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Il contributo di Don Giuseppe Pansa alla venuta di Sant’Alfonso Maria De’ Liguori nella Diocesi di Ravello e Scala

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di Mons. GIUSEPPE IMPERATO – Dopo l’espulsione degli Spagnoli da Napoli e durante i torbidi anni della dominazione austriaca (1707- 1734), periodo molto penoso per la Chiesa, quando nel Regno di Napoli dominava una cupa atmosfera oppressiva verso le istituzioni ecclesiastiche e con titoli speciosi si usurpavano le rendite ecclesiastiche, si avversavano i Vescovi, i prelati, il clero, la stessa Sede Apostolica e le autorità civili impedivano l’esecuzione delle lettere pontificie per la provvista delle sedi vacanti, il 6 aprile 1718, fu chiamato a svolgere il suo ministero pastorale nelle diocesi di Ravello e Scala, il Vescovo Mons. Nicola Guerriero.

Nel mese di maggio 1731,ultimo anno del suo governo episcopale nelle diocesi di Ravello-Scala e all’inizio del ministero dell’immediato successore di Guerriero, Mons. Antonio Maria Santoro (1681-1741), giunge a Scala, la prima volta, per un periodo di vacanza, un giovane missionario napoletano, Alfonso de Liguori (16961787), che quivi trova ispirazione per la grande opera della fondazione di un nuovo Istituto Missionario: la Congregazione del SS. Redentore.

Un evento questo cha ha segnato misteriosamente la storia della piccola cittadina di Scala e della Chiesa locale ed universale.

Nel 1732-37, anni della permanenza di Alfonso de’Liguori e dei suoi primi compagni, in questa diocesi, la vita cristiana dei cittadini di Scala, Ravello e dei paesi dell’intera Costa Amalfitana, sperimentò preziosi giorni di grazia e si arricchì molto, beneficiando della intensa e capillare azione apostolica svolta dai nuovi missionari che diede ai nostri paesi un volto cristiano, conservato a lungo sino alla soglia della nostra epoca rigurgitante dei clamori materialistici del laicismo imperante.

Occorrerebbe indagare sulla fondazione e la vita delle varie Confraternite esistenti a Scala, Ravello, Amalfi, Maiori, Minori, Tramonti, Agerola, per conoscere l’influsso che in esse ebbe l’azione apostolica di Sant’Alfonso.

Il passaggio di quel gigante delle missioni popolari nei nostri paesi ha nobilitato il già lungo e luminoso cammino della nostra Chiesa che, anche a distanza di secoli, è orgogliosa di conservare viva la memoria della venuta a Scala di Sant’Alfonso de Liguori, comunemente considerato un gigante non solo della storia della spiritualità, ma della storia tout court, come JeanDELUMEAUProfessore al Collège de France, ha scritto nella Prefazione de Il santo del secolo dei lumi, la più affascinante biografia del Santo scritta dal redentorista P.Teodule Rey-Mermet.

Nelle presenti giornate di studio sul Settecento ravellese, perciò, è sembrato non soltanto opportuno, ma doveroso rievocare la storia di quegli anni nel ricordo sempre ammirato e colmo di gratitudine delle persone che ne furono protagoniste e in modo particolare contribuirono alla realizzazione del disegno provvidenziale di Dio nella persona di Sant’Alfonso de Liguori e nella Sua Congregazione Religiosa che nacque a Scala il 9 novembre 1732 e compì i primi passi (1732-37) evangelizzando i paesi delle diocesi di Ravello e Scala e Amalfi.

E’ il tema di questa relazione che mira a collazionare le testimonianze letterarie ed archivistiche, alcune delle quali, in parte inedite, su coloro che ebbero la ventura di partecipare e vivere i primi momenti dell’esperienza alfonsiana sulla nostra terra e sul contributo particolare di un sacerdote locale: don Giuseppe Pansa, prete dotto, colto e zelante, significativa figura del Clero amalfitano del Settecento, non sufficientemente conosciuto ed apprezzato come meriterebbe.

Don Giuseppe Pansa

Nato ad Amalfi il 26 giugno 1699 da Geronimo Pansa e Caterina Giannino, fu battezzato nella chiesa Cattedrale il giorno seguente la nascita, il 27 giugno, festa del Patrocinio di S. Andrea, e gli fu imposto il nome di Giuseppe Pietro.

