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Testimonianze sul culto di Sant’Anna a Ravello

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di SALVATORE AMATO

Nel 1783, il monastero di Santa Chiara di Ravello otteneva da papa Pio VI, con l’intercessione del vescovo di Gaeta Carlo Pergamo, la concessione di un altare privilegiato quotidiano perpetuo per i defunti, da designare tra quelli esistenti nella chiesa monastica ad arbitrio dell’Ordinario diocesano. Essendo vacante la sede ravellese per il trasferimento a Bovino del vescovo Nicola Molinari da Lagonegro, solo dopo due anni il vicario capitolare Giuseppe Fusco dava seguito alla richiesta della comunità religiosa, indicando l’altare di Sant’Anna, a motivo della grande partecipazione popolare in occasione della festa del 26 luglio e per la “magnifica” solennità con cui si celebrava.

Era passato poco più di un secolo da quando D. Ignazio D’Amato, dottore in diritto civile e canonico, per lunghi anni procuratore del monastero, aveva deciso di edificare una cappella dedicata alla santa nella chiesa di Santa Chiara.

Fondata prima del 1679, il D’Amato dispose che vi si celebrasse una messa cantata nel giorno dedicato a Sant’Anna, cui avrebbe preso parte a partire dai primi vespri anche il Capitolo della cattedrale, riscuotendo per tale accesso venti carlini sulle entrate derivanti da un orto situato nel largo che costeggiava la chiesa di San Michele Arcangelo di Torello.

Il fondatore, morto il 24 ottobre 1690, istituiva il monastero erede di molte somme e destinatario anche di due sottocoppe, due candelieri e una forbice di argento con le sue insegne.

La festa cominciò ad essere celebrata con una certa solennità e il pranzo conventuale che allietava il giorno solenne era a base di “inghiocchetti”, un particolare tipo di pasta acquistato a Minori, carne vaccina e fegato. Nel 1730, per l’occasione vennero acquistate 30 ricottelle e due pollastri. 

La celebrazione liturgica era accompagnata da musici, che eseguivano un repertorio suonando viole e violone, mentre lo sparo di polvere con i “maschi” da parte di Lorenzo Carrano animava la giornata festiva nel 1723.

Nel corso del XVIII secolo, per incrementarne il culto, D. Francesco Bonito, principe di Casapesella, vi fondò nel 1718 un beneficio ecclesiastico con una rendita annua di 36 ducati, da conseguire sulle entrate dei mulini posseduti dalla famiglia a Furore.

Riguardo alla devozione popolare, l’arcidiacono scalese Emanuele D’Afflitto aveva istituito presso la cappella della chiesa monasteriale il pio esercizio dei nove venerdì dedicati alla santa, stabilendo che si celebrasse una messa votiva, nelle modalità permesse dal Messale Romano, la recita del Padre Nostro, dell’Ave Maria e di alcune orazioni contenute nel libro del sacerdote napoletano Domenico De Bonis. Il legato di messe, che prevedeva diverse celebrazioni nel corso dell’anno liturgico, era sostenuto da quattro ducati annui da conseguire su alcune proprietà situate nelle località di Pontone, nei pressi della chiesa di S. Matteo e all’Acquabona.

La cappella venne decorata con un’immagine rappresentante la santa, esistente ancora a metà del XIX secolo, e nel giorno della festa avveniva, non di rado, l’ingresso in monastero delle fanciulle oppure la professione solenne delle novizie.

Nel corso del Novecento, la festa di Sant’Anna assunse una connotazione esclusivamente liturgica e non venne inserita nell’elenco di quelle trasmesse nel 1925 alla Questura dal Sindaco di Ravello.

Il ricordo dell’antica commemorazione rivive tuttora nelle celebrazioni officiate la mattina del 26 luglio nella chiesa del monastero e il passaggio del concerto musicale, che annuncia la festa patronale del giorno successivo, sembra idealmente collegarsi ad una vecchia usanza.

Il monastero sosteneva le spese per il trasporto di strumenti musicali e artifici pirotecnici dal Piano di Ponticeto alla cattedrale, perché dai primi vespri di quella giornata sarebbero serviti per l’animazione dei momenti religiosi e civili in onore di San Pantaleone.

redazione
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