di EMILIANO AMATO
Il giorno dopo la tragedia del pullman turistico precipitato nel vuoto a Ravello, con la morte del suo giovane conducente, c’è da fare un’analisi approfondita.
Sarà certamente la magistratura, che ha aperto un’inchiesta (titolare Carlo Rinaldi), a fare luce e a stabilire cause e responsabilità. Ma noi (e mi rivolgo a tutti coloro che stanno leggendo questo articolo), che viviamo da sempre in questo luogo bello e dannato, abbiamo tutti gli elementi utili per poter parlare di tragedia evitabile o, meglio, annunciata. Proviamo a metterli insieme per quella che è una ricostruzione parziale dei fatti.
L’INCIDENTE
Ieri mattina Nicola Fusco, il 28enne di Agerola conducente del pullman di 9 metri della flotta dell’azienda di famiglia, che ha perso la vita nell’impatto, aveva accompagnato un gruppo di turisti a Ravello e, col mezzo privo di passeggeri, stava percorrendo la strada provinciale 75. Dalle immagini catturate dagli impianti di videosorveglianza installati nella zona si vede come il pullman stesse affrontando la curva in discesa, seguendo la giusta traiettoria e a velocità misurata. Appena oltrepassata la cancellata, a sinistra, che si apre alla diramazione della strada “incompiuta” (deposito Paolillo per intenderci), si nota che la parte anteriore del bus accosta fin troppo, “appoggiandosi” al muro perimetrale che accompagna la curva. Emerge che la “protezione” si sgretola come un castello di sabbia, col mezzo che si tiene in bilico per due secondi per poi piombare nel vuoto. Uno spuntone di roccia fa da trampolino ed evita la caduta verticale sulla strada sottostante. Il volo termina dopo venticinque metri, sulla stradina pedonale di Via Valle del Dragone, tra il muro di contenimento e un’abitazione, soltanto sfiorata. Lo schianto al suolo ha provocato un fragore indescrivibile che ha echeggiato in tutta la valle. Il conducente è stato scaraventato all’esterno, trovando la morte sul letto del torrente sottostante a causa delle gravi ferite riportate.
L’AUTOBUS
Il Mercedes Benz della lunghezza di 9,22 metri e 2,5 di larghezza, a due assi, da 10,8 tonnellate di tara, aveva una capienza di 41 posti. Era stato immatricolato nel 1999 e revisionato l’ultima volta lo scorso febbraio. Aveva ottenuto regolare autorizzazione giornaliera per poter operare il carico e scarico dei passeggeri a Ravello nella giornata di ieri.
LE IPOTESI
Qualcosa è successo durante l’attraversamento della curva. Non si esclude nessuna ipotesi: innanzitutto il guasto meccanico a impianto frenante o scatola di sterzo. Lo si potrà evincere dai risultati restituiti dalla scatola nera o dalle perizie sull’autobus, che è sotto sequestro. Presto sarà rimosso e portato in un deposito a disposizione dell’autorità giudiziaria che nominerà tecnici incaricati di effettuare una perizia accurata.
Una brusca frenata sul fondo stradale usurato e reso viscido dalla pioggia è verosimile. Ma anche l’ipotesi del malore improvviso occorso al conducente – lo potrà stabilire l’autopsia – o quella di una banale distrazione.
LA CONSISTENZA DEL MURETTO
Resta accertata – e non lo diciamo noi ma i fatti – l’inadeguatezza del vecchio muretto di protezione della strada, oramai fradicio, logorato dal tempo e dall’incuria. Un cumulo di pietre e calce, “rinvigorito” non più tardi degli anni Settanta (ma in realtà realizzato in precedenza), in concomitanza con la realizzazione del nuovo tratto di strada mai ultimato.
Quel muretto, dell’altezza di poco più di 60 centimetri, non rispetta alcuno standard di sicurezza: un parapetto in cemento armato, a norma, avrebbe sicuramente attutito il colpo. Ma su tutto il tratto stradale, per circa un chilometro, da Civita a Cigliano, l’altezza e la consistenza dei parapetti non sono rispondenti alle vigenti norme in materia di sicurezza.
Il curvone del “Despar” è stato spesso teatro di sinistri più o meno pericolosi. Il più grave, pochi anni fa, con un furgoncino per il trasporto dei limoni che in discesa sfondò lo stesso muretto, restando però in bilico con le ruote anteriori nel vuoto. Tragedia solo sfiorata. Quel tratto di muretto della stessa consistenza, di pietre e calce, venne ripristinato dalla Provincia di Salerno (non sappiamo se in cemento armato) e portato a un’altezza di 1,20 centimetri.
Dopo la tragedia, torna d’attualità la scarsa sicurezza sulle strade della Costa d’Amalfi, in cui si palesa il disinteresse per la manutenzione del territorio e delle infrastrutture. La politica si interroga soltanto ora? Troppo tardi.
Sono anni che attraverso la nostra attività giornalistica denunciamo la mancanza di sicurezza sulle nostre strade. Dai parapetti della provinciale 75 alle balaustre sgangherate e ossidate della statale 163 “Amalfitana” a Maiori, sotto l’hotel “Due Torri”.
È ora che i responsabili vengano identificati. Che per la morte del povero Nicola venga fatta giustizia.