21.9 C
Amalfi

Può essere solo un’operazione culturale?

ultima modifica

Share post:

spot_imgspot_imgspot_img

di FRANCESCO CRISCUOLO

Ha riscosso un ampio plauso il recente annuncio del ministro dell’Istruzione e del Merito riguardo all’introduzione, a partire dall’anno scolastico 2026-27, del latino, del rilievo preminente della storia d’Italia, segnatamente di quella dal dopoguerra ad oggi, dei poemi omerici, delle Sacre Scritture nei programmi del primo ciclo scolastico. Particolare interesse ha suscitato l’inclusione dello studio della Bibbia nelle nuove “Indicazioni nazionali”, in quanto esso colma un vuoto nella formazione integrale degli adolescenti e viene incontro ad un’esigenza ineludibile, segnalata da decenni da vari intellettuali laici e da esponenti dell’ebraismo e delle Chiese cristiane.

L’analfabetismo biblico è, infatti, una piaga diffusa in Italia, che preclude la comprensione delle componenti più caratterizzanti della civiltà occidentale, dall’arte alla struttura dei paesaggi urbani e rurali, dall’architettura al linguaggio popolare, dalle costumanze antropologiche alle festività e ricorrenze ultrasecolari. Non è improbabile l’eventualità che ci possano essere tra le nuove generazioni, di qui ai prossimi anni, persone incapaci di distinguere una chiesa cattolica da una sinagoga o da una moschea o da una pagoda buddista.

Non è possibile interpretare e apprezzare correttamente la complessità dell’armamentario lessicale, letterario, filosofico, sociologico e scientifico tramandato da secoli o gli stessi valori etico – civici della costituzione senza essere in possesso delle chiavi di lettura fornite dal Vecchio e Nuovo Testamento, né è agevole favorire l’integrazione di chi proviene da altre tradizioni religiose se non si è in grado di far conoscere le proprie radici. Stanno a dimostrarlo, tra le innumerevoli testimonianze, la “Divina Commedia”, il “Paradiso perduto” di Milton, la lirica mistica di S. Giovanni della Croce e di S. Teresa d’Avila, “I promessi sposi”, “Il Processo” di Kafka, che riecheggia la drammatica parabola di Giobbe.

Leopardi afferma nello “Zibaldone”: “La Bibbia e Omero sono i due gran fonti dello scrivere. Non per altro se non perché, essendo ì più antichi, sono i più vicini alla natura, sola fonte del bello, del grande, della vita, della varietà”.

Un filosofo come Nieztsche, notoriamente poco vicino alla sensibilità religiosa, ha scritto in “Aurora”: “Per noi Abramo è più di ogni altra persona della storia greca o tedesca. Tra ciò che sentiamo alla lettura dei Salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro o di Petrarca c’è la stessa differenza che tra la patria e la terra straniera”.

Dunque, l’input dell’apprendimento scolastico fa da catalizzatore dell’acquisizione di contenuti imprescindibili per credenti e non credenti e costituisce, inoltre, un’enorme opportunità per sottrarre i testi biblici o all’uso strumentale o a una lettura fuorviante, di cui la storia recente offre svariati esempi.

Pur con tutti questi aspetti positivi, sorgono, però, inevitabilmente, degli interrogativi.

Basta un complesso di cognizioni esegetico – letterarie, sia pur sapientemente coordinate secondo un approccio storico – critico, come da molti anni indicato dalla Pontificia Commissione Biblica, per dar modo di penetrare la pienezza del significato intrinseco dell’epopea di Mosè, delle “cisterne screpolate” di Geremia, del vasto affresco della storia della salvezza disegnato da Isaia, del benefico ardimento di Ester e di Giuditta, delle folgoranti visioni messianiche di Ezechiele? Sono sufficienti i profili storico – dottrinali per accedere alla ricchezza del messaggio evangelico e farne carne e sangue del proprio vivere?

Sono in agguato due rischi, strettamente intrecciati tra loro: da un lato, l’allentamento della tensione, segnatamente catechetica, e, dall’altro, il naufragio della cristianità, che, in un paesaggio umano e religioso investito da un pluridecennale e veloce mutamento, destinato a continuare, potrebbe essere ridotta a semplice patrimonio culturale dell’Occidente.

Non è lecito cullarsi nell’illusione di un’azione ausiliaria dello Stato, che apparirebbe come una moderna versione del suo braccio secolare, nella formazione delle coscienze.

Sono del tutto estranee ai compiti dell’ordinamento statale la cura animarum, la promozione della vita di Grazia, la premura per la conversione dei cuori.

Conta moltissimo, nella crescita della dimensione spirituale, la parola autorevole dei pastori, che fanno risuonare il Vangelo, innestandolo nella celebrazione di liturgie, che, quando sono animate da afflato interiore, scevro da cedimenti alla spettacolarità, possono produrre radicali cambiamenti in chi vi partecipa non passivamente.

Non meno incisivo, sotto il profilo della necessaria e rispettosa collaborazione con i ministri ordinati, è il senso della responsabilità laicale per trarre dall’apprestamento dei rinnovati programmi della scuola secondaria inferiore ulteriori e più convinti stimoli nello svolgimento di attività educative intimamente connesse con la vita pastorale. A tal fine si richiedono una consapevolezza e una maturità che, al di là di interpretazioni apologetiche o moralistiche, pongano in grado di cogliere e di far cogliere nella narrazione biblica quello che per i teologi è rappresentato dagli “effetti di senso”, cioè dalla forza d’incidenza nell’esperienza personale di ciascuno.

