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Amalfi

Una scossa salutare per il 2023

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di FRANCESCO CRISCUOLO

In tutte le località della costiera amalfitana, come è ben noto, il sopraggiungere del primo giorno di ogni anno solare è salutato e allietato tradizionalmente, fra un tripudio di luminarie e di fuochi d’artificio, da suoni e canti festosi preparati ed eseguiti, per l’occasione, da gruppi folcloristici all’uopo costituiti e vulgo denominati “bande di Capodanno”.

Si tratta di piccole aggregazioni, per lo più spontanee, di persone di ogni età e condizione sociale, senza pretese organizzative o artistico – celebrative, che prosperano da tempo immemorabile, probabilmente sulla scia delle canzoni carnascialesche rinascimentali, della commedia dell’arte seicentesca o, in forma più sfumata e lontana, dei Bacchanalia dell’antica Roma.

Ad Amalfi, con grande diletto dei residenti e dei numerosi turisti, occupano la scena quasi per l’intera notte, allo scoccare del mezzogiorno e nella prima serata del 1° gennaio, percorrendo le vie cittadine e dando luogo a un vero e proprio concerto sulla imponente scalea del Duomo, che, lungo il suo perimetro, offre lo spettacolo di costumi variopinti e di una colorita presenza di strumenti di percussione di ogni specie.

Altrettanto è possibile vedere nella scenografica piazza di Atrani, dove un folto raggruppamento si esibisce, oltreché nelle manifestazioni canore proprie della festività, anche in allegre marce sinfoniche.

A Minori, nel rispetto di consuetudini secolari, la cornice musicale si snoda sui ritmi della recitazione cantata di strofette a rima baciata, che possono farsi rientrare nel genere satirico – popolaresco, in quanto riassumono i principali avvenimenti verificatisi in loco durante l’anno trascorso, prendendo di mira, con toni ad un tempo burleschi e sferzanti, storture palesi della vita amministrativa e aspetti deteriori del costume sociale. Anche stavolta, come di consueto, i minoresi non sono mancati a un appuntamento annuale, in cui tiene banco da non poco tempo, senza clamore e senza smania di protagonismo, un lavoratore serio ed infaticabile come Antonio Polverino, autore dei componimenti rimati e straordinariamente incline a far uso della freschezza e della schiettezza della lingua dialettale con una scintillante vena creativa, che rimanda alla spontaneità della poesia dell’omonimo zio, paragonabile a un autentico moderno aedo.

Nello scorrere dei versi del Polverino si nota, nonostante la prolungata assenza dalla terra natale, l’acuta sensibilità di chi conserva intatti l’attaccamento e l’orgoglio di appartenere al suo luogo di origine, ma anche la notevole capacità di coniugare una sequenza di fatti, poeticamente strutturata e argomentata, con la consapevole volontà di suscitare nell’ascoltatore riflessioni, non disgiunte da preoccupazioni per l’immediato futuro.

Del resto, come ha scritto il celebre poeta latino Orazio, “che cosa vieta di dire il vero anche ridendo e scherzando?” (Sat I,1,24).

Pur non potendo dissimulare un vivo disappunto per la non velata propensione a calcare la mano su vicende relative alla comunità ecclesiale minorese, che, per la sua alta missione, non deve formare oggetto di apprezzamenti ironici o di frecciate salaci di cattivo gusto, è opportuno rilevare che gran parte delle asserzioni espresse coglie nel segno, in quanto rappresentano la fotografia di una serie di situazioni per nulla lusinghiere.

Da quelle battute, che rivelano uno spiccato spirito di osservazione, unito a una fine intelligenza della realtà e a un’originale dimensione interpretativa, traspaiono ben chiari motivi di insoddisfazione e di recriminazione, che non si possono non raccogliere né lasciare che rimangano confinati nei sussurri e nei mugugni dei crocicchi delle strade.

Emerge il profilo di un paese, fino a qualche decennio fa fucina di una dialettica politica e civile di non scarsa caratura, ma attualmente ridotto a “un pantano”, dove tutto tace o tutto è messo a tacere, anche di fronte ai guasti più vistosi e agli inevitabili errori, da cui nessuna persona o umana istituzione è immune.

È l’aspetto tipico della deliberata e programmatica organizzazione di una convivenza, nel cui seno si sono persi il gusto dei diritti e il senso dei doveri, perché “vuolsi cosi colà dove si puote”(Inf III,95).

È una “morta gora”(Inf VIII,31), in stridente contrasto con l’art 2 della Costituzione, che va pur sempre considerata come la bussola dell’agire politico – amministrativo e come un baluardo permanente di democrazia.

È un Penteo a terra, svuotato dall’interno, ripiegato su sè stesso, tenuto in scacco e quasi in ostaggio da chi, con una ben orchestrata denigrazione di quanti esternino il loro dissenso rispetto a una sorta di pensiero unico e con l’abuso dello status di eletto ha contrabbandato come favore personale quanto spettante, per la Legge fondamentale dello Stato, a ciascun cittadino “sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità”.

È il quadro desolante di una cittadinanza, artificiosamente assoggettata a una condizione di asservimento morale e forzosamente rassegnata a subire senza reagire, perché indotta a vedere non il pubblico amministratore, ma il privato protettore. In questa inedita veste, più che nella qualità, conferita per mandato popolare, di detentore del potere – dovere di perseguire il bene comune, viene identificato, pour cause, chi, speculando sui lati deboli ed oscuri dell’ animo umano, si mostra impegnato a costruire quotidianamente un’ immagine di sè come dispensatore di benefici, solo formalmente legittimi, ma ben mirati e selezionati a seconda del grado maggiore o minore di ossequio ai suoi voleri.

È interessante constatare che gli stessi mali, di cui soffre la collettività minorese, affliggono, “in parte più e meno altrove” (Par I, 3), gli altri paesi della Costa d’Amalfi, in cui appare evidente che i responsabili della res publica tendono non tanto a ricercare il consenso per amministrare, quanto ad amministrare per guadagnare e aumentare il consenso, con gravi conseguenze sull’armonica serenità dei rapporti civici e sullo sviluppo delle potenzialità più alte del territorio.

Nessuno si è scandalizzato di fronte a un fatto abnorme per la stessa tenuta democratica qual’è stata la presenza di una lista unica nei comuni di Cetara, Conca de Marini, Praiano, in occasione delle elezioni amministrative del 2021 e, prima ancora, a Minori nel 2009.

Simile linea di tendenza, qualora dovesse consolidarsi, porrebbe in rilievo l’indice più significativo di una depressione civile e culturale, figlia di un clima di chiusura al dialogo, di indisponibilità all’ascolto, di sotterfugi e ricatti più o meno larvati da parte degli eletti, di assenze di slancio da parte degli elettori, di mentalità servile nei confronti del potere costituito, in definitiva di deficit di democrazia, aggravato da un’apatia mista a individualismo e indifferenza diffusi.

Elie Wiesel, premio  Nobel per la pace 1986, ha scritto: “Sono tante, troppe le atrocità e moltissimi i pericoli nei quali ogni giorno ci imbattiamo. Ma di una cosa sono certo: il male peggiore resta l’indifferenza che và combattuta con tutte le forze”.

Occorre, dunque, essere grati al Polverino, la cui voce libera e coraggiosa ha il sapore di una scossa salutare contro qualsiasi pigrizia intellettuale e di un implicito invito, rivolto al popolo di Minori e della Costiera tutta, a ridestarsi dall’inerzia e ad osare in direzione di una fecondità di azione e di una ricchezza di orizzonti, sottratte all’esilarante arguzia di una notte.

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
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