I genitori erano di origine atranese, appartenenti all’illustre e nobile famiglia dei Pansa che, alla fine di quel secolo, erano passati ad abitare ad Amalfi.

L’ingresso del loro palazzo, situato nel rione Campo, ancora oggi, reca l’iscrizione, apposta al di sotto del portale in pietra di Lecce,sulla quale si legge: “Geronimo Pansa 1723”.

Il nonno paterno di don Giuseppe, Andrea Pansa, era il medico-dottor fisico di Atrani e lo storiografo erudito Francesco Maria Pansa, autore della ” Istoria della Repubblica di Amalfi”,era fratello di Geronimo e zio di don Giuseppe.

Dopo la prima educazione religiosa coltivata in famiglia e sotto la guida di sacerdoti amalfitani, Giuseppe Pansa si avviò al Sacerdozio frequentando il corso degli studi umanistici, filosofici e teologici presso il locale Seminario arcivescovile, in netta ripresa spirituale e culturale a seguito dell’intelligente ed intensa opera di rinnovamento ecclesiale e pastorale compiuta dall’Arcivescovo Mons.Michele Bologna. ( Cf Taiani)

Fu,infatti, Mons. Michele Bologna a conferirgli prima la Sacra Tonsura ed in seguito gli ordini minori e maggiori, del Suddiaconato, Diaconato e, infine, l’Ordinazione Sacerdotale.

Il chierico Giuseppe Pansa, il giorno primo ottobre dell’anno 1720, ricevette i quattro Ordini Minori nella Cripta di Sant’Andrea Apostolo di Amalfi, il 21 novembre successivo, Sabato delle quattro Tempora d’Autunno, nella Cappella della SS. Concezione della Chiesa Cattedrale fu ordinato Suddiacono “ad titulum patrimoni sui” costituito dalla Cappellania della SS. Concezione, di diritto di patronato della famiglia Pansa.

All’inizio del secolo XVII, il magnifico don Andrea Pansa, suo nonno, infatti, aveva costruito la Cappella dell’Immacolata Concezione nella Chiesa Cattedrale di Sant’Andrea Apostolo di Amalfi. Questa notizia si rileva dall’Istrumento Notarile di Domenico Verone del 1707-08, in cui si dice che il dott. Andrea Pansa aveva fondato la seconda cappella all’entrata per la porta che conduce alla Cappella del Venerabile Sacramento ed aveva in essa fatta erigere altare e colonne, capitelli, paliotto e altri ornamenti di marmo, e l’immagine dell’Immacolata Concezione della B.V. e diritto di sepoltura. (Arch.di Stato,Salerno,Prot Notarile, pacco 6721,Domenico Verone,a.1707-1708,f.154)

In forza della donazione della suddetta Cappellania, ricevuta con Atto del 2 gennaio 1721, don Giuseppe è tenuto, dal giorno dell’ordinazione sacerdotale e durante la sua vita, non solo a celebrare la Santa Messa tutte le domeniche e feste di qualsiasi settimana, ma anche in tutti i giorni di Quaresima, nella cappella della sua famiglia costruita nella Chiesa Cattedrale.

Ciò, però, non gli fu sempre possibile osservare, in quanto, prima, dimorò a Napoli per motivi di studio (1723-1730),in seguito visse ad Agerola nella Parrocchia di Santa Maria La Manna dove fu parroco (1735-1799).

Il 20 novembre 1721, Don Giuseppe ricevette il Diaconato nella Cappella di San Giovanni Battista del Casolare di Pastena di Amalfi; e il 19 dicembre 1722, nelle Quattro Tempora di Avvento, sempre nella Cappella di San Giovanni Battista di Pastena fu ordinato Sacerdote per le mani di Mons.Michele Bologna. ( Curia Arciv.Amalfi, Libro delle Ordinazioni, Mons.Michele Bologna)

Dopo l’ordinazione presbiterale, nell’anno seguente,1723,per continuare e perfezionare gli studi ecclesiastici e intraprendere quelli giuridici e conseguire il dottorato in utroque jure, come era costume delle famiglie patrizie dell’epoca, don Giuseppe ottenne dall’Ordinario Diocesano l’autorizzazione a trasferirsi a Napoli dove si iscrisse alla Facoltà di diritto ecclesiastico e civile della Reale Università.

