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Dallo sfogo alla denigrazione: come la libertà di espressione si trasforma in arma (volgare) nei social

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di EMILIANO AMATO

Nel contesto digitale odierno, la libertà di espressione si trova al centro di un delicato dibattito. Le piattaforme social, un tempo viste come spazi di condivisione e confronto, si sono trasformate in vere e proprie arene virtuali dove ogni opinione sembra legittima, ma spesso il confine tra il diritto di critica e l’offesa si fa sempre più labile. Il diritto sancito dall’articolo 21 della nostra Carta costituzionale, che garantisce la libertà di manifestare il proprio pensiero, è uno dei pilastri della democrazia. Eppure, in molti casi, questo diritto viene abusato per sfogare rancori, frustrazioni e aggressività, in un terreno che invece dovrebbe essere fertile per il dialogo civile e la crescita collettiva.

Le persone, nascoste dietro la protezione della distanza imposta dallo schermo o spesse volte dell’anonimato, si sentono libere di esprimere giudizi velenosi, spesso senza un reale intento costruttivo. In molti casi, il linguaggio utilizzato è volgare e ferisce senza pietà, con il chiaro intento di colpire la dignità altrui. La critica, quando diventa un attacco gratuito, perde il suo valore di riflessione e si trasforma in un’arma di distruzione. Anzi, spesso non c’è neanche la volontà di cercare soluzioni o proposte alternative ai problemi sollevati, ma solo il bisogno di sfogare la propria rabbia.

Il fenomeno è particolarmente diffuso quando “l’ospitalità” sulle piattaforme social permette di eludere le conseguenze legali e morali delle proprie parole. Le allusioni indirette, i post vaghi ma chiari nei riferimenti, diventano la norma. L’intento di danneggiare o offendere qualcuno, anche il vicino di casa, pur senza citarne esplicitamente il nome, si nasconde sotto la falsa maschera della satira o della critica pubblica. Ma cos’è davvero la satira, se non una forma di espressione che dovrebbe stimolare il pensiero critico, divertire, e possibilmente far riflettere?

A chi fa un uso scellerato e distorto della libertà di parola, non dovrebbe essere consentito di corrompere il dibattito pubblico con linguaggi violenti e divisivi. È fondamentale che la libertà di pensiero venga preservata, ma è altrettanto essenziale che essa venga esercitata con responsabilità. La libertà di espressione non può diventare una scusa per l’intolleranza, l’insulto gratuito o la derisione. La società ha il diritto di esigere un dibattito pubblico che non sia solo un campo di battaglia per soddisfare ego insoddisfatti o rancori mai risolti, ma un luogo dove le idee possano confrontarsi in modo costruttivo.

La “piazza virtuale” oggi non è più un semplice spazio di discussione. È diventata un’arena dove, purtroppo, le dinamiche di potere, la frustrazione personale e il bisogno di visibilità rischiano di soffocare la discussione civile. Non c’è nulla di male nel manifestare dissenso o nel sollevare critiche, ma quando queste diventano l’arma principale di un attacco distruttivo, è fondamentale fermarsi e riflettere. L’arte della discussione non è quella di annientare l’altro, ma di costruire ponti di comprensione e soluzioni condivise.

Il messaggio che dovrebbe emergere in questo nuovo scenario virtuale è semplice: siamo tutti per la libertà di espressione, ma nel rispetto reciproco. Non ci stiamo alla violenza verbale, né alla critica fine a se stessa, che non porta a nulla se non a una perpetuazione del conflitto. Le persone dietro lo schermo devono essere chiamate a riflettere sulle loro parole, perché, alla fine, il bersaglio è sempre una persona, con una propria dignità che merita rispetto.

Solo così potremo sperare in una piazza virtuale che torni ad essere uno spazio di vera democrazia, dove il dialogo è l’elemento centrale e non il tentativo di distruzione dell’altro.

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