di NOVELLA NICODEMI
Il cuore e l’anima di Ravello profanati da schiamazzi, gesti osceni, selfie, come una Ibiza qualunque, in cui si pensa di potere venire a divertirsi, ubriacarsi. Di fronte al susseguirsi di episodi davvero incresciosi che gettano ombre e discredito sulla città della musica, con grave danno della sua immagine, e il profilarsi di seri rischi di imbarbarimento per il futuro (proprio ieri il Comune ha ripristinato il servizio di vigilanza notturna in piazza), abbiamo pensato di farci raccontare da Gino Caruso, maestro e decano dell’ospitalità alberghiera ravellese, la differenza tra passato e presente.
Non è l’onda nostalgica dei bei tempi che furono che ci avvolge, ma la seria preoccupazione di un cambiamento irreversibile, di una involuzione, che ci porta a dover fare una urgente riflessione su una situazione allarmante.
Come era lo stile dell’hotellerie della Ravello di un tempo, quando inglesi e americani la sceglievano come meta privilegiata per il suo spirito raffinato ed elitario?
Con l’’acquisizione nel 1852 da parte di Lord Francis Nevile Reid di Villa Rufolo, inizia una sorta di colonizzazione inglese di Ravello. Il mio bisnonno Luigi Cicalese era persona di fiducia del Lord; mia nonna, sua figlia, è cresciuta a Villa Rufolo così come mio nonno che iniziò a lavorarci dall’età di otto anni. Fu educato alla corte del Lord che se lo portò anche in Inghilterra.
Nel 1893 poté affittare parte del Palazzo Camera D’Afflitto e così incominciò l’avventura inizialmente dell’Hotel Belvedere, poi con l’aggiunta Caruso perché considerammo di sfruttare il nostro cognome ormai conosciutissimo grazie al cantante Enrico Caruso che nel frattempo era diventato famosissimo soprattutto oltreoceano. Intorno al 1905 arrivò in paese Lord Grinthorpe che comprò Villa Cimbrone, mio nonno aveva in fitto un appezzamento di terreno del parco e vi produceva il vino “Cimbrone bianco”. L’avvento di queste due famiglie inglesi a Ravello creò una educazione anglosassone perpetrata fino alla seconda guerra mondiale. Negli anni ’50 si respirava ancora aria anglosassone, poi si è verificata progressivamente una deregulation.
Fino agli anni ’50, quando andavi a fare visita a qualche famiglia ravellese, ti offrivano una buona tazza di thè: questa educazione anglosassone non era sentita come un peso, ma come un privilegio, un innalzamento intellettuale in virtù del quale si innescò una consistente emigrazione ravellese verso Londra sin dall’inizio del secolo scorso, nella capitale inglese molti ravellesi che erano partiti come camerieri riuscirono ad aprire il proprio ristorante. A Ravello si veniva per riposare per godere della pace, della tranquillità e del buon clima, diverso dai paesi del Nord Europa, la clientela era costituita prevalentemente da persone di cultura. Nel Libro delle firme dell’albergo abbondavano gli scrittori e i musicisti che non soggiornavano certo per un giorno o due, come accade oggi, ma per una settimana, un mese ed oltre. All’inizio del secolo scorso si veniva a Ravello soprattutto d’inverno, da ottobre ad aprile, per svernare: fuggire dal rigido clima del nord.
L’hotel Caruso era sempre aperto, trecentosessantacinque giorni, e il mese di agosto era quello che si lavorava di meno. Il turismo era diverso da quello attuale. Nel corso degli anni gli arrivi si sono spostati da aprile a ottobre. Una cliente americana che aveva sposato un magnate dell’industria francese, ancora fino agli anni ’90, soggiornava da noi giugno e luglio per poi trasferirsi ad agosto a Parigi che in quel mese si svuotava e ritornava a settembre. I clienti erano molto esigenti per la tranquillità, ricordo di aver avuto un “complain” da una coppia straniera per un cane che di notte abbaiava in lontananza, non limitrofo all’albergo. Per gli albergatori della prima metà del secolo scorso era più appagante il benessere dei propri ospiti e gli elogi all’albergo e allo staff alla partenza piuttosto che il saldo del conto, oggi invece si guarda solo agli incassi.
Come è cambiato il turismo oggi?
Oggi la permanenza media della clientela si attesta sul giorno e mezzo: ci vengono a trovare come per vedere un bel presepio, e per di più, una buona parte non visita i monumenti e i giardini di Ravello. Infatti i clienti danarosi oggi di stanza nei cinque stelle ravellesi spesso su tre giorni, uno lo passano in albergo in piscina, un altro a Positano e l’ultimo a Capri a fare shopping. In pratica non vedono nulla delle nostre bellezze architettoniche. La clientela di una volta ormai è perduta e recuperarla credo sia estremamente difficile. Io personalmente ho mantenuto i contatti con alcuni vecchi clienti con i quali mi sento ogni tanto, per loro Ravello non è più attrattiva perché è diversa da quella che hanno conosciuto e amata: è una realtà differente. E non trascurabile è la questione dei prezzi esorbitanti: una settimana in un “5 stelle L” può costare quanto un appartamento.
Una sera mi sono fermato al bar vicino al Comune e ho avviato una conversazione con una coppia che soggiornava in un vicino albergo 5 stelle congedandomi mi dissero che la mattina seguente sarebbero andati a Pompei e quando io apprezzai la scelta di visitare gli scavi, realizzai che loro non sapevano nulla dell’esistenza degli scavi: avevano aderito a una visita ad una casa vinicola vicino a Pompei: rimasi allibito. Questo il livello culturale degli attuali avventori, presumibilmente anche di Amalfi e Positano.