Qui conosce e stringe amicizia con Alfonso de Liguori che ha appena lasciato la carriera forense per iniziare la preparazione al Sacerdozio. Forse s’incontrano alle riunioni settimanali della Congregazione delle Missioni apostoliche di cui erano entrambi membri, nelle riunioni dell’Accademia che si tenevano nella casa di don Ciro de Alteris, e infine nel Collegio dei Cinesi di Padre Matteo Ripa.

Don Giuseppe Pansa a Napoli

A Napoli, il più importante prestigioso centro universitario del tempo, don Giuseppe, oltre ad Alfonso Maria de Liguori, ebbe l’opportunità di incontrare tanti altri uomini illustri, tra i quali Tommaso Falcoia e il Sarnelli.

Nella città partenopea, in quel tempo, pullulavano le Accademie, i centri culturali e le Associazioni sacerdotali istituite per promuovere la formazione permanente del Clero e fomentare la pietà dei numerosi Sacerdoti della città: la Congregazione delle Missioni Apostoliche e di Propaganda- eretta nel Duomo di Napoli, una sorta di Unione Apostolica del Clero ante litteram, associazione che raccoglieva il fior fiore del Clero napoletano; l’Accademia dei Gerolomini;

l’Accademia ecclesiastica fondata nel 1723 da Don Ciro de Alteris, discepolo di Nicola Capasso e anch’egli membro delle Missioni apostoliche.

In questi cenacoli culturali si discuteva di storia, filosofia, scienza, teologia, patristica, politica.

Don Giuseppe si aggregò alla Congregazione delle Missioni Apostoliche ( Processo Nocerino) e forse abitava nel Collegio dei Cinesi, dove divenne amico di don Alfonso de Liguori.

Mentre era studente a Napoli, per onorare e arricchire ulteriormente la gloria della sua nobile famiglia, don Giuseppe volle interrompere i severi studi di giurisprudenza per riordinare gli scritti dello zio, il dott. Francesco Pansa, e aggiornarli in vista della pubblicazione della sua Opera principale,” La Istoria” in due volumi che fu data alle stampe postuma a Napoli il 25 gennaio 1725.

A Lui spetta, perciò, il merito di aver rivisto e resa degna di pubblicazione la “Istoria della antica Repubblica di Amalfi”di Francesco Pansa, che “giacea sepolta nell’ obblivione, in più fogli lacera,e divisa ” come scrive don Giuseppe nelle pagine iniziali dell’Opera.

Nella dedica dell’Opera al Sommo Pontefice Benedetto XII, scritta a Napoli il 25 gennaio 1725, in cui emerge l’alto livello culturale di don Giuseppe Pansa, noi troviamo anche un’ampia traccia da cui ricavare il più esatto profilo del sacerdote amalfitano, che fu Prete erudito e dotto, dalla grande formazione classica e dalla vasta cultura storica e letteraria.

Alfonso de’ Liguori

Erano quelli gli anni in cui l’illustre e celebre Avvocato Alfonso dei Liguori aveva abbandonato la carriera forense e i Tribunali e intrapreso il cammino verso il Sacerdozio.

Aveva 27 anni Alfonso de’ Liguori, il 23 ottobre 1723, quando vestì l’abito ecclesiastico e fu ammesso nella Congregazione delle Missioni e di Propaganda e frequentava l’Accademia teologica di don Ciro de Alteris, cui era iscritto anche don Giuseppe Pansa, il prete amalfitano che proprio quell’anno si era stabilito a Napoli per motivi di studio.

Dopo gli Ordini Minori, ricevuti il 22 settembre 1724,sabato delle quattro tempora di autunno Alfonso fu ordinato Suddiacono nel mese di dicembre dello stesso anno, nella Basilica di S. Restituta da Mons.Domenico Invitti, napoletano, canonico titolare della cattedrale, arcivescovo in partibus di Sardi, da un anno ausiliare del vecchio Cardinale Pignatelli. Contemporaneamente, il 23 dicembre, il futuro fondatore dei Missionari Redentoristi fu aggregato come novizio alla Congregazione delle Missioni, sia per le particolari attitudini alla predicazione che egli ex avvocato rivelava, sia per la vita integra e lo zelo che già lo distingueva tra i chierici napoletani, tanto più che il direttore dell’Opera, in quegli anni, il Canonico Matteo Gizzio, era suo zio.

