di DONATO SARNO
Ogni anno la città di Maiori festeggia solennemente la sua Protettrice Maria SS. Assunta, venerata sotto il titolo di Santa Maria a Mare, sia il 15 agosto sia la terza domenica del mese di novembre. La presenza nell’anno di più di una festa per uno stesso Santo Patrono non si riscontra invero solo a Maiori, ma è attestata in molti altri paesi: il fenomeno si spiega, in generale, tenendo a mente il profondo senso religioso e la profonda fede che animavano i nostri avi.
I fedeli, infatti, si sentivano in dovere di celebrare il loro Patrono, oltre che nel giorno liturgicamente fissato dalla Chiesa, anche nell’ulteriore o negli ulteriori giorni in cui la loro comunità aveva ottenuto particolari grazie o miracoli per intercessione del Patrono stesso, a cui si era rivolta supplichevole nel momento del bisogno. Mentre perciò l’istituzione della festa patronale nel giorno liturgico è, di regola, assai antica, avendo avuto inizio fin dal momento della scelta del Santo Patrono, le ulteriori feste patronali, proprio perché intendono ricordare portenti successivamente ottenuti, hanno origini più recenti.
Nel caso di Maiori, in cui la festa patronale del 15 agosto è già attestata in epoca tardo medioevale, la seconda festa patronale risale al XVIII secolo e si lega a fatti ben precisi. Notoriamente i mesi di ottobre e novembre sono stati nei nostri territori assai piovosi (solo negli ultimi tempi ciò si è notevolmente ridotto per i cambiamenti climatici in atto), tanto che il maggior numero di alluvioni storicamente documentate si è verificato durante tale periodo. Violentissime furono le alluvioni del 9 novembre 1735 e dell’11 novembre 1773, che causarono in molte zone gravi danni e sciagure. In entrambe le circostanze, i Maioresi, che vivevano in un territorio fortemente a rischio perché attraversato da un fiume e circondato da montagne, temendo per la loro vita e i loro beni, si rivolsero con fede a Santa Maria a Mare e, in entrambe le circostanze, la città fu preservata dalla furia delle acque, malgrado essa fosse impressionante. Sia nel 1735 sia nel 1773 i Maioresi gridarono al miracolo e decisero – come scrive lo storico Filippo Cerasuoli – che, in segno di ringraziamento per le due “portentose preservazioni dall’irresistibile subisso di due tremende fiumane”, per il futuro venisse celebrata “suntuosamente” ogni anno una seconda festa patronale la terza domenica del mese di novembre, facendola precedere da un solenne novenario di preparazione. Questa festa è stata pertanto definita, onde distinguerla da quella del 15 agosto, festa del patrocinio di Santa Maria a Mare, vale a dire festa a ricordo della difesa operata dalla Vergine a vantaggio di Maiori.
La festa di novembre è così arrivata dal XVIII secolo fino ad oggi. Certamente rispetto al passato molte cose sono cambiate, e specie negli ultimi anni: non vengono più chiamati in Collegiata valenti predicatori per la novena e le funzioni sono meno frequentate e solenni di un tempo; la processione non vede più la partecipazione del Capitolo della Collegiata, del tutto scomparso, e non ha quel seguito generale e devoto di fedeli che si vede nelle vecchie fotografie. Malgrado però la secolarizzazione in atto, la festa patronale di novembre, che nel 2022 cadrà il giorno 20, continua ancora ad essere sentita a Maiori: essa si svolge in clima prenatalizio, suggestivo e raccolto, con la prima Messa celebrata di notte anteriormente all’alba, senza la confusione estiva, e la stessa processione attraversa, com’è giusto, tutte le strade cittadine e non già solo il Corso Reginna, come avviene ad agosto da più di cinquantennio per ragioni di traffico.
Ricordare oggi, a distanza di quasi trecento anni, l’origine della festa patronale di novembre non serve solo a comprendere le ragioni che sono alla base di un evento: serve altresì a rendere omaggio alla fede dei nostri padri e, al contempo, ad esprimere il dovuto apprezzamento a quanti, a vario titolo, si sono adoperati e si adoperano nell’organizzazione della festa, in maniera che le tradizioni, lungi dall’andar disperse e/o disprezzate, si conservino ed anzi si recuperino e si valorizzino. In quelle tradizioni c’è l’identità vera e genuina di un popolo e proprio da quelle tradizioni – e non certo da vuote ed effimere innovazioni, prive, come tali, di radici e di vera capacità attrattiva – il declinante senso religioso del nostro tempo può trovare alimento e rinforzo.