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Un oltraggio alla storia e alla cultura

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di Valentina Criscuolo*

«Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze».

Questo pensiero, preso in prestito dal filosofo Theodor W. Adorno, costituisce l’incipit di una prima istanza sullo stato di tutela e salvaguardia della Villa marittima Romana di Minori, inoltrata al Ministro della cultura Franceschini e a tutti gli uffici competenti il 4 luglio 2021.

Cosa si intende per “realizzare le speranze del passato”? È chiara l’allusione al progresso umano materiale e spirituale che non può prescindere dalla forte consapevolezza di una precisa identità storica e culturale. Il sito archeologico rappresenta la traccia fisica e immateriale di una relazione identitaria tra il cittadino minorese e la storia di Minori, ma, se si considera il suo precario stato di conservazione, l’idea di progresso cede inevitabilmente il posto a quella di decadenza. Affacciarsi oggi sui pochi ambienti ancora visitabili del complesso è come constatare l’avvenuta morte di un luogo che un tempo risplendeva per ricchezza e abbondanza. Non è, anzi, azzardato il brutale paragone con l’immagine di un cadavere in decomposizione.

«A poco meno di un secolo dalla sua riscoperta, la Villa versa, oggi, in condizioni disperate» è quanto si legge nel testo dell’interrogazione presentata in Parlamento e indirizzata al Ministro della cultura da parte della Senatrice Margherita Corrado il 13 luglio 2021. Nel documento viene fatto esplicito riferimento al tanto atteso finanziamento di 4 milioni e 950 mila euro, stanziati nel 2019 da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) «finora improduttivo, però, di alcun intervento» (cit.). L’attribuzione di tale ingente somma di denaro fa capo ad una progettazione preliminare di restauro concepita oltre 20 anni fa (2001) e presente nell’archivio dell’ex Soprintendenza Archeologia della Campania, così come riportato in una nota protocollata dalla Soprintendenza di Salerno e Avellino il 10 agosto 2021. In questa stessa nota, firmata dalla dott.ssa Casule, si afferma che «si sta lavorando alla predisposizione di un progetto complessivo che individui le cause di degrado prima di intervenire con i restauri» (cit.). Da ciò si arguisce che occorrono ulteriori progetti, incentrati sull’indagine dello stato attuale dei luoghi, per la realizzazione di un progetto di restauro già formalmente esecutivo (dal 2009). Si rasenta l’assurdo!

È lecito credere che, se non si darà corso alla sovvenzione nei tempi designati, potrebbe essere predisposto un cambiamento dell’indirizzo di destinazione per la stessa. Di conseguenza la Villa diventerebbe solo un’area di sosta breve per il denaro già stanziato e la riesumazione del progetto di intervento del 2001 un temporaneo e fragile specchio per le allodole, in pratica diversivi per prendere tempo.

Il problema è che non c’è più tempo! Lo sa bene l’Ufficio legislativo del Ministero, che, in risposta all’interrogazione della Corrado, scrive: «La realizzazione dei lavori, previa gara d’appalto, inizierà nel 2022 e dovrebbe concludersi, per la parte connessa al finanziamento del POC, entro il 2023». Tale risposta risale al 21 settembre 2021, ma il suo contenuto era già stato anticipato dal Segretario Generale del Ministero, dott. Nastasi, che in una nota di riscontro del 12 luglio 2021 scriveva: «Per quanto concerne i tempi di effettiva esecuzione dei lavori si comunica che tutti gli interventi termineranno entro il 2023».

Eppure, ad oggi, nessun cantiere è stato aperto, nessuno «scavo archeologico preventivo» (cit.) è stato fatto!

Considerata la situazione irreversibile di periculum in mora, gli interventi di competenza previsti assumono un’urgenza tale da non poter ammettere nessuna giustificazione ad ulteriori ritardi, seppur dovuti ai condizionamenti di una macchina burocratica avvezza a fagocitare ogni promessa e ogni speranza. E proprio il monito dantesco a lasciare «ogne speranza voi ch’intrate» (Inf. III) sembra echeggiare tra le mura dell’antica dimora patrizia, rese invalicabili dalla trascuratezza umana.