A cosa è dovuto questo cambiamento della tipologia di turisti che arrivano a Ravello?
Una buona fetta di clientela gravita sulle varie tipologie di affitti brevi: il grave errore che è stato commesso, a mio avviso, è stato quello di dare la possibilità a chiunque e in qualsiasi forma e capienza di aprire una attività di affitti brevi. Su 3000 posti letto a Ravello, circa 1800 sono di fitti brevi che vengono utilizzati per la maggior parte da clienti con budget limitato che si ritrovano nella piazza perché caratteristica ma anche perché in genere dove alloggiano hanno la stanza e basta, non ci sono gli spazi comuni presenti negli hotel come living e altro quindi hanno necessità di uscire per ritrovarsi, essenzialmente per bere a volte oltre il possibile, in un luogo che possa contenere gruppi di persone, ossia i bar della piazza. Il famigerato PUT (piano urbanistico territoriale) aveva previsto di non poter incrementare i posti letto delle attività alberghiere infatti non si è data la possibilità di costruire nuovi alberghi o di ampliare quelli esistenti con nuovi posti letto, con i fitti brevi però si è aggirata la legge, per cui sul paese si è riversato un carico enorme di persone afferenti al cosiddetto turismo a buon mercato che hanno invaso il paese, trovando anche le autorità impreparate a gestire questo fenomeno. Queste strutture infatti sono per lo più in mano a agenzie ed host checonoscono poco di Ravello e della nostra tipologia di turismo, gente che nonè addentrata sia nel turismo che nel tessuto sociale di Ravello. Io sono nato in albergo dove ho lavorato per tutta la vita, oltre agli studi di scuola superiore e universitaria ho conseguito il diploma di direttore di albergo, ebbene, quando mio padre, titolare di licenza, ha trasferito la sua attività a me, io ho dovuto sostenere uno specifico esame, non so se oggi tutti quelli che operano negli alberghi e strutture simili hanno avuto un percorso formativo o un titolo qualificante.
Molti hanno case di proprietà e le danno in gestione ad agenzie improvvisate che provvedono a tutto a volte in modo stravagante: chiunque può intestarsi una licenza per attività di accoglienza turistica nonè richiesto alcun requisito. Oggi basta fare una semplice comunicazione al Comune per inizio attività e se dimentichi di fare la comunicazione rimani sconosciuto a tutti gli organi di controllo. Le dizioni sui portali che propagandano le attività turistiche andrebbero controllate non si può scrivere dista meno di 15 minuti dalla costa o a cinque minuti dal centro di Ravello e quando gli ospiti arrivano, trovano 200 gradini a separarli dalla cittadina e si lamentano: non si possono scrivere falsità per attrarre turisti, ne va del buon nome del paese.
A suo avviso per far fronte a queste criticità quali misure bisognerebbe adottare?
In primis il controllo di queste attività di fitti brevi da parte degli enti deputati che sembra non hanno a tutt’oggi reale contezza di quante attività turistiche esistano sul territorio né di quanti posti letto esattamente ci siano, senza dimenticare quelle alberghiere.
Un paio di anni fa chiesi a un comune della costiera, per una relazione tecnica, il numero di posti letto divisi in alberghieri e extralberghieri del comune, e mi resi conto che non avevano statistiche aggiornate. Anche a livello provinciale o di enti regionali non si trovano statistiche degli arrivi e delle presenze aggiornate.
Mettere paletti con ordinanze ad hoc, sensibilizzare i gestori delle strutture ricettive, i wedding planner soprattutto quelli che non sono del paese e gli esercenti dei pubblici esercizi, cercare di educare gli avventori: questa dovrebbe essere la strada da percorrere.
Soggiornando in albergo, hai ampi spazi comuni dove poterti muovere a piacimento, trovi lo staff sempre pronto ad soddisfare le tue esigenze e che ti possono consigliare su cosa fare e cosa non fare a Ravello. Bisognerebbe sapere come ci si deve comportare in un luogo magico che stai visitando, il decalogo del professore De Masi, dovrebbe essere distribuito a tutti gli ospiti di alberghi e fitti brevi nonché affisso nei punti nevralgici del paese e disponibile nei locali pubblici. Il controllo da parte delle autorità preposte poi dovrebbe concentrarsi sui luoghi pubblici più a rischio come la piazza principale: se fai schiamazzi dopo la mezzanotte e superi i limiti della decenza, dovrebbero arrivare carabinieri e vigili urbani. La vigilanza privata non ha potere quindi non molto efficace, i fondi andrebbero destinati all’assunzione di più vigili urbani in modo da garantire anche turnazioni notturne. Poiché i banchetti vengono prenotati per tempo si sa in anticipo quando c’è la maggiore concentrazione di matrimoni, chi organizza un banchetto nuziale dovrebbe far sapere in tempo utile al Comune o alle autorità preposte alla vigilanza che ha tot invitati per quel tale giorno a tale ora in modo da consentire la gestione concreta delle criticità.
Un’ ordinanza poi sarebbe opportuna: in presenza di schiamazzi si dovrebbe vietare la vendita di superalcolici che rovinano il tutto. Quando avevo 18/20 anni, non c’erano discoteche, ci riunivamo in piazza con la chitarra acustica e ricordo che arrivavano puntualmente i carabinieri a invitarci a sciogliere la seduta per rispettare il riposo dei clienti di Ravello. Negli anni ’60 ero in Inghilterra e imparai che vigeva una legge per contrastare l’alcolismo: nei pub alle 22.55 suonava la campanella per l’ultimo ordine, la susseguente chiusura della mescita di superalcolici veniva rigorosamente rispettata per “modus operandi” anglosassone sia dai gestori che dagli avventori.