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Quando i bambini non avevano diritti: Rosso Malpelo e i carusi siciliani

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di NOVELLA NICODEMI

“Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo”.

Facendo stabilire al narratore un assurdo rapporto di causa-effetto tra l’avere i capelli rossi ed essere una persona cattiva, Giovanni Verga inaugura la modalità narratologica principe del Verismo: la regressione del narratore al mondo sociale rappresentato, di cui condivide linguaggio, mentalità, pregiudizi. È quindi un narratore corale e popolare a raccontare la storia di Rosso Malpelo, ragazzino sfruttato come materiale umano a basso costo in una cava di rena rossa in Sicilia alla fine dell’800. Verga quattro anni prima aveva realizzato il bozzetto Nedda nel quale un’umile raccoglitrice di olive è la protagonista, ma la sua storia era ancora impostata su modalità narrative tradizionali. A portare sulla carta la vicenda di Malpelo è invece un narratore che condivide con quella stessa società retrograda e ignorante modi di pensare, preconcetti e modi di dire. Quel bambino era cattivo semplicemente perché era nato coi capelli rossi. Ciò induce straniamento nel lettore: ciò che per il lettore è normale viene presentato dal narratore come anormale, ciò che per il narratore è normale risulta invece assolutamente assurdo e sbagliato per il lettore. Malpelo lavora in una cava di rena rossa, sfruttato dai suoi superiori e maltrattato dagli altri minatori nonché dalla madre e dalla sorella. Ogni suo comportamento desta sospetto negli altri perché viene ricondotto alla sua natura maligna. Solo il padre mostra affetto per lui, ma Mastro Misciu Bestia morirà sepolto dal crollo di un pilone nella cava perché la rena è traditora. I maltrattamenti fisici e psicologici induriscono il bambino, convinto che niente potrà mai far cambiare idea su di lui, anzi quel ruolo che gli è stato affibbiato lo rafforza e consolida accanendosi col bastone contro il suo asino e picchiando il piccolo “Ranocchio” per insegnargli a reagire (ma questo viene interpretato come ennesima dimostrazione della sua malvagità). Malpelo vive al buio, come un animale in gabbia, e ormai in un contesto di normalità non si trova a suo agio.

Rosso Malpelo è la prima novella verista di Verga, datata 1878 e inserita nella raccolta Vita de’campi del 1880, scritta dopo la pubblicazione, nel 1876, dell’inchiesta Franchetti-Sonnino sullo sfruttamento del lavoro minorile, contenuta nel saggio “La

Sicilia nel 1876”. I due esponenti della destra storica Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino individuarono nella mancata attuazione della riforma agraria al Sud le cause della povertà e dello sfruttamento, dipingendo in modo vivido e realistico i carusi schiavi:

“ll lavoro di fanciulli consiste nel trasporto sulla schiena, del minerale in sacchi o ceste. […] Essi percorrono coi carichi di minerale sulle spalle le strette gallerie scavate a scalini nel monte, con pendenze talora ripidissime […]. I fanciulli lavorano sotto terra da 8 a 10 ore al giorno dovendo fare un determinato numero di viaggi”.

Attingendo da questa inchiesta, con la sua analisi cruda e diretta, Verga crea un capolavoro narrativo che costituisce anche il documento di una schiavitù bestiale, un capitolo amarissimo dell’infanzia abusata.

Con questa novella Verga abbandona le atmosfere e i personaggi della sua fase romantica per focalizzarsi su coloro che sono stati sconfitti dalla vita, i ‘vinti’: braccianti agricoli, mezzadri, pescatori, minatori, raccoglitori di olive, briganti. Era stato letteralmente folgorato dalle novità introdotte dai naturalisti francesi, in primis Emile Zola che con il suo ciclo dei Rougon Macquart esplora le dinamiche che portano gli emarginati a tramandare la loro sfortunata condizione attraverso le generazioni. Mentre però gli ultimi nella Francia della seconda rivoluzione industriale erano per lo più operai, prostitute, blanchard, alcolizzati, gli emarginati in Verga rispecchiano la diversa situazione politico-economica in cui versava il Mezzogiorno dell’Italia postunitaria. L’interesse di Zola per questi personaggi era scientifico: voleva raccontarne le storie come uno scrittore scienziato che guardi in modo oggettivo, dall’alto, le sue creature, con la finalità di denunciarne le misere e disumane condizioni di vita, convinto che la letteratura possa avere una funzione determinante nei cambiamenti della società. Di contro a questa fiducia progressista, Verga vuole solamente rappresentare il mondo degli umili senza alcuna velleità di denuncia sociale, sulla base della convinzione che nulla possa cambiare nella società. I suoi personaggi sono sepolti dalla fiumana del progresso che li travolge senza pietà e più cercano di reagire più soccombono. Fortemente pessimista, Verga ritiene che chi tenti di sottrarsi a questa ‘legge’ finisca col peggiorare la propria condizione. A dimostrazione di quanto spietato fosse quel mondo governato dalla logica economica, la riflessione di Malpelo che, quando si perde per sempre nel labirinto dei cunicoli, afferma tragicamente “Sarebbe stato meglio non esser mai nati”.

redazione
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