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Tommaso Aniello d’Amalfi: Masaniello, l’eroe del popolo napoletano

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«Tu ti ricordi, popolo mio, come eri ridotto?» è la domanda, rimasta proverbiale, pronunciata da Masaniello, ai suoi detrattori, prima di morire. Era il 16 luglio del 1647 e il capitano generale del popolo napoletano, dopo aver conquistato il potere soltanto nove giorni prima, veniva ucciso. Nel giorno della ricorrenza della Madonna del Carmine, affacciato da una finestra di casa sua, cercò inutilmente di difendersi dalle accuse di pazzia e tradimento che provenivano dalla strada.

Il capopopolo, il cui fisico era ormai debilitato dalla malattia, accusò i suoi detrattori di ingratitudine, ricordandogli le condizioni in cui versavano prima della rivolta. Sentendosi braccato cercò rifugio nella Basilica del Carmine, e qui, interrompendo la celebrazione della messa, pregò l’arcivescovo Filomarino di poter partecipare prima di morire, insieme a lui, al viceré ed alle altre autorità della città, alla tradizionale cavalcata in onore della Vergine. Poi salì sul pulpito e tenne un ultimo discorso.

Dopo essersi spogliato ed essere stato deriso dai presenti fu invitato a calmarsi dall’arcivescovo e fatto accompagnare in una delle celle del convento. Qui venne raggiunto da alcuni capitani delle ottine corrotti dagli spagnoli: Carlo e Salvatore Catania, Andrea Rama, Andrea Cocozza e Michelangelo Ardizzone. Sentita la voce amica di quest’ultimo, Masaniello aprì la porta della cella, ma fu freddato con una serie di archibugiate. Il corpo fu decapitato, trascinato per le strade del Lavinaio, e gettato in un fosso tra Porta del Carmine e Porta Nolana vicino ai rifiuti, mentre la testa fu portata al viceré come prova della sua morte.

I capitani delle ottine coinvolti nella congiura, come rivelano alcuni documenti conservati nell’Archivo General a Simancas, furono ampiamente ricompensati dalla Corona di Spagna.

Non fu una rivolta antispagnola e repubblicana quella di cui Tommaso d’Aniello d’Amalfi (Napoli, 29 giugno 1620-Napoli, 16 luglio 1647), conosciuto come Masaniello, fu protagonista nella Napoli della metà della prima metà del seicento. Il 7 luglio quel pescivendolo di padre Amalfitano e madre atranese fu capace di sollevare il popolo al grido di «Viva ‘o Rre ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno», invitando Re Filippo IV a riappropriarsi dell’autorità sui suoi funzionari, che speculavano sulle gabelle (imposte indirette sulle merci di necessario consumo) fino a costringere il popolo alla fame.

Quel giorno i bottegai si rifiutarono di pagare la nuova gabella sulla frutta, scatenando un tafferuglio capeggiato da Masaniello e da altri capi popolani, che invasero la reggia, forzarono le carceri e distrussero gli uffici daziarii.

A nulla servì il tentativo del vicerè, don Rodrigo de Leon, di risolvere la rivolta in modo diplomatico, sopprimendo cioè la gabella tramite messaggi scritti su bigliettini e lanciati alla gente dall’alto del palazzo in cui si era rifugiato. La coscienza popolare era ormai scattata e pretendeva sempre più quanto di diritto: uguale rappresentanza per patrizi e plebei, oltre che una giusta redistribuzione dell’onere delle gabelle.

Gli spagnoli concessero ai napoletani quanto richiesto e Masaniello, sempre più inviso ai nemici, rischiò di essere assassinato dai sicari ingaggiati dal duca di Maddaloni, ma l’attentato fallì: era il 10 luglio. Il giorno dopo il vicerè lo nominò ‘Capitano generale del fedelissimo popolo napoletano’, dopo aver tentato inutilmente di corromperlo con un’ingente somma di denaro.

Ma il ‘regno’ di Masaniello avrà vita breve. Nonostante i buoni propositi, inebriato dal potere, egli non seppe gestirlo bene ed ebbe un crollo nervoso, che gli provocò l’accusa di essere pazzo e l’ostilità dello stesso popolo. Il 16 luglio, giorno della festa in onore della Madonna del Carmine, Masaniello, dalla finestra di casa sua, aveva pronunciato un discorso in preda alla follia. Il giorno seguente la sua morte le gabelle furono reintrodotte.

Figlio di Cicco d’Amalfi, pescivendolo, e Antonia Gargano di Atrani, massaia, Masaniello conservò i legami con i paesi natali dei genitori tanto che con la CostieraLa leggenda narra che le grotte adiacenti alla casupola aggrappata al disotto del Santuario di Santa Maria del Bando, in cui nacque e visse sua madre da giovane, furono l’ultimo rifugio del più celebre degli eroi napoletani. Da allora quelle cavità sono meglio conosciute come “Grotte di Masaniello”. Molti viaggiatori stranieri riportarono in proposito queste notizie, a partire da qualche decennio successivo la morte di Masaniello.

Alcune fonti sostengono che Tommaso Aniello nacque ad Amalfi, dove sarebbe stato amico di un altro singolare personaggio amalfitano, l’abate Pirone, così chiamato perché usava abusivamente la tonaca per sfuggire alla giustizia, in realtà bandito che uccideva dietro compenso, e che poi sarebbe stato anche suo collaboratore nei giorni della rivolta.

Lo storico Giuseppe Galasso ipotizza che l’equivoco «sia stato agevolato e incoraggiato da un consapevole atteggiamento del potere e della cultura ufficiale della Napoli spagnola. Nella fedelissima città […] non si doveva e non si poteva ammettere la presenza di un infedele, di un ribelle come colui che aveva messo in questione il governo spagnolo a Napoli».

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