Ordinato Diacono il 6 aprile del 1726, don Alfonso de Liguori iniziò il ministero della predicazione eucaristica in quasi tutte le chiese di Napoli e le missioni al popolo nei vari paesi del Regno.( Tannoia,28)

Il 21 dicembre 1726, all’altare maggiore della Chiesa Metropolitana, Alfonso ricevette l’Ordinazione Sacerdotale per le mani dell’Arcivescovo di Sardi, Mons. lnvitti; aveva trent’ anni.

Fu un avvenimento per tutta la città Napoli, per la nobiltà, la magistratura e per il popolominuto, perché dal giorno in cui aveva ricevuto l’Ordine del Diaconato “né di altro si parlava in tutta Napoli, che delle virtù di Alfonso e dello Spirito Apostolico da cui vedevasianimato”.

Divenuto sacerdote, Alfonso intensificò la sua pietà personale; ai suoi amici, Mazzini, Pansa e Porpora cui si erano aggiunti Sarnelli e Michele de Alteris e vari giovani desiderosi di perfezione, aveva proposto di dedicare un giorno al mese al ritiro spirituale per approfondire i problemi della vita spirituale e consolidare la fraternità sacerdotale da realizzare attraverso la vita comunitaria.

Era per loro una palestra di virtù. De Alteris mise a disposizione una delle sue ville per le riunioni e lì si trascorrevano ore di preghiera e si tenevano meditazioni. Più tardi don Giovanni Mazzini ricorderà queste giornate:

” Sembravamo una comunità in miniatura. In una stanza ponevamo un altare e davanti a questo, come se fossimo stati religiosi di coro, recitavamo l’ufficio divino con raccoglimento e con fervore, e si aggiungevano le litanie della Vergine e altre preghiere, oltre l’orazione mentale….Mangiavamo in comune e mettevamo nella presidenza come superiore,una statuetta di Gesù bambino e davanti a Lui un piatto vuoto nel quale ognuno metteva una parte della sua razione e la destinavamo ai poveri, simboleggiati nel divino Bambino.”(Telleria Cap.XI)

Nella quaresima del 1722, Alfonso, durante gli esercizi spirituali fatti nella casa dei Preti della Missione ai Vergini, si era proposto un programma intenso di preghiera e maggiore fedeltà all’adorazione quotidiana. Programma che attuava recandosi tutti i giorni nelle chiese di Napoli dove si tenevano le Quarantore e che Alfonso confermò quando dopo gli esercizi spirituali del 1723 iniziò a farsi strada nel suo animo l’idea di abbandonare l’avvocatura ed abbracciare lo stato ecclesiastico.

Padre Giovanni Mazzini ( Processo Ordinario Nucerino,1,301 v) ricorda che insieme con Giuseppe Porpora e don Giuseppe Pansa furono attratti dalla devozione del giovane ex avvocato napoletano che sostava lungamente ai piedi di Gesù Sacramentato in quella Chiesa.

Don Giuseppe era in compagnia del chierico Mazzini, quando vide la prima volta il giovane Alfonso de Liguori in adorazione nella chiesa del Convento dei Gerolomini, ossia dell’Oratorio di San Filippo Neri.

Ma il primo incontro di Don Giuseppe con don Alfonso avverrà il 23 ottobre 1723,quando l’ex avvocato, all’età di 27 anni, vestì l’abito ecclesiastico ed entrò nel Seminario che frequentò da alunno esterno .

Dall’incontro con Alfonso che si tramutò ben presto in fraterna amicizia, don Giuseppe trasse grande profitto. Forse si incontravano alle riunioni settimanali della Congregazione delle Missioni Apostoliche cui confluiva il fior fiore del Clero napoletano e in seguito a Villa Pirozzi a Capodimonte, dove aveva sede ” La Santa Famiglia” o Collegio dei Cinesi di Padre Matteo Ripa.

Come Alfonso, due anni dopo l’ordinazione sacerdotale, va ad abitare presso il Collegio dei Cinesi, così è lecito supporre che anche don Giuseppe Pansa, durante la permanenza a Napoli,( 1723 – 1730) dagli anni 1725 al 1730, sia stato ospite del Collegio dei Cinesi di Padre Matteo Ripa.

