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La lotta contro le mosche. Maiori e la caduta del fascismo

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di DONATO SARNO

Come certamente ricorderanno gli anziani, una volta c’erano molte più mosche in giro rispetto ad oggi e ciò dipendeva da più motivi, tra cui, principalmente, la presenza sulle strade di escrementi, legata al transito di carrozze, carretti e bestie da soma, la presenza di animali da cortile e di stalle anche all’interno dei centri abitati, la scarsa igiene di persone e cose per carenza di acqua corrente nonché la mancanza dei pesticidi e degli insetticidi.

Le tantissime mosche, specie d’estate, oltre che assai fastidiose, erano pericolose per la salute pubblica, in quanto costituivano il tramite di malattie ed infezioni. Il governo fascista, nell’intento di migliorare le condizioni di vita della Nazione, intraprese una vera e propria “lotta contro le mosche”, come recitava una legge a riguardo emanata, la legge 29 marzo 1928, n.858, a cui seguirono un decreto del Capo del Governo datato 20 maggio 1928 e numerose circolari ministeriali.

La “lotta” fu articolata attraverso varie misure, quali il miglioramento della nettezza urbana e della pulizia degli ambienti (in primis delle stalle), e coinvolse necessariamente i Comuni. I Comuni, in particolare, assumevano in quegli anni durante l’estate alcuni soggetti (poteva trattarsi di operai già dipendenti o di personale provvisorio reclutato a tempo determinato) e li incaricavano, dietro compenso in denaro, di un compito semplice e preciso: uccidere le mosche, così da ridurne drasticamente il numero. La lotta alle mosche veniva considerata – per usare le parole delle circolari ministeriali – “affermazione di civismo” e “mezzo indispensabile di difesa contro il propagarsi di malattie”.

Le delibere adottate a riguardo dai Podestà (organi di nomina governativa che avevano sostituito, assommandone i poteri, il Sindaco, la Giunta ed il Consiglio) recepivano pienamente la retorica fascista: contro i “nefasti insetti alati” le persone assunte dovevano muovere una guerra continua ed accanita, sterminandoli col massimo impegno e senza alcuna pietà, in nome dell’igiene e del progresso.

Ottanta anni or sono era Podestà di Maiori Carlo d’Amato, appartenente a distinta famiglia, a sua volta imparentata con altre distinte famiglie locali (Cimini, Conforti etc.); egli abitava nel bel palazzo degli avi ubicato lungo il Corso Reginna (lo stabile avrebbe poi subito, nel giugno 1988, un tragico crollo) ed era abitualmente chiamato “don Carlino”, anteponendosi cioè al suo nome il titolo onorifico di “don”, come si usava fare in segno di rispetto verso le persone di ceto elevato. Sabato 24 luglio 1943 il Podestà d’Amato adottò una deliberazione, contrassegnata col numero 26, nella quale disponeva il pagamento della somma di lire trecento (corrispondenti a poco più di cento euro di oggi) in favore del dipendente salariato Tommaso D’Acunto, quale compenso dovuto per essere egli “adibito al servizio per la lotta contro le mosche”.

Di certo don Carlino non avrebbe quel giorno mai immaginato che tale sua deliberazione sarebbe stata l’ultima ad essere adottata sotto il governo del Duce ed a recare, accanto all’indicazione dell’anno civile (il 1943), la prescritta obbligatoria indicazione dell’anno fascista in numeri romani (anno XXI), il quale decorreva dal 28 ottobre 1922, data della Marcia su Roma. Invero in quel periodo, oltre alla ormai abituale guerra contro le mosche, infuriava da più anni una guerra ben più vasta e crudele, ossia la seconda guerra mondiale, che, specie dopo lo sbarco delle truppe anglo-americane in Sicilia avvenuto il 10 luglio 1943, appariva ormai irrimediabilmente persa per l’Italia. Era un momento davvero difficile: pesanti bombardamenti colpivano ripetutamente molte città, causando rovine e morti, e tra il 17 e il 18 luglio 1943 una bomba cadde anche ad Amalfi e fece più vittime, per cui le popolazioni civili, che già avevano patito la fame per la penuria dei generi alimentari, vedevano ora con terrore, anche in Costa d’Amalfi, messe a repentaglio le loro case e la loro stessa vita. Di fronte al precipitare degli eventi, a poche ore di distanza dall’adozione della ricordata deliberazione podestarile, il Gran Consiglio del Fascismo, riunitosi a Roma nella notte tra il 24 ed il 25 luglio, invitò il Re Imperatore Vittorio Emanuele III a riprendere la pienezza dei suoi poteri sfiduciando Mussolini, che venne perciò destituito ed arrestato. Vittorio Emanuele nominò in sua vece Capo del Governo il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, provocando la fine del Fascismo, e di ciò nella tarda sera dello stesso 25 luglio la radio diede ufficiale notizia.

Il Fascismo, dopo essere stato per più anni oggetto di un’adesione diffusa ma, a ben vedere, non di rado passiva e superficiale, improvvisamente venne così a crollare d’un colpo, a causa dell’impatto con una realtà bellica male gestita ed ormai insostenibile, che avrebbe dovuto far grande l’Italia e che invece la stava portando nell’abisso. Subito si stracciarono gagliardetti, divise, si abbatterono aquile, fasci littori e busti del Duce, mentre si sopprimevano le principali istituzioni del Ventennio. Molti accesi fascisti divennero improvvisamente accesi antifascisti e, tranne alcuni aperti nostalgici, tutti quelli che erano vissuti durante quel periodo tesero a dimenticarlo, salvo poi talvolta a rimpiangerne – più o meno celatamente – alcuni valori, quali l’ordine, la disciplina, l’amor patrio, messi in crisi dal rapido mutar dei costumi negli anni successivi. A soffrirne o comunque a sbandarsi, dopo il 25 luglio 1943, furono prevalentemente i più giovani, i quali, educati ed avvezzi fin da piccoli – come scrisse il professor Luigi Di Lieto ricostruendo la storia di Minori, a vedere solo “Nazione, bandiere, gagliardetti, sfilate e Fasci” e “convinti che tutto il buono del mondo vestiva la camicia nera e che tutto il resto fosse marciume in sfacelo”, assistevano d’un tratto al venir meno di tutto ciò in cui fino ad allora avevano ciecamente creduto.

Dopo il 25 luglio 1943, si ebbe cura di far sparire dagli atti legislativi ed amministrativi ogni riferimento al crollato Regime, a cominciare dall’anno fascista, prontamente eliminato: a Maiori esso fu riportato per l’ultima volta proprio in una deliberazione podestarile che parlava di lotta alle mosche. Quella lotta, su cui il Regime tanto aveva insistito e su cui tanto si era speso, per singolare combinazione venne a coincidere con la sua fine.

redazione
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