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Amalfi

Il poverello di Assisi ad Amalfi?

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di GIUSEPPE GARGANO

Molteplici sono le leggende e le tradizioni, diffuse in tutt’Italia, relative al passaggio, alla presenza o addirittura alla permanenza di san Francesco di Assisi in singoli e particolari luoghi della penisola. Amalfi e la sua costa non potevano di certo mancare. Nel nostro caso si tramanda la stabile residenza del santo assisiate, durata un biennio, in una camera sita tra i ruderi della rocca di S. Sofia o castello di S. Croce, collocata verso l’estremità meridionale del promontorio che cala verso il mare, sul quale si sviluppa il rione urbano di Capo di Croce. E’ chiaro che ciò è impossibile. Ad ogni modo la tradizione della sua venuta in terra amalfitana è avvalorata da tre versioni riportate a partire dallo scorrere del secolo XVI. Tali versioni recano differenti date: 1218, 1220 e 1222. L’ultima è sicuramente da eliminare, in quanto, come ha chiaramente dimostrato mons. Accrocca, arcivescovo di Benevento e massimo studioso della vita del santo, nel recente appuntamento convegnistico ravellese del 20 settembre, Francesco in quell’anno era “in altre faccende affaccendato”, impegnato soprattutto nella stesura della regola. Restano, comunque, in palio le altre due date; tra di esse vi è il 1219, anno in cui Francesco si recò in visita dal sultano, al fine di evitare gli assurdi spargimenti di sangue tra cristiani e musulmani inerenti alle crociate. Egli si sarebbe potuto imbarcare, almeno nel viaggio di ritorno, su di una nave amalfitana, come accadeva spesso ai pellegrini in visita alla Terra Santa, primi tra i quali ci piace segnalare i quaranta normanni che nel 1016 salvarono Salerno da un attacco saraceno; altri casi simili sono indicati nelle lettere della Gheniza del Cairo, magistralmente studiate da David Jacoby. Ma le cronache più o meno coeve provano che ciò non potette avvenire.

Le tre versioni della tradizione presentano un rilevante elemento comune: san Francesco sarebbe giunto ad Amalfi, insieme al suo braccio destro Bernardo da Quintavalle, su invito dell’arcivescovo Giovanni Capuano, per pregare sulla tomba dell’apostolo Andrea, il cui corpo era stato da pochi anni tumulato nella cripta della cattedrale della città marinara, trasportato da Costantinopoli (8 maggio 1208) dal cardinale amalfitano Pietro Capuano, legato pontificio alla IV Crociata. Ciò sembra verosimile e potette accadere in una delle due date rimaste in sospeso, 1218 o 1220.

Se fosse davvero venuto ad Amalfi, cosa avrebbe visto, in particolare dai punti di vista urbanistico e sociale? Quasi certamente sarebbe sbarcato dal mare, forse su di un buctius amalfitano, una nave mercantile lunga circa 22,5 m. e dalla forma tozza di botte (da cui il nome), spinta da tre vele, di cui la centrale quadra e le altre due, terzarolo e di trinchetto, triangolari, della capacità di 100 t. Davanti ai suoi occhi si sarebbe spalancato lo splendido panorama di una città davanti al mare, ancora competitiva sul piano marittimo-commerciale,  con il molo ad occidente iniziato da Pietro Capuano, costituito da un braccio lungo circa 178 m. e realizzato in opus pilarum, cioè con archi aperti e pilastri, al fine di far circolare l’acqua nel bacino da esso recluso ed evitare l’insabbiamento. Quindi proprio davanti alla città avrebbe notato le antiche banchine e gli attracchi risalenti almeno al secolo XI, con lo Scario (il cantiere all’aperto per le navi mercantili) e il bacino di carenaggio, protetto dalla fortificazione del promacus, per le galee da guerra, puntualmente costruite nell’arsenale allora fondato su 22 pilastri, di cui oggi ne restano soltanto 10. Ai suoi occhi si sarebbe aperta la visione dell’Imbulus, l’emporio commerciale della città con il retrostante palazzo ducale ormai abbandonato e sostituito dalla Curia sveva, collocata in posizione più centrale rispetto all’assetto urbano, accostata dai ruderi del bagno pubblico, la stazione termale dell’aristocrazia, e dalla cappella regia di S. Pietro de Curte. La solida cortina muraria marittima conteneva alcuni accessi: la Porta de Sandala (oggi Porta della Marina Piccola), la Porta de la Turre, la Porta de Cancella. Dietro le mura si estendevano le piazze commerciali: la Platea Carnium et Piscium (mercato della carne e del pesce), la Platea Campsorum (dei cambiavalute), la Platea Bammacariorum (dei venditori di stoffe). Campeggiava in posizione centrale il turrito fondaco dei Capuano, dove forse nacque il cardinale Pietro.

