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I luoghi di culto della Longobardìa Minor dedicati all’Arcangelo Michele

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di GIUSEPPE GARGANO

La Longobardìa Minor era, nell’Alto Medioevo, una vasta area dell’Italia meridionale, composta dai territori occupati dai longobardi sin dal VI-VII secolo: si trattava di buona parte della Campania, di alcune terre della Calabria e della Puglia. Esisteva, poi, anche il Thema di Longobardìa, che corrispondeva sostanzialmente ai territori rimasti sotto il controllo diretto o indiretto di Bisanzio.

In quelle regioni si diffuse ben presto il culto per l’Arcangelo Michele, senz’altro introdotto dai bizantini ma accettato anche dai longobardi. Possiamo dire che bizantini e longobardi, molto spesso nemici e feroci antagonisti per il dominio del Meridione, trovarono un punto di convergenza nel comune culto per S. Michele.

La presente relazione si pone quale obiettivo l’analisi e la ricostruzione dei luoghi di culto dedicati all’Arcangelo, intitolati a Lui sia nella forma canonica di Michele Arcangelo sia in quella ridotta di S. Angelo, nella Langobardìa Minor e nel Thema di Longobardìa, tra longobardi e bizantini, tra i secoli IX e XII.

La nostra ricerca alquanto acribica e dettagliata prende le mosse da Montecassino e in particolare dalla basilica desideriana, cioè la chiesa fatta costruire tra 1066 e 1071 dall’abate Desiderio (futuro papa Vittore III). Per quella costruzione furono impegnate maestranze amalfitane e longobarde, come ricorda il cronista Leone Ostiense. La cappella di S. Michele, collocata nell’atrio della basilica, mostrava volte a crociera archiacuta (fornices spiculi) derivate dal mondo arabo nordafricano e spagnolo e introdotte in Occidente proprio dagli amalfitani, che le avevano già utilizzate nella fabbrica della loro cattedrale di S. Andrea Apostolo e nell’arsenale (1059). La notizia cronachistica costituisce un’ulteriore prova a riguardo del sostegno all’idea da me avanzata circa l’impiego di tali volte incroci di botti acute da parte degli amalfitani molto prima dell’epoca che la tradizione della storia dell’architettura attribuisce a tale diffusione (XII-XIII secolo).

I luoghi di culto dedicati all’Arcangelo Michele erano per la maggior parte presenti presso o dentro castelli e fortificazioni, presso o dentro grotte, antri o anfratti naturali. Così ci accingiamo a presentare i siti cultuali individuati mediante le ricerche attraverso le fonti archivistiche o con l’ausilio dei ritrovamenti di tipo archeologico. Questi siti erano cotrassegnati da monasteri, chiese, cappelle, insediamenti eremitici.

Ora riferiamoci dapprima ai ducati romanico-bizantini della Campania altomedievale e poi al principato longobardo di Salerno, la cui estensione territoriale si spingeva fin verso la Puglia. Ci accorgeremo subito che il numero dei luoghi di culto micaelici era di gran lunga superiore tra i longobardi che tra i bizantini meridionali.

Così nella città di Napoli vi era una chiesa di S. Michele Arcangelo nel 924 collocata al di sotto del muro pubblico a Porta Novense.

Quindi nella città di Gaeta esisteva sin dall’899 il monastero di S. Michele in Planciano; inoltre a Sperlonga si trovava un altro omonimo cenobio nel 976 e a Traetto la chiesa di S. Angelo de Traguazzano nel 1084.

La città longobarda di Salerno presentava il monastero dei Ss. Michele e Stefano nel 1039, ubicato nel rione Orto Magno, nei pressi della cattedrale, la chiesa di S. Michele nella platea che conduceva a Porta Elina, fondata nel 991, un’altra nel vico della chiesa di S. Trofimena, quindi nel quartiere degli atranesi, la chiesa dei Ss. Sofia e Angelo divenuta monastero nel 1040.

Nella località costiera di Fonti, confinante col territorio del ducato amalfitano, alcuni atranesi erano proprietari della chiesa di S. Arcangelo nel 980. Gli atranesi possedevano pure la chiesa di S. Angelo a Tirisino, presso Agropoli, nel 1074, mentre una chiesa dedicata all’arcangelo era ubicata nella località lucana Duo Flumina, a loro venduta nel 977 dal vescovo di Paestum per 1500 libbre d’argento.

Nell’ambito del territorio del principato salernitano vi erano altri luoghi di culto micaelici.

