Oggi, 2 novembre, giorno della commemorazione dei Defunti, proponiamo ai nostri lettori “‘A Livella”, celebre poesia del principe Antonio De Curtis, il grande “Totò”.
Chi di noi non l’ha apprezzata per poi innamorarsene?
Un vero capolavoro della letteratura napoletana del secolo scorso, sia per il contenuto di particolare profondità, sia per la semplicità di colloquio dei protagonisti.
Il tema di fondo dell’intera poesia è quello della morte, in merito alla quale Totò afferma che essendo tutti uguali, ricchi e poveri, e non essendo nessuno di noi immortale, ci attenderà il medesimo “livello” conclusivo: la dissoluzione in cenere.
La morte, tuttavia, non fa paura ed è anzi descritta in modo umoristico, di sapore agro-dolce, nel tentativo di sdrammatizzare l’evento finale e di renderlo apprezzabile al lettore, riuscendo nel contempo a trasmettere il messaggio in essa racchiuso: cioè, di servirsi della morte per esaltare la vita.
La poesia è ambientata in un cimitero, dove un malcapitato rimane chiuso. Totò assiste incredulo al discorso tra due ombre: un marchese e un netturbino. Il marchese si lamenta del fatto che il netturbino si sia fatto seppellire accanto a lui, ma il netturbino gli fa notare che non è stato lui a scegliere dove esser seppellito; vedendo che il marchese continua con il suo lamento, il netturbino perde la pazienza e gli ricorda che, indipendentemente da ciò che si era in vita, col sopraggiungere della morte si diventa tutti uguali.