I laici gravitanti nell’orbita del servizio ecclesiale, quale che sia il ruolo da essi rivestito, non possono trincerarsi dietro parole stereotipate e pronunciate a mo’ di vuoti slogan come sinodalità, sinergia, corresponsabilità, dialogo, che talora mascherano una volontà di potere, ma hanno il dovere di abbracciare, sulla scorta di tante e spesso malsane sollecitazioni esterne, un supplemento di impegno nel presentare e testimoniare la verità di Cristo. Se non lo fanno, si assimilano a quelli che mettono la fiaccola sotto il moggio (cfr. Mc 4,21). P. Raniero Cantalamessa, nel suo libro “Il potere della croce”(pag. 127), ha constatato con amarezza che “anche nella Chiesa c’è chi non serve Dio, ma si serve di Dio”.

Pure oggi, come al tempo dell’apostolo Paolo, “i greci”, cioè i dotti, gli intellettuali, cercano una sapienza avulsa dalle sfide morali e sociali odierne, “i giudei”, cioè i più o quelli che si attivano in una religiosità talora esteriore, se non addirittura folcloristica, cercano segni, inseguono cioè realizzazioni, efficienze, risultati, talvolta apparenza, ma la Chiesa continua a predicare Cristo crocifisso, sapienza di Dio (cfr. 1 Cor. 1,22 – 23).

La fede non è solo assenso dell’intelletto né una passeggera emozione né un fatto sentimentale, perché coinvolge la totalità dell’essere nel suo rapporto con il Mistero rivelato. Occorre, però, che la si mostri in tutte le sue sfaccettature, che superano i dati di un retaggio di cultura ereditata dal passato.

L’ immagine dell’uomo contemporaneo, sempre più solo e triste, sembra la negazione di questa realtà che fa riferimento al Trascendente. “Uomo del mio tempo, uomo senza Cristo”, ha scritto Salvatore Quasimodo. Accade, così, che si violano allegramente i comandamenti di Dio, con il pretesto che tanto lo fanno tutti, che il costume diffuso, il progresso, perfino la legge umana lo consentono. Non è raro sentire qualche laico, pur operante in organismi ecclesiali, ripetere il dostoekijano “tutto è permesso”, perché “i tempi sono cambiati”, contribuendo, nei fatti, al dissolvimento di principi fondanti e di norme morali di per sé immutabili.

Ma nessuno ha mai abrogato i comandamenti o il Vangelo o gli insegnamenti della Chiesa, in cui si ritrova l’imprinting di fondo di ogni uomo, da considerare essenzialmente come un soggetto che ama, ma che è anche bisognoso di essere amato. Lo ha capito bene il filosofo danese S. KierKegaard, quando ha scritto: “L’amore paterno di Dio è l’unica cosa incrollabile nella vita, il vero punto di Archimede” (Diario, III A,73).

Se, per una superficiale incoerenza o per un eccesso di attivismo, ci si allontana da questa impalcatura ideale, che riguarda personalmente chiunque si riconosca nell’orizzonte cristiano, non si ha più niente da dire né rispetto alle distorsioni aberranti del mondo attuale né nei confronti della propria coscienza, inesorabilmente assopita e inerte. Si rischia di essere come chi va a teatro ad ascoltare la “Messa da Requiem” di Verdi o di Morzart e se ne esce canticchiando le note musicali senza alcun coinvolgimento di emozioni e di riflessioni sulle parole in esse racchiuse o come chi entra nella Cappella Sistina, si siede, guarda il “Giudizio universale” e rimane senza fiato per la rappresentazione in sé, ma non per quanto rappresentato, di cui non si dà minimamente pensiero.

Eppure, la sete di autenticità, la nostalgia del “totalmente Altro” sono più forti di quanto si possa comunemente pensare. Un sociologo di vaglia come Francesco Alberoni ha scritto alcuni anni fà, a proposito della crisi imperversante del sacro: “L’anima dell’Occidente si è inaridita. C’è un pantheon aperto a tutti gli dei, ma povero di sacralità. La religione formale, la religione sociale, la religione delle buone opere non parlano a tutti. Dal profondo della società appare il bisogno di un nuovo contatto con il divino. Che espanda l’anima e dia forza, speranza e un senso glorioso dell’esistenza”.

Avere consapevolezza dell’identità cristiana significa, allora, adoperarsi, nell’umiltà dello studio e della preghiera, per accrescerla di giorno in giorno, mettendosi in gioco, senza nulla aspettarsi da aleatori interventi ad adiuvandum della scuola di Stato e in funzione di un futuro, che è per tutti la coniugazione del tempo della speranza.

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
spot_imgspot_img

articoli correlati

Lutto Papa Francesco, a Scala annullati festeggiamenti Santa Maria dei Monti

A Scala annullati i festeggiamenti in onore di Santa Maria dei Monti in segno di lutto e rispetto...

“Campane a festa e fuochi mentre il mondo piange Papa Francesco”: polemiche a Tramonti dopo la festa di San Vincenzo

di EMILIANO AMATO È polemica a Tramonti dopo la festa di San Vincenzo Ferrer, svoltasi ieri nella frazione...

Papa Francesco: funerali il 26 aprile in Piazza San Pietro

CITTA' DEL VATICANO - I funerali di Papa Francesco si terranno sabato 26 aprile alle 10.00 sul sagrato...

Posti auto al Porto di Cetara, Comune si costituisce al Tar contro ricorso Capitaneria di Porto

Il Comune di Cetara si costituisce dinanzi al Tar contro il ricorso presentato della Capitaneria di Porto di...