Sul Monte Cilento nel 1031 esisteva il monastero maschile di S. Arcangelo. Sul Monte Coraci, presso Ancilla Dei e a confine con la Lucania, nel 1038 era attivo il monastero di S. Michele. Ancora in Lucania, sulla via che portava al castello Mitilla, vi era una chiesa dedicata a S. Arcangelo nel 994. Presso il castello di Capaccio è documentata una chiesa di S. Angelo nel 1050.

Nell’Agro Nocerino si trovavano inoltre altri luoghi di culto.

A Lanzara, presso il castello, sorgeva la chiesa di S. Angelo nel 982.

Nel territorio di Cava de’ Tirreni si trovavano il monastero maschile dei Ss. Michele e Martino (1063), collocato sul monte di Passiano e a Mitigliano, in località Balnearia e presso un fossato, nel 1034 la chiesa di S. Arcangelo, che dava il nome pure al monticello sul quale si ergeva

Notevole rilevanza assume la chiesa in grotta di S. Arcangelo, attestata sin dal 1035 sul Monte Aureo di Olevano sul Tusciano: il suo ciclo di affreschi dell’XI secolo di stampo bizantino è un indiscusso prototipo per lo studio della pittura altomedievale mediterranea. In quel sito trascorse i suoi ultimi giorni Ildebrando da Soana, già papa Gregorio VII, che ivi giunse esiliato nel 1085 sotto la “protezione” di Roberto il Guiscardo, il quale lo salvò dalle insidie di Enrico IV; il corpo del pontefice riformatore della Chiesa romana è seppellito nella cattedrale di Salerno

La Puglia era la terra di contesa estrema tra longobardi e bizantini: nelle sue località spesso esistevano luoghi di culto micaelici.

A Bitetto nel 959 era attiva una chiesa intitolata all’Arcangelo. Quindi la chiesa di S. Michele in Tillizzo era presente presso un castello sito nel territorio di Giovinazzo (1073). La cattedrale di Terlizzi nel 1150 era dedicata a S. Michele; essa aveva allora un meraviglioso chiostro. Altre chiese micaeliche pugliesi erano: S. Michele a Barletta (1102); S. Angelo sul Monte Ioannacio e presso la via che conduceva a Ioa e al suo castello nel tenimento di Bari (1087); Ss. Maria, Michele e Tutti i Santi di Castellano (Brindisi); S. Michele di Biccaro (1144); S. Angelo de Costa a Troia (1182); S. Michele in loco Moleniano ad Oria (1092).

I monasteri pugliesi dedicati all’Arcangelo erano quello di Medugno (1071), S. Angelo de Ursaria di Troia (1125), nonché S. Angelo sul Gargano. Quest’ultimo estese la propria denominazione alla città che si sviluppò presso di esso. La porta di bronzo che tuttora si può ammirare ivi, fusa a Costantinpoli e incisa da artisti bizantini, fu donata dal ricco e nobile mercante amalfitano Pantaleone de Comite Maurone nel 1076. Il monastero divenne un santuario visitato ogni anno, tra l’8 e il 9 maggio, da innumerevoli fedeli; il cardinale amalfitano Pietro Capuano, al fine di dirottare queste frotte di cristiani ad Amalfi, decise di compiere l’ultima fase della traslazione di S. Andrea Apostolo da Costantinopoli nella cripta della cattedrale della città marinara proprio l’8 maggio del 1208. Da Monte S. Angelo salpavano le navi dirette in Terra Santa.

Abbiamo lasciato per ultimo il ducato di Amalfi per ovvii motivi di particolare analisi relativi alla storia locale.

Il culto micaelico qui fu alquanto diffuso; tale dato conferma dal punto di vista religioso le relazioni strette di carattere politico esistenti tra amalfitani romanico-bizantini e longobardi salernitani.

Ad Atrani vi era la chiesa di S. Michele ai confini settentrionali del tessuto urbano, detta de Porta e documentata sin dal 1105; nata come eremo altomedievale, ha funzionato nei secoli moderni come cimitero. Poi nel 1062 Giovanni, discendente del comes Giovanni, capostipite dei Napolitano, dei Cappasanta e dei Platamone, fondò il monastero femminile benedettino di S. Michele ad Mare sulla spiaggia di Atrani; esso fu chiuso nel 1269 e le ultime monache rimaste passarono al cenobio di S. Maria Dominarum collocato sulla sovrastante collina.