Matteo Ripa e il collegio dei Cinesi

Don Matteo Ripa reduce dalla Cina il 20 Novembre 1724 aveva fondato a Napoli il Collegio della Santa Famiglia o comunemente conosciuto con il nome di Collegio dei Cinesi per la formazione dei missionari destinati ad evangelizzare il Celeste Impero.

Per le difficoltà politiche che impedivano la partenza per le terre lontane, l’estremo oriente in particolare, in quegli anni, i missionari si dedicavano alla predicazione delle missioni popolari nei paesi del Regno di Napoli e anche di altri stati italiani.

Fu proprio in questa casa che si strinsero i vincoli dell’amicizia sacerdotale che spiega l’interessamento di don Giuseppe per la salute di Alfonso.

Nel maggio 1730 gli propone di venire in costiera amalfitana per restaurare le sue forze fisiche stremate per l’intensissimo lavoro missionario degli ultimi cinque mesi.

Ai primi di giugno 1729 Alfonso che era passato al Collegio della Sacra famiglia in qualità di cappellano, curava la chiesa del Collegio, dove confessava, predicava e di lì si allontanava per la predicazione della missione nei paesi della periferia napoletana. Presso il Collegio dei Cinesi, Alfonso si incontrava spesso con don Tommaso Falcoia, allora anziano, 62 anni, religioso della Congregazione dei Pii Operai, uomo dotto, virtuoso, esperto direttore di anime che in seguito sarà il consigliere, il sostenitore e il più valido aiuto di Alfonso nel discernere il piano-disegno di Dio sulla sua vita e la sua opera missionaria.

Dal Falcoia don Alfonso fu informato sui fatti che avvenivano nel Monastero di Scala. Il Falcoia era prevenuto contro le visioni di Sr. Celeste Crostarosa a motivo anche dei giudizi dei vari teologi napoletani e non, interpellati dal don Maurizio Filangieri, Superiore Generale dei di Pii Operai

Nel mese di maggio del 1730 il giovane sacerdote napoletano, cappellano del Collegio della Sacra Famiglia, predicatore ricercato nella chiesa di Napoli, era allo stremo delle forze. L’ultima missione all’Annunciata di Napoli l’aveva lasciato tanto spossato da imporgli un necessario periodo di riposo, lontano dall’abituale campo di lavoro.

L’amico don Giuseppe gli consigliò una villeggiatura sulla costa amalfitana. Alfonso accolse l’invito fraterno dell’amico, e si formò la comitiva per Amalfi, costituita da Alfonso, don Giuseppe Pansa, don Giovanni Mazzini, don Vincenzo Mannarini, don Giuseppe Iorio e don Giuseppe Porpora. Come abbiamo ricordato nel maggio 1730 don Giuseppe Pansa aveva proposto di trascorrere un periodo di ferie o ad Amalfi presso la sua ampia abitazione o presso il romitaggio di San Nicola, un antico convento di monaci basiliani, sulle colline di Minori in faccia al mare.

Nel settecento, Amalfi e la “Divina Costiera” erano già un luogo di villeggiatura: vi si andava per dimenticare e per riposare.

Da Napoli vi si accedeva facilmente con un piccolo cabotaggio di 33 miglia marine (una sessantina di Kilometri.

Il 9 maggio 1730 i sei sacerdoti imbarcatisi su un piccolo veliero lasciarono Napoli per dirigersi verso la Costa d’Amalfi. La barca salpò da Napoli, lasciò sulla sinistra Portici e Torre del Greco e puntò verso Sorrento per entrare, costeggiando, nel Golfo di Salerno attraverso Bocca Piccola fra Punta della Campanella e l’Isola di Capri. Quel giorno il mare fra Positano ed Amalfi era molto mosso e agitato da alte onde che impedirono all’imbarcazione di attraccare ad Amalfi e toccarono terra cinque kilometri più ad est, nella piccola e tranquilla baia di Minori. Era andata bene perché l’eremitaggio di San Nicola, dove i preti villeggianti erano diretti, si trovava proprio sulle alture che dominano quello specchio di mare.

