi a Lettere e Gragnano, in modo da attuare una sorveglianza diretta della via di valico che, dal litorale stabiano, attraverso il torrente Vernotico, risaliva verso Gragnano, Pino e quindi Agerola.

Dai 600 metri di quota del castrum Pini si arrampicava, quindi, fino ad un passo a circa 1000 metri s.l.m. lungo lo spartiacque longitudinale dei Monti Lattari intorno al Monte Cervigliano (1203 mt. s.l.m.) Da qui partivano due sentieri, uno nei pressi della sorgente Acqua del Vrecciaro (subito ad Est del M. Cervigliano), l’altro quello di colle S. Angelo (coi ruderi della medievale chiesetta d S. Angelo a Jugo), ad Ovest del Cervigliano ed in vista di Agerola. Oppure si poteva passare intorno al Megano (1050 mt.) dov’è è il valico di Candelitto o Porta Canale, da cui si dipartono due ramificazioni: una via porta a Scala e Ravello, l’altra a Tavernata di Pogerola.

Via Maestra dei Villaggi è, quindi, al centro della “trama viaria” dei villaggi extra moenia di Amalfi, villaggi agricoli e marinari, che per la maggior parte si estendono dal mare fin su in cima alle montagne. Vi si accede dalle varie insenature e spiagge da dove s’inerpicano le vie verso l’alto. Sono tanti gli approdi situati lungo la costa: la cala di Gavitella a Praiano; la cala di Grado, lo scaricatoio e Marina di Praia a Vettica Maggiore; a Furore: la Marina di Furore, il cosiddetto fiordo, che è un porto naturale; la Marina di Conca dei Marini, dove nel medioevo c’era un porto molto attivo; la spiaggia della vite e quella di Santa Croce a Vettica Minore, ed infine la spiaggia e il porto di Amalfi.

Anche il valico di Chiunzi, la via ad ovest sullo spartiacque dei Monti Lattari, nella valle del Reginna Maior, che metteva in comunicazione l’area nocerina sarnese con la Costa d’Amalfi, fu protetta da una serie di fortificazioni. Nella frazione di Cesarano di Tramonti gli amalfitani edificarono il castello di Montalto o Trivento, documentato già nel 1131. Era situato in una posizione strategica su uno sperone roccioso che si protendeva sulla vallata, operando così il controllo della strada che dalla valle del Sarno, attraverso il valico di Chiunzi, andava a Ravello. La sua posizione gli permetteva di controllare al tempo stesso qualsiasi movimento nella sottostante valle di Tramonti e di proteggere quindi l’abitato di Maiori.

Nel 1454, per difesa contro le invasioni il principe Raimondo del Balzo Orsini, conte palatino di Nola e Sarno, maestro giustiziere del Regno, principe di Salerno e duca di Amalfi, iniziò la costruzione della Torre di Chiunzi (700 mt. s. l. m.). Morì nel 1459 e i lavori furono portati a temine da sua moglie, la principessa Eleonora D’Aragona.

Nell’812, mentre i Musulmani imperversano fra Corsica, Nizza, Ponza, Civitavecchia e nell’arcipelago attaccano Lampedusa, gli Amalfitani soccorrono con le proprie navi Michele I Rangabe, l’Imperatore che riconosce de jure e de facto Carlo Magno quale basileus dei Franchi in grado di imporre la propria superiorità sulla Navarra e sulla Catalogna in potere dei Musulmani. Le navi di Amalfi intervengono ancora insieme a quelle di Napoli, Gaeta e Sorrento quando nell’846 i Musulmani occupano Ostia e risalgono il Tevere saccheggiando San Paolo fuori le Mura; e quelle dei Musulmani fuggono rifugiandosi nel porto di Palermo. […] nell’878 Siracusa cade nelle mani […] del feroce Ibrahim, Sant’Elia di Castrogiovanni fugge ad Amalfi, dove lo raggiunge la notizia dell’eccidio di Taormina”.

Un nobile amalfitano, il monaco Leone, fratello di Aligerno, abate di Montecassino dal 949 al 985, era stato pellegrino a Gerusalemme e, al suo ritorno, nel 990 circa, aveva donato all’abbazia una stauroteca con una reliquia della Vera Croce.

Dopo il mille i pellegrinaggi si intensificano.

Nel 1050 parte da Salerno per recarsi in Terrasanta l’amalfitano Mauro Maurone dove fonda gli ospedali latini di Antiochia e Gerusalemme. Nel 1071 vi si reca anche il vescovo di Amalfi, Giovanni e viene accolto con grande onore dai concittadini lì residenti. Egli morirà poi durante il viaggio di ritorno a Damietta, dove sarà sepolto.

“Nelle peregrinationes transmarinae, – sottolinea perciò Cardini – ad eccezione delle altre città di mare, Amalfi con i suoi ospedali ad Antiochia e Gerusalemme, – che furono comunque anche opportune basi di appoggio per i suoi commerci – e con il suo vescovo pellegrino, […] ebbe un ruolo in qualche misura attivo”.

redazione
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