A Scala esisteva la chiesa di S. Angelo de Petralena nel 1191.

Il centro amalfitano che ospitava il maggior numero di luoghi di culto micaelici era sicuramente Ravello. Lì, infatti, si contavano le chiese di S. Angelo del Toro (1231), S. Michele Arcangelo a Peperone (1096), S. Michele in Tirrinio (1033), S. Angelo de Ponticeto (1039). Ma le più rilevanti furono di certo la parrocchiale di Torello, che presenta tuttora un meraviglioso impianto del XII secolo con tre navate divise da colonne e capitelli di spoglio, e S. Angelo dell’Ospedale, accanto alla quale fu costruito il primo nosocomio del territorio amalfitano nel 1170.

Dopo Ravello segue Maiori con le chiese di S. Michele de Alliola (1060), presente in un villaggio scomparso sopra Cetara, S. Michele de Ponte Primaro (1343), S. Angelo de lu Tisitu (1252), S. Angelo de Pinello (1484). Vi era poi il monastero di S. Angelo di Vecite (1272).

Sui monti del ducato erano distribuiti altri luoghi di culto.

Agerola presentava la chiesa di S. Angelo de Iubo nel 1306; Tramonti era interessata dalle chiese di S. Angelo de la Plancolella (1138), S. Michele di Paterno Maggiore (1423), S. Angelo di Paterno Minore (1326). Particolare importanza riveste la chiesa rupestre di S. Angelo de Gradu di Gete, attestata fin dal 1181, la quale conserva una pregevole architettura segnata da archi acuti e volte a crociera. Inoltre sui monti confinanti col territorio cavese esisteva il monastero dei Ss. Maria e Michele in Duliaria (972).

Il centro urbano di Amalfi presentava le chiese di S. Michele a Capo di Croce (XI secolo) e S. Angelo de Intus Muro (1238), una delle nove parrocchiali cittadine, distrutta dalle tempeste del mare.

Nei casali occidentali della città di Amalfi si trovavano altre testimonianze cultuali: a Conca dei Marini era ubicata la chiesa di S. Angelo de Penna (1424); a Praiano una chiesa di S. Angelo (1132); a Vettica Maggiore una di S. Arcangelo (1416); a Pogerola la chiesa di S. Michele ad Ortello, fondata tra 1179 e 1181 dal mercante Orso Castallomata e impostata su di una pianta centrale di tipo armeno.

Concludiamo con la chiesa che ha ospitato la giornata di studio: la parrocchiale di Vettica Minore. Essa sarebbe stata documentata per la prima volta, secondo lo storiografo amalfitano Matteo Camera, nel 1208, quando il suo patronato sarebbe appartenuto alla nobile stirpe dei de Comite Orso. Compare nelle fonti documentarie soltanto nel 1321 sotto l’intitolazione all’Arcangelo Michele; allora conteneva una cappella di proprietà di Marino Casanova. Una fonte cronachistica seicentesca sostiene che la chiesa fu fondata dalla famiglia Sarcaja di Conca, una stirpe di mercanti-navigatori che nel corso del XIV secolo fece regguardevoli fortune economiche.

La presenza del culto micaelico a Vettica Minore e le corrispondenti testimonianze a Vettica Maggiore e a Vecite di Maiori possono essere spiegate dal fatto che queste tre realtà territoriali amalfitane erano luoghi di confine, cioè di accesso a configurazioni urbane meglio definite. Infatti, il toponimo Vettica potrebbe derivare dal latino vectigal, una tassa pagata per l’ingresso in città classiche e medievali.

L’interno di S. Michele di Vettica Minore è ad una sola navata, orientata regolarmente con l’altare principale verso est come moltissime chiese medievali, con quattro cappelle per lato e un’abside rettangolare voltata a botte lunettata. Essa ha subìto rinnovamenti e trasformazioni nel corso dei secoli. Si riconoscono elementi architettonici cinquecenteschi e una trasformazione tardo-settecentesca. E’ affiancata da un campanile formato da quattro ordini quadrati, sormontati da una calotta emisferica rivestita di embrici maiolicati. I colori di questi smalti ottocenteschi richiamano il verde dei terrazzamenti coltivati e delle selve scoscese, dei limoni penzolanti nel vuoto, del mare e del cielo di Vettica; colori pronti a delineare un luogo d’incanto e di paradiso glorificato dalla retorica domanda: Quis ut Deus?

redazione
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