di NOVELLA NICODEMI
Gli abitanti della Costiera lanciano un SOS. Hanno fame e sete.
Fame di normalità.
E sete di tranquillità psicologica, di serenità mentale.
Eh sì, perché alzarsi la mattina, uscire di casa, poter prendere un autobus oppure salire nella propria auto, arrivare puntualmente a destinazione per poi, a fine giornata, riprendere l’autobus o l’auto e rientrare a casa sembrerebbe, almeno in teoria, l’ABC dell’esistenza. A meno che tu non viva nella giungla più remota e selvaggia e allora vai di liana, e pace.
Ma questa semplice e apparentemente scontata routine quotidiana a chi in Costiera ci vive, ci studia e ci lavora sembra solo un miraggio. Che uno studente possa essere messo in grado di seguire regolarmente e in orario le lezioni, che un pendolare possa espletare regolarmente il proprio lavoro, che un turista possa agevolmente, e con tranquillità, visitare uno dei luoghi più belli del mondo appare come una mera utopia.
Già, perché qui per residenti – specialmente studenti -, pendolari e turisti, andare da un punto A a un punto B, spostarsi per necessità o per divertimento si trasforma ogni santo giorno in una nuova incredibile avventura. Incredibile nel senso che ha dell’incredibile. Di entusiasmante non ha proprio nulla. Anzi, questo è uno scenario davvero deprimente.
Un banale spostamento diventa un’odissea, un viaggio della speranza, una corsa a ostacoli, un percorso irto di pericoli, trappole, imprevisti, e brutte sorprese. Sembra di essere in uno di quei giochi di sopravvivenza dove devi superare delle prove di resistenza fisica e mentale per salvarti la vita. Praticamente, chi vive in Costiera è come se fosse costretto ogni giorno a praticare uno sport estremo, non alla ricerca di sensazioni forti, ma alla ricerca della via perduta come un esasperato Indiana Jones sull’orlo di una crisi di nervi. Uno stress che non si può più reggere.
Le criticità di un territorio complesso come quello della Costiera sono note e arcinote. Il problema del traffico, correlato all’insufficienza e alle inefficienze del trasporto pubblico, non è certo la scoperta dell’acqua calda. È diventato una piaga endemica. Eppure ogni anno di questi tempi, quando ci si rende conto che fra poco inizierà la stagione turistica, si pensa con angoscia alle strade intasate, al traffico che congestiona fino all’inverosimile le vie di terra, ai pullman strapieni, alle file interminabili sotto il sole. E il pensiero va inevitabilmente alle targhe alterne, ai semafori, alle restrizioni, ai controlli, alle multe, questo e a quello, e a quell’altro ancora. Provvedimenti che hanno efficacia ma solo parziale, come le medicine che curano i sintomi ma non intervengono sulla malattia, non la estirpano. Ecco perché le istituzioni hanno da un bel po’ di tempo puntato, come valida alternativa praticabile al trasporto su gomma, a intensificare le vie del mare. Anche gli armatori, facendosi carico di questa esigenza, hanno fatto il loro potenziando mezzi e corse e investendo sul trasporto marittimo.
Sembrava la soluzione ideale. Perfetta.
Ma poi arriva l’amara sorpresa, con l’ordinanza della Capitaneria di Porto che di fatto limita a ridimensiona gli spostamenti via mare. Una doccia gelata. Che, per carità, fa tanto bene alla circolazione, la rimette proprio in moto. Ma quella del corpo però, non quella delle persone.
Le tanto invocate vie del mare ora sembrano inabissarsi insieme alle speranze che in esse erano riposte come unica ancora di salvezza. Un sogno che finalmente stava tingendo i suoi contorni di realtà sembra infrangersi miseramente sugli scogli.
Cui prodest? A chi giova questa situazione?
Se fossimo complottisti ci vedremmo un arcano disegno che mira ad arricchire i professionisti della salute mentale con tanti nuovi casi di esaurimento nervoso; potremmo ravvisarci qualche potere occulto che vuole impedire ai nostri ragazzi di erudirsi per mantenerli nell’ignoranza; potremmo pensare a una diabolica strategia di qualche località turistica rivale che si gioca la carta della concorrenza sleale e mira a screditarci nel mondo per rubarsi i nostri turisti.
Noi però dobbiamo essere realisti. E la domanda è solo una: ora che si fa?
Eliminare il problema alle radici rimanendo chiusi in casa, come asceti o misantropi? Ai credenti rimane farsi il segno della croce prima di uscire da casa con la speranza che Dio gliela mandi buona, agli scaramantici munirsi di amuleti più potenti, agli atei non resta che attaccarsi al tram (ma neanche il tram si può usare in Costiera!). Gli agnostici rimangono nel traffico o a piedi. Semplicemente. Con più tempo a disposizione per non porsi il problema.
Il buon senso vorrebbe che tutti i soggetti coinvolti si sedessero a un tavolo di trattative trovando la quadra del cerchio. E che non si alzassero prima di arrivare a una soluzione definitiva. Come le giurie che rimangono anche per giorni chiuse a deliberare finché non si raggiunge un verdetto all’unanimità sull’imputato.
Basta poco: senso di responsabilità, spirito di collaborazione, voglia concreta di mettere un punto a questo problema. Il tempo dei puntini sospensivi è davvero finito.
Chi ha la fortuna di viverci in Costiera, di esserci nato, ha raggiunto un livello di esasperazione che non eguali, arrivando a volte a odiare il meraviglioso posto in cui abita, a maledirlo perché invivibile. E quando succede questo, si è arrivati al punto del non ritorno, letteralmente. SOS. L’estate (e il nemico) è alle porte.