È avvilente e sconcertante quanto si afferma in una nota di riscontro pervenuta dalla Direzione Generale dei Musei il 13 agosto 2021: «si evidenzia che non sembrano essere presenti danni gravissimi e immediati per la conservazione del bene come pericoli di crollo o distacchi ingenti ma in prevalenza vegetazione erbacea e patine». L’impressione è quella di un inaccettabile abbandono da parte di chi gestisce il sito e dovrebbe, pertanto, provvedere alla sua tutela. L’unico provvedimento ad effetto immediato preso negli ultimi anni è stato quello di interdire ai visitatori l’accesso alle stanze interne del complesso, dichiarate, appunto, inagibili, come sottolineato dalla Senatrice Corrado nella replica alla risposta seguita alla sua interrogazione.

La realtà è che questo monumento, che risulta il secondo più visitato nella Provincia di Salerno, serve, nei fatti, per l’interesse di pochi che lo trattano alla stregua di un serbatoio da cui attingere vantaggi senza pagarne alcun prezzo. Come sempre a farne le spese è la collettività locale, su cui grava l’onere delle operazioni di pulizia e di diserbo finalizzate a rendere fruibile il sito per eventi da cui trae profitto un ristretto numero di persone. Ne è la riprova il fatto che dette operazioni sono programmate e messe in atto soltanto in determinati periodi dell’anno, indirettamente legittimando una deliberata scelta di negligenza e di incuria per le stagioni “improduttive”, con un conseguente e permanente oltraggio alla storia e alla cultura. La logica sottostante è quella di uno scellerato do ut des: “io (Comune) ripulisco il giardino a spese dei cittadini contribuenti e tu (Soprintendenza) mi concedi la Villa a titolo gratuito per lo svolgimento degli eventi”.

È facilmente intuibile la natura di pactum subjectionis e di contratto non scritto stipulato tra le due pubbliche amministrazioni: nulla a che vedere con l’idea di “buon samaritano” che si prende cura di un bene, non rientrante nella sua sfera di competenza, con episodici provvedimenti contrabbandati come atti d’amore per il paese. Vi è, peraltro, da notare, veramente con «rammarico e dolore» che, nel corso delle azioni di pulizia, è stato usato sconsideratamente il diserbante secca tutto, composto chimico che avrà effetti nefasti sulla conservazione e sull’integrità dei mosaici.

L’atteggiamento di assoluta noncuranza è fin troppo palpabile, come si evince dalle affermazioni del primo cittadino, il quale, quasi fosse appena sceso da Marte, ha dichiarato, ben sapendo di mentire, di non essere stato «informato» circa il passaggio di competenza alla Direzione Regionale dei Musei della Campania (non ancora del tutto effettivo), mentre avrebbe dovuto farsi parte attiva in questo procedimento in cui è comunque coinvolto.

Realizzare le speranze di un glorioso passato sembra quasi un paradosso se rapportato allo sfacelo in atto, specchio di un decadimento intellettuale e culturale, stanza oscura in cui riecheggiano, penetranti, le parole con le quali Carlo Dossi si è espresso per descrivere la «barbarie incombente sulla civiltà». Occorre, pertanto, illuminare e risvegliare le coscienze attraverso radicali cambiamenti che garantiscano nuove prospettive gestionali e nuovi imperativi morali di rispetto e devozione verso un passato e un’appartenenza da sottrarre all’oblio. La Villa di Minori, emersa alla luce dal fango delle alluvioni di tanti secoli, deve essere salvata da un tipo diverso di fango, da una mentalità stagnante che vorrebbe sommergerla di nuovo o gettarla tra le spire di chi intende costruire un futuro cancellandone le fondamenta.

*docente di Storia e Filosofia

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
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