di TOMMASO AMATO
22 marzo 2005, ore 20,00. Finché avrò memoria non dimenticherò quel momento, ma soprattutto i pensieri e le immagini che contemporaneamente passarono davanti ai miei occhi. Fino a quel momento avevo trascorso larga parte della mia esistenza con lo zio, Don Pantaleone Amato. Vederlo immobile nel suo letto quel martedì ha portato a galla tanti ricordi dei bei momenti trascorsi insieme. I ricordi dei mesi passati trascorsi gomito a gomito durante il periodo di quella malattia un po’ strana che l’aveva aggredito. È stato un onore ricevere in quel periodo le confidenze che non mi aveva mai fatto, in quel tempo il suo carattere sembrava cambiato, lo vedevo più docile, aveva tirato fuori quella sensibilità che forse nessuno prima aveva conosciuto.

I due giorni che seguirono, quando fu portato in chiesa, continuavo a guardarlo, non avevo la sensazione di averlo perso, e pensavo di averlo ancora vicino. Sensazione che persi quando, chiusa la bara si avviò verso il riposo eterno. Fu allora che nel mio intimo capii che non avevo più vicino lo zio. In quei giorni la mente rendeva quasi reali gli anni, i giorni, i momenti trascorsi insieme, quando ragazzino lo accompagnavo durante il periodo pasquale in parrocchia per la benedizione delle case.
Ricordo, che in quel tempo, dormivo con mio nonno Tommaso, lo zio seguiva in prima persona la costruzione del nuovo Santuario, un’impresa titanica, dalla vita di cantiere al reperimento delle somme che – oltre alle offerte – lo spinsero fino a Londra dove riuscì a ottenere somme considerevoli dai ravellesi emigrati. E poi i cantieri scuola: quante volte andava a Roma presso i vari misteri per chiedere fondi…
Mio nonno si preoccupava che il figlio sacerdote fosse rimasto senza soldi per sé e lui gli rispondeva con convinzione: ”Non preoccuparti, la Provvidenza non ha soltanto due mani, ma ha tante mani”.
Una volta, era estate, al mattino appena sveglio mi apostrofa e mi faceva: “Stamattina parto per Roma, vuoi venire con me?” Ed io di rimando: “Certo, che bello!”. “Forza, vai a casa, cambiati e vieni al garage in piazza”. Che avventure con lui! Faceva molto caldo e le auto (aveva una Fiat Topolino) non erano dotate di aria condizionata. Ricordo che quel suo fazzoletto che aveva al collo era sempre intriso di sudore, lo asciugava chiudendolo nel finestrino e lo faceva sventolare. Prima di partire da Roma avevamo comprato delle prugne e le tenevamo al fresco vicino ai bocchettoni dell’aria della sua Topolino.
Il periodo più intenso era legato ai mesi di settembre e ottobre, in occasione dei pellegrinaggi al Santuario.
Erano momenti affascinanti, convulsi e frenetici. Già la sera del sabato la frazione San Cosma si animava e si riempiva di pellegrini che arrivavano da ogni dove. Erano ospitati nella casa parrocchiale, lì mangiavano e avevano anche da dormire. La domenica, poi, di buon’ora, tutti a Messa. Dopo una pizza, e cantando, ritornavano alle loro case.
Quando mi trovavo in seminario a Pompei non perdeva occasione per farmi visita. Quando le statue dei Santi Cosma e Damiano furono portate a Napoli per essere restaurate in seguito all’incendio che le danneggiò, passava settimanalmente per andare a Napoli e mi portava con lui per seguire l’avanzamento dei restauri.
Il 9 settembre 2004, giorno del mio 50esimo compleanno, fece di tutto, malgrado i suoi tanti impegni diocesani, a presenziare l’avvenimento. Arrivò a mezzogiorno, contento, lo si vedeva dai suoi occhi, non solo, ci tenne a farci sapere che aveva accelerato tutto. Si presentò con una bella torta fatta preparare ad Amalfi e una bottiglia di brandy Cardenal Mendoza che gradiva.
Trascorso il periodo natalizio dello stesso anno, iniziò per lui il calvario. Una infiammazione al nervo sciatico lo costrinse a stare in casa. Per poter uscire aveva bisogno di essere accompagnato. Malgrado tutto continuava a celebrare la Santa Messa domenicale. Malgrado le condizioni, volle la Domenica delle Palme, essere accompagnato nella Chiesa di San Pietro per officiare la funzione a cui teneva particolarmente. Il giorno seguente presenziò, in Duomo, al funerale del cugino Antonio Amato. La stanchezza e l’affanno erano evidenti. Poi quel martedì.
L’ultimo ricordo, ma non ultimo per me, a cui tengo tanto, è legato al suo 25esimo anniversario di sacerdozio. Ebbene, in quel periodo decisi di abbandonare il Seminario. Non gli avevo ancora manifestato la mia intenzione. Dopo i festeggiamenti partì per recarsi a Lourdes. Qualche giorno dopo mi giunge un suo scritto che diceva: “Ai piedi della Madonna ho pregato per te. Ella ti aiuti in ogni tua decisione”.
Solo un uomo come lui, dalla grande mente e dal forte carisma, poteva cominciare e completare l’opera straordinaria che aveva in testa.