di NOVELLA NICODEMI
Senza stigmatizzare le mimose, se proprio dobbiamo far girare l’economia, varchiamo senza timore la soglia di una libreria e acquistiamo senza paura quell’oggetto misterioso che ha il potere di uccidere i pregiudizi. È un’arma ecologica, che funziona col pensiero: nel caricatore vanno inserite le parole. E poi fa tutto da sé.

Celebrare la giornata internazionale della donna, al di là delle inevitabili logiche commerciali sottese a tante altre ricorrenze simili, sembra dare oggi, 8 marzo 2025, i suoi primi insperati frutti. Non siamo ancora ai livelli della parità di genere della Scandinavia, ma qualcosa di timidamente positivo, tra un femminicidio e l’altro, una infibulazione e l’altra, si sta muovendo.
A farci ben sperare, i risultati di uno studio condotto dalla Northwestern University e pubblicato sulla rivista Child Development che hanno evidenziato, attraverso i disegni dei bambini statunitensi, come l’immagine dello scienziato sia mutata nel tempo. Se infatti negli anni ’60 e ‘70, a raffigurare scienziate donne era meno dell’1% dei bambini, questa percezione (con le donne molto più presenti nei campi della biologia, chimica e fisica) sta progressivamente mutando: circa il 34% dei bambini a cui è stato chiesto di disegnare uno scienziato ha disegnato una donna. È il segno che la società finalmente sta cambiando, specialmente per quanto concerne gli stereotipi di genere.
Ancora una volta l’informazione e la cultura hanno generato una trasformazione concreta. Ma il viaggio verso la parità è appena iniziato, e la strada verso la fine della violenza contro le donne è lunghissima.
Il sapere rende liberi. È l’ignoranza che rende prigionieri. Se questa verità socratica venisse messa in atto sul serio, questo mondo non dovrebbe assistere inerme agli atti di ordinaria barbarie perpetrati quotidianamente nei confronti della donna.
Dalla notte dei tempi siamo vittime di quella che l’antropologa francese Françoise Héritier ha efficacemente chiamato valenza differenziale dei sessi: attribuire maggiore valore al sesso maschile in quanto a caratteristiche genetiche e competenze sociali.
In realtà, non è proprio dalla notte dei tempi. È ormai pacifico infatti che con la diffusione dei culti della Grande Madre e della Grande Dea (associati a tutti i processi del cosmo come nascita, morte, rinnovamento), nelle prime società umane la donna, venerata per la sua facoltà di procreare, detenesse il potere.
La società matriarcale era una realtà oggettiva.
Alla fine degli anni Ottanta, l’archeologa Marija Gimbutas ha ipotizzato che in Europa, tra il 7000 e il 3500 a.C., esistesse una forma di organizzazione sociale paritaria basata sul culto della Grande Dea: Gilania – derivato dalle radici greche gy di gynè (donna) e an di anèr (uomo) – scomparve tra il 4300 e il 2800, sconfitta dalle armi letali di una diversa cultura neolitica. Presso i Sumeri e i Babilonesi poi la donna, indipendente rispetto alla famiglia d’origine e al marito, disponeva dei propri beni, stipulando contratti e facendo testamento; presso gli Egizi e gli Assiri le donne si occupavano di politica e potevano anche assumere il governo.
Eh sì, sembra che le cose siano andate grosso modo proprio così. Gli uomini, a un certo punto della storia umana, spinti dalla paura di soccombere, avvalendosi della forza fisica, hanno inventato l’unico modo per tenere in stato di sottomissione metà della popolazione mondiale: la schiavizzazione delle donne, in virtù di una presunta superiorità del maschio, che ha sancito di fatto la supremazia di un genere sull’altro, codificandola a livello giuridico e religioso. Metà della popolazione umana verso cui l’altra metà ha scientemente deciso di riversare rabbia, odio, senso del possesso e del controllo, diritto di proprietà, frustrazione, sadismo. E paura, sì paura.
Signore e signori, la cultura patriarcale. Uomo dominante e donna subordinata. La legittimazione? Nei testi sacri, dall’Antico testamento al Corano.
Premessa la diversa situazione di donne nobili, popolane ed etère, se nell’antica Grecia la donna gestiva l’oîkos (casa e patrimonio), a Roma poteva partecipare ai banchetti e mostrarsi in pubblico, ma, per una sua connaturata (sic!!!) imbecillitas mentis (debolezza intellettuale), e imbecillitas sexus, era equiparata ai minori e ai malati di mente per cui non poteva prendere decisioni senza il consenso del capofamiglia. Con la cultura ebraica e successivamente quella islamica le donne non possono né scegliere liberamente il coniuge né partecipare alla vita pubblica né avere il diritto alla successione. Nel Medioevo le cose, diversamente da come molti pensano, cambiano in positivo. Le donne potevano accedere anche al mondo dei mestieri, unirsi in corporazioni, possedere beni; alle nobili era concesso avere feudi, amministrare la giustizia, riscuotere le imposte. Con il Monachesimo la donna ha la straordinaria possibilità di accedere all’istruzione. E poi? A partire dal Concilio di Trento in poi è stata una lunga inesorabile rovina. Per conquistare un diritto dopo l’altro le nostre antenate hanno dovuto combattere a costo della vita. In molti articoli oggi dedicati giustamente a questa ricorrenza è possibile ripercorrere, come è giusto che sia ogni anno, per non dimenticare, l’irta strada lastricata di lacrime e sangue che ha portato a un minimo di diritti anche per noi. Ma quello che mi preme oggi è sottolineare con forzache voi che state leggendo queste righe e io che le sto scrivendo dobbiamo ritenerci fortunate: sappiamo leggere e scrivere, e possiamo discutere di questo e di altri argomenti. Possiamo avere un’opinione, e decidere della nostra vita.
A diverse latitudini in questo preciso momento milioni di donne non hanno alcun tipo di libertà. Sono vendute a mariti vecchi, costrette alla prostituzione, violentate e torturate dal sistema, infibulate. Uccise mille volte ogni giorno. Alcune lottano perché sentono istintivamente di essere vittime di una profonda ingiustizia. Altre no, perché l’ignoranza in cui sono state cresciute fa credere loro che l’orizzonte limitato, il recinto in cui sono state allevate, sia l’unica dimensione possibile e legittima su questo pianeta.
Per tenere schiava una persona non servono catene pesanti. A volte bastano anche lacci invisibili. Quelli dell’ignoranza. Anche con la mimosa in mano, impegniamoci anche oggi, soprattutto oggi, a combattere l’ignoranza, il nostro peggior nemico.
Foto: Io Donna