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Presunzione d’innocenza, la legge Cartabia limita i giornalisti sui nomi degli indagati

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Dal dicembre dello scorso anno è in vigore la legge sulla presunzione d’innocenza varata dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia.

Una legge che impedisce ai giornalisti di pubblicare nomi e cognomi di trafficanti di droga, corrotti, camorristi, pedofili, per salvaguardare la presunzione d’innocenza di indagati e imputati prima che i giudici emettano le sentenze. Insomma, i cronisti dovranno attendere la conclusione degli iter processuali, con eventuale condanna e cioè dopo la sentenza della Corte di Cassazione, almeno sei o sette anni dopo l’arresto.

In realtà la legge recepisce una direttiva europea del 2016 inserita nel “Testo Unico dei Doveri del Giornalista” che impone, comunque, di «rispettare sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza facendo risultare chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi dei procedimenti e dei giudizi».

E’ da mesi che sui giornali appaiono notizie di cronaca senza nomi e cognomi delle persone coinvolte. Al massimo le iniziali. Che è la stessa cosa. In pratica una “non notizia” come si dice in gergo giornalistico.

C’è da dire che la legge Cartabia consente la diffusione di informazioni limitate, o meglio, come si legge nel decreto, “solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. E qui la toppa è peggiore del buco poiché la norma attribuisce un potere e un controllo pressochè assoluto al Procuratore della Repubblica, unica figura che può autorizzare la diffusione di notizie relative ai procedimenti penali e diffondere informazioni su qualsiasi evento che possa richiedere l’apertura di un’indagine.

La domanda che ne segue può essere solo una: che tipo di notizie potranno essere diffuse? Sulla base di quali criteri? Con quale grado di trasparenza? Per rispondere a quali interessi: quelli degli inquirenti, quelli degli indagati o quelli dei cittadini? Di fatto nel tentativo di difendere un diritto costituzionalmente garantito come la presunzione d’innocenza se ne penalizza un altro, anzi due: il diritto di informare e il diritto di essere informati, tutelati entrambi dall’articolo 21 della Costituzione.

redazione
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