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Landolfo Rufolo di Ravello: nel Decameron di Boccaccio la fortuna muove il mondo e l’ingegno cerca di contrastarla

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di NOVELLA NICODEMI

Nella Firenze sconvolta dalla peste del 1348 dieci giovani si ritirano in campagna per isolarsi da un presente drammatico e ristabilire i valori dell’humanitas, del tutto sovvertiti dalla pandemia, raccontando dieci novelle al giorno per un totale di cento novelle. Viene così celebrato da Boccaccio nel Decameron il supremo potere della parola: grazie al linguaggio e alla condivisione di storie si cerca di reagire alla brutalità della realtà, ripristinando l’ordine scardinato dal venir meno di ogni convenzione sociale. Molteplici i personaggi che affollano quello che è a tutti gli effetti uno dei capolavori della letteratura italiana. Tra questi spicca sicuramente la figura del mercante verso il quale Dante non esprimeva certo un giudizio positivo, ravvisando anzi proprio nel commercio con i suoi “subiti guadagni” l’origine dell’avarizia.

Nella Seconda giornata del Decameron, dedicata al tema della fortuna e delle peripezie da essa causate, si narra “di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine” La Fortuna è quindi il filo conduttore delle novelle di questa giornata che presenta, come sottolineava il critico A. Asor Rosa, una «prevalente vocazione romanzesca», particolarmente evidente nella novella di Landolfo Rufolo.

Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più dilettevole parte d’Italia; nella quale assai presso a Salerno è una costa sopra il mare riguardante, la quale gli abitanti chiamano la costa d’Amalfi, piena di picciole città, di giardini e di fontane e d’uomini ricchi e procaccianti in atto di mercatantia sì come alcuni altri . Tralle quali cittadette n’è una chiamata Ravello, nella quale, come che oggi v’abbia di ricchi uomini, ve n’ebbe già uno il quale fu ricchissimo, chiamato Landolfo Rufolo; al quale non bastando la sua ricchezza, disiderando di radoppiarla, venne presso che fatto di perder con tutta quella se stesso.

Le disavventure di Landolfo, che la sete di guadagno trascina lungo le coste italiane e poi attraverso il Mediterraneo, sono lo scheletro narrativo di una perfetta novella di viaggio narrata con formidabile eloquenza rappresentativa. Costruita secondo l’ordine cronologico-logico degli avvenimenti, dal punto di vista strutturale quindi assume la veste di fabula. Una narrazione lineare che fa del mare, emblema degli imprevisti della vita, il suo focus costante.

Landolfo Rufolo, impoverito, divien corsale e da’ genovesi preso rompe in mare e sopra una cassetta di gioie carissime piena scampa; e in Gurfo ricevuto da una femina, ricco si torna a casa sua.

Landolfo Rufolo è un commerciante di Ravello che, nonostante sia già ricchissimo, per aumentare i suoi averi compra una grossa nave su cui carica mercanzie che venderà a Cipro. Qui però, costretto a svenderle per la concorrenza, pensa di dedicarsi alla pirateria che gli frutta in un anno un enorme guadagno. Guadagno che gli viene sottratto dagli equipaggi di due grandi navi genovesi su una delle quali, fatto prigioniero, si salva nel corso di un naufragio aggrappandosi a una cassa, che solo in seguito scoprirà essere stracolma di pietre preziose. A Corfù viene assistito e ospitato da una donna e poi, sulla strada del ritorno, incontra a Trani dei suoi concittadini che lo aiutano. Tornato a Ravello, Landolfo, vendendo tutte le pietre, si ritrova a guadagnare il doppio del denaro con cui era partito. Dopo aver donato parte dei soldi a chi lo aveva aiutato, decide di usare quel ricavato per vivere agiatamente senza più dedicarsi alla mercatura.

La Fortuna è la forza che muove il mondo. Insieme all’Amore e all’Ingegno occupa un posto di rilievo nell’opera che rappresenta uno straordinario affresco dell’umanità trecentesca in cui nuove classi sociali si affiancano alla nobiltà. Il mercante però possiede una dote come l’Industria che gli consente di reagire ai colpi della Fortuna senza mai, in ogni caso, avere la presunzione di piegarla o guidarla. Fronteggia insidie e agguati della Fortuna solo con la propria intelligenza: con dinamismo e vitalità l’intrepida figura del mercante ne schiva i tranelli quando gli riesce oppure soccombe per poi rialzarsi in infiniti cicli di lotta, non risparmiandosi, sempre pronto a sferrare colpi che possono andare bene o male. Quel complesso di circostanze fortuite e casuali che è la Fortuna, pone infiniti ostacoli e opportunità sulla strada del mercante che, di contro, è chiamato ad avvalersi di astuzia e capacità di iniziativa per cercare, senza garanzie di riuscita, di avere la meglio.

Boccaccio non giudica ma, raccontando le disavventure dei mercanti, da un lato mette in evidenza quanto il destino di ognuno sia in balia di forze incontrollabili dall’altro rimarca quanto il mercante, portato a cercare il guadagno a tutti i costi senza scrupoli morali, fosse naturalmente esposto a continui stravolgimenti della sorte. E questo Boccaccio lo sapeva bene per esperienza personale. Al seguito di suo padre, mercante e agente della Compagnia De’ Bardi, Giovanni aveva infatti trascorso la sua giovinezza a Napoli non solo alla corte di Roberto d’Angiò ma anche nell’ombra del banco dei Bardi, accanto al fondaco dei Frescobaldi. Dalla sua esperienza concreta, che gli aveva consentito di osservare e studiare una vasta casistica di persone, ha tratto ispirazione per esempio per la novella di Andreuccio. Mentre Andreuccio da Perugia inizialmente è molto ingenuo ma poi riesce a cogliere l’occasione per salvarsi, Landolfo prima di avventurarsi a Cipro ha “fatti suoi avvisi” mostrando invece avvedutezza. Resta comunque il dato oggettivo che la ragion di mercatura non ammette implicazioni morali, tant’è vero che Landolfo non si fa problemi a diventare un pirata pur di ritornare ricco.

redazione
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