di SIGISMONDO NASTRI
Giovanni Stefano Pasqua, più noto come Mister Pasqua, era nato a Smirne il 21 novembre 1874 [esattamente centocinquanta anni fa] da genitori italo-greci: Giorgio, il padre, e Maria d’Andria, la madre.
Poliglotta, ogni anno si metteva in viaggio, come accompagnatore di gruppi di turisti, per i luoghi più fascinosi dei cinque continenti.
Ad Amalfi giunse nei primi anni trenta del Novecento, alloggiando all’Hotel Luna. Se ne innamorò subito, conquistato dai luoghi e dalla simpatia dei fratelli Domenico e Andrea Barbaro, proprietari dello storico albergo. A “don” Mimì fece una proposta: 《Se siete d’accordo – disse – posso stabilirmi qui per lunghi periodi. Voi mi ospitate, io mi renderò utile con prestazioni professionali》. Il carisma del personaggio, la sua capacità di esprimersi correntemente in diverse lingue, fecero colpo. Mister Pasqua non si mosse più da Amalfi, salvo per intraprendere, di tanto in tanto, l’abituale “tour” intorno al mondo. Il 14 febbraio 1941 ottenne anche l’iscrizione, quale residente, nei registri anagrafici. Chi l’ha conosciuto riferisce che un piccolo risparmio lo avesse, investito in azioni di società minerarie, ma si dissolse ben presto per colpa di una galoppante svalutazione e di una difficile situazione internazionale, esplosa infine nel secondo conflitto mondiale.
Al “Luna” Mister Pasqua aveva preso ad occuparsi della corrispondenza, curando in particolare i rapporti con l’estero.
Riservato, capace di controllare ogni suo comportamento, non amava circondarsi di amici. Ma era sicuramente un personaggio distinto, quasi aristocratico.
Un certo imbarazzo nei rapporti con gli altri glielo creava il fatto che era basso di statura. Si racconta che non guardava mai in viso il suo interlocutore. Una persona con la quale s’intratteneva volentieri era il tipografo Andrea De Luca che, essendo stato da ragazzo in America, ne conosceva bene la lingua e ne aveva assimilato alcune caratteristiche: la precisione, la puntualità, il rigore nello svolgimento del proprio lavoro. Insieme facevano lunghe passeggiate fino al porto.
I carabinieri, allertati da qualche soffiata anonima, presero a tenerli sotto controllo. Mister Pasqua era apolide, lontano mille miglia, per formazione e per cultura, dalla ideologia fascista. Allo scoppio della guerra, cominciò a farsi strada il sospetto che potesse essere una spia degli angloamericani. Tuttavia non subì mai molestie o provvedimenti punitivi. Sotto questo aspetto, Amalfi era un’isola felice nel difficile contesto nazionale.
In un periodo caratterizzato da restrizioni e ristrettezze, egli riusciva a conservare un impeccabile aplomb: abito scuro, camicia inamidata, cravatta, scarpe lucide, magari tenute ai piedi da vent’anni, ma sempre in ordine e regolarmente fatte risuolare. Le cose andarono meglio dopo l’8 settembre 1943. Gli Alleati, sbarcati sulla Costa con un gigantesco apparato bellico, stabilirono il quartier generale nell’ex pastificio al porto. Lo stato maggiore aveva bisogno, nei rapporti con le autorità locali e con le popolazioni, di validi e affidabili interpreti. Mister Pasqua fu il primo ad essere impiegato con tali mansioni. Faceva anche da guida ai militari che, dopo la cacciata dei tedeschi, amavano recarsi in escursione a Capri, Pompei o Paestum.
Intanto avviava un’altra attività, ugualmente redditizia: quella di insegnante di inglese. Non potendo farlo in albergo, si spostava di casa in casa, ad orari prefissati, controllando, orologio alla mano, che la sua lezione durasse sessanta minuti, non uno in più né uno in meno. Pretendeva dagli allievi, ragazzi di buona famiglia, la massima concentrazione, soprattutto nell’apprendimento della pronuncia. Li invitava ad osservare come egli poneva la lingua tra i denti per ottenere determinati suoni.
Capitava, in certi casi, che i risultati didattici non corrispondessero alle attese. E allora, trascorso il primo mese, ne dava conto ai genitori in maniera a dir poco singolare: 《Signore, io sono un ladro. Dato che suo figlio non trae profitto dal mio lavoro, è come se rubassi il suo denaro. Quindi, è meglio smettere》.
Era uomo di poche parole. Al “Luna”, con don Mimì Barbaro, comunicava attraverso messaggi scritti. Se qualcosa non funzionava, gli faceva recapitare un biglietto. Il giorno dopo gliene mandava due, all’indomani quattro. E così via, fino a quando il problema posto non si risolveva.
Occupava una cameretta nella vecchia torre, dependance dell’albergo, dove poi morì, il 26 giugno 1947, in seguito a breve malattia. Il referto medico, redatto dal dottor Antonio Jovane di Atrani, parla di “arteriosclerosi” e “uremia”. Sentendo prossima la fine, e immobilizzato a letto, Mister Pasqua manifestò il desiderio di vedere per l’ultima volta Amalfi. Don Mimì, che lo assisteva amorevolmente, lo prese in braccio e lo condusse alla finestra. Egli ansimava, ormai privo di forze. Solo lo sguardo, su quel viso smunto, appariva vigile. Mister Pasqua lo rivolse, in una rapida successione di attimi, al vasto orizzonte che si allarga da Capo d’Orso fino al Capo di Conca, alla costa, al panorama della città impreziosito dalla luce del sole. Poi tirò un profondo sospiro e chiuse gli occhi per sempre.