Volgendo lo sguardo ad occidente e puntando in alto, Francesco avrebbe scorto il monumentale monastero cistercense di S. Pietro della Canonica con il suo chiostro moresco, fondato da Pietro Capuano nel 1212. Dopo averlo visitato, sarebbe sceso sulla via pubblica, al di sotto della quale e prossima al litorale era collocata la Dogana Vecchia. Sarebbe entrato in città attraverso la Porta de la Canonica e avrebbe attraversato il rione Vallenula, dove dimoravano da lungo tempo le famiglie di origine bizantina, tra cui i Galatolo, che risiedevano in un hospitium domorum, un edificio palaziale di quattro livelli con chiesa patrizia, oggi noto come “Lampione”. In quel rione si trovavano le chiese cassinesi di S. Nicola, S. Biagio, S. Maria, S. Croce e S. Benedetto, collocata nel fondaco del monastero di Montecassino. La scala pubblica che attraversava Vallenula conduceva nella Platea Fabrorum, dove operavano i fabbri nelle botteghe direttamente collegate all’arsenale; da quel sito cominciavano ad abbondare i fundaci domorum, case-azienda dell’aristocrazia mercantile che contenevano al terraneo botteghe e ai terzi piani filatoi domestici gestiti dalle donne, nonché le domus dei mediocri, i borghesi dell’epoca.

La città, divisa in due sezioni dal fiume Canneto che allora scorreva allo scoperto, era distinta in dieci rioni, caratterizzati da nove chiese parrocchiali, che, seguendo una digressione a ferro ci cavallo, partendo dal lato occidentale, scendendo sul litorale, avanzando verso oriente e risalendo a settentrione, erano: Ss. Filippo e Giacomo, Ss. Quaranta Martiri, S. Stefano, S. Maria de Sandala, S. Maria de Turri, S. Angelo de intus muro, S. Lorenzo del Piano, S. Maria Maggiore, S. Simone. Seguendo l’itinerario lungo il versante occidentale verso nord, per poi scendere a sud lungo la sponda orientale, il santo di Assisi avrebbe incontrato nel rione Arsina le dimore della potente famiglia dei del Giudice, quindi nel rione Campo il monastero benedettino femminile di S. Nicola. Giunto alla porta settentrionale, uscendo attraverso di essa, sarebbe entrato nell’area delle attività produttive, iniziata dall’ospedale di S. Maria fuori porta, edificato da Pietro Capuano tra il 1208 e il 1213, nei cui pressi avrebbe assistito alla produzione della carta a mano in una delle più antiche cartiere del territorio.

Proseguendo sul lato orientale, avrebbe attraversato il lungo portico della Via de li Pili e poi avrebbe visitato il complesso della cattedrale, composto dalle due basiliche accostate e comunicanti dell’Assunta e di S. Andrea apostolo, per poter finalmente pregare nella cripta, costruita nel 1203, sulla tomba del Protoclito. Puntando lo sguardo in lato sul Monte Aureo, avrebbe notato il monastero di S. Lorenzo del Piano, dove sin dal 1852 vi è il cimitero, sovrastato dalla possente torre di S. Felice, poi detta “dello Ziro” per la successiva forma “orbicolare”. Si sarebbe, quindi, incamminato attraverso la via pubblica del rione Capo di Croce, alla fine del quale avrebbe incontrato l’antica chiesa dedicata a S. Sofia e alla S. Croce, collocata nel contesto del castello omonimo, allora allo stato di rudere. E proprio qui avrebbe avuto l’ispirazione per suggerire ai ricchi e ancora doviziosi amalfitani di edificare un convento francescano, affinchè l’opera dei frati mendicanti avesse potuto contribuire alla rinascita spirituale dell’intero popolo. E così la scintilla accesa da san Francesco avrebbe suscitato un grande incendio: all’antica costellazione monastica benedettina diffusa sull’intero territorio dell’archidiocesi amalfitana andava gradualmente a sostituirsi quella nuova dell’Ordine dei Minori Conventuali.      

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