di NOVELLA NICODEMI
Le immagini scioccanti di Ilaria Salis, l’italiana a processo in Ungheria, tradotta in catene in tribunale hanno fatto il giro del mondo.
L’abbiamo vista portata al guinzaglio come un animale da circo, incatenata come un pericoloso serial killer, trascinarsi coi ceppi ai piedi e lucchetti in bella mostra.
Che sia una donna non aggiunge un surplus di gravità.
Neanche che sia una nostra connazionale.
Si tratta di un essere umano privato della sua dignità.
Senza voler scendere nel merito della questio sul reato per il quale sarà processata, sull’innocenza o colpevolezza, sui rapporti diplomatici tra i due paesi, e sulle posizioni politiche, sul sistema giudiziario e penitenziario ungherese in contrasto con le normative europee, e sulle condizioni dei detenuti nelle carceri, ci sembra doveroso, semplicemente, soffermarci su quelle immagini che ci hanno fatto venire i brividi. E fare delle riflessioni.
Perché qui entra in gioco il rispetto dei diritti umani. Abbiamo avuto la netta sensazione che, oltre al processo in senso stretto, sia messo in atto un processo di disumanizzazione. In Ungheria, come in diversi altri paesi, sembra proprio essere questo il trattamento riservato a tutti gli imputati in un tribunale.
Scene (comunque solo in parte simili) a cui noi italiani non assistiamo più dal 1992, quando, con la legge 492 del 1992, venne introdotto “il principio generale che, salvo particolari circostanze come la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga, non fosse ammesso l’uso delle manette nella traduzione del recluso”.
Il nostro pensiero va inevitabilmente ai 2455 nostri connazionali attualmente detenuti all’estero. Possiamo facilmente immaginare che molti di loro siano sistematicamente e brutalmente privati, in diverse forme e modi, della propria dignità.
Ma in cosa consiste la dignità?
Se nella famosa Oratio de hominis dignitate nel 1486 l’umanista Giovanni Pico della Mirandola la identifica sostanzialmente nel possesso e nell’uso consapevole dell’intelletto, fu Kant nel ‘700 a formularne una prima definizione moderna: “L’uomo, e in generale ogni essere razionale, esiste come fine in sé stesso, non semplicemente come mezzo da usarsi a piacimento per questa o quella volontà”.
“La condizione di nobiltà ontologica e morale in cui l’uomo è posto dalla sua natura umana, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a sé stesso” leggiamo nell’enciclopedia Treccani alla voce dignità.
Il concetto di dignità implica quindi necessariamente il concetto imprescindibile di rispetto.
Semplificando, la dignità, in quanto valore posseduto da ogni essere umano in quanto tale, va rispettato per ogni singolo individuo. Si tratti degli altri o di noi stessi.
Vivere – e morire – con dignità dovrebbe essere un diritto di tutti.
E invece la storia ci offre una lunga carrellata di sistematiche violazioni della dignità umana.
C’è sempre stato chi si è arrogato il diritto di togliertela con la violenza e il sopruso la tua sacrosanta dignità. Penso, con uguale orrore e raccapriccio, agli ebrei denudati e vilipesi nei campi di concentramento, ai nativi americani confinati nelle riserve e avvelenati senza scrupoli, ai palestinesi privati della loro casa e della loro terra, ai neri schiavizzati come bestie da soma nelle piantagioni, agli italiani dell’Istria gettati nelle foibe. Alle torture, gratuite e disumane, inflitte ai detenuti nelle carceri. Vergogne e orrori della storia che in forme diverse si stanno riproponendo con la stessa brutalità nel nostro presente.
Ma, allargando il senso di questo ampio concetto che racchiude diverse sfumature, ci viene da pensare anche alla dignità degli animali, quando ad esempio capita di vederli sottoposti a degradanti ‘cure estetiche’ o infagottati in improbabili e ridicoli outfit di cui farebbero volentieri a meno. Chissà quanti improperi destinerebbero al loro padrone se avessero la possibilità di parlare!
A volerla dire tutta, siamo fortemente convinti che anche i luoghi abbiano la loro intrinseca dignità, che hanno il diritto di conservare intatta. Degrado, incuria, arrogante sprezzo delle regole, abusivismo, reati contro l’ambiente sono ferite profonde che non riguardano solo il decoro esteriore ma violano nel profondo l’identità e l’anima dei luoghi, che meritano invece cura e tutela.
Perdere la dignità è un attimo.
Nella dimensione del privato e del quotidiano, quando consenti a qualcuno di farti del male, di approfittarsi di te, di tradire la tua fiducia, ecco che la tua dignità ti scivola via, goccia dopo goccia, fino a prosciugarti dentro. Succede tutte le volte che non ti dai il valore che meriti, quando non rispetti te stesso. Robert W. Fuller, fisico, diplomatico ed educatore, ha introdotto il termine runkismo per riferirsi a tutte quelle umilianti situazioni, in crescita esponenziale – molestie, discriminazioni sessiste, mobbing – che nella società attuale, in modo silenzioso e subdolo, ci sottraggono ogni giorno un po’ della nostra dignità.
Contro la deriva della civiltà occidentale, bisogna partire da questa consapevolezza.