Ma Alfonso e i suoi compagni erano tenuti a segnalare la loro presenza all’Ordinario Diocesano: prima di salire al romitorio di San Nicola, fecero, quindi visita a Mons. Michele Bologna, Arcivescovo di Amalfi.

Stavano intrattenendosi con l’Arcivescovo, in episcopio o forse, nel chiostro del Paradiso, quando sopraggiunse il Vicario Generale di Scala, don Angelo Criscuolo, il quale conosciuto il progetto dei preti napoletani di andare a villeggiare a San Nicola disse loro: ” Perché non venite a Santa Maria dei Monti sopra Scala, un luogo più elevato e perciò più salutare?”.

Lassù vi è un eremitaggio con sufficiente abitazione; potreste riposare e anche fare del bene a tanti poveri caprai che vi dimorano e vivono abbandonati”.

Don Angelo non sapeva di essere profeta! Queste parole sono riportate dal primo biografo di Sant’Alfonso, il Tannoia che le aveva raccolte dalle labbra stesse di Alfonso o di don Giovanni Mazzini.

I Preti napoletani accolsero l’invito del Vicario Generale di Scala e dopo una breve visita ai genitori di don Giuseppe Pansa, percorrendo la Valle del Dragone, raggiunsero Scala. Era il 9 o 10 Maggio 1730.

Giunti a Scala, non vi si fermarono se non per una breve sosta, non potendo incontrare il Vescovo Mons. Nicola Guerriero, che risiedeva nell’episcopio di Ravello, continuarono il cammino verso Santa Caterina e l’ascensione attraverso i sentieri che esistono ancora oggi, fino a 1084 metri sulla cima di Santa Maria dei Monti.

Lassù, trovarono il vecchio romitorio, un modesto edificio a un solo piano: il piano terra adibito ai servizi, al primo piano si trovavano quattro o cinque stanze. Annessa al romitorio v’era la chiesetta che custodiva una bella statua della Madonna. La chiesetta, incendiatasi nel 1800 e mal restaurata andò in rovina e non esiste più, mentre la statua di Santa Maria dei Monti ora si custodisce nella cappella dei Padri Redentoristi in Scala. Santa Maria dei Monti aveva anche un cappellano di cui si conosce anche il nome, ma non sappiamo neanche se capitasse mai lassù.

I sei preti in vacanza si sistemarono alla men peggio e, formando una autentica comunità religiosa, scandivano il tempo con la celebrazione eucaristica, la preghiera del divino Ufficio e la preparazione e consumazione comune dei pasti.

La loro presenza non passò inosservata ai pastori, “i caprai”, che abitavano quel pianoro.

“Fattosi noto il loro arrivo – annota il Tannoia – i missionari si videro subito accerchiati da pastori e caprai e da altra gente che dispersa se ne stava in quelle campagne. Così Alfonso e i compagni si posero a catechizzare quei contadini e a ricevere con tutta carità le confessioni. Dandosi quei pastori l’un l’altro la voce, vi concorse altra gente e riuscì la villeggiatura per i missionari una continuata ma fruttuosa missione”.

” Fu questa l’occasione, e così Iddio fece conoscere ad Alfonso il gran bisogno spirituale che soffre tante anime che, prive dei sacramenti e della divina parola, abbandonati marciscono per campagne e paesi rurali”.

Dopo un mese trascorso nel clima salubre della montagna scalese, recuperate le energie, nella prima decade di giugno, Alfonso scese da Santa Maria dei Monti a fare un giro per Scala. Il Vescovo Nicola Guerriero, sua antica conoscenza, che lo attendeva, lo strinse tra le sue braccia, lo invitò a predicare il giorno 11 giugno, Domenica tra l’Ottava del Corpus Domini.

Il discorso vibrante di amore per Gesù Eucaristia che Alfonso tenne quel giorno nella Cattedrale di Scala commosse il popolo. Anche le monache visitandine, informate dell’entusiasmo suscitato dalla predica del missionario napoletano, chiesero ed ottennero dal Vescovo che don Alfonso si recasse a tenere una pedica anche nella loro Cappella.

Fu questo il primo contatto che Alfonso ebbe con il Monastero femminile della Visitazione. Il Vescovo chiese ad Alfonso di tornare a Scala nei primi di settembre per predicare la Novena del celebre Crocifisso che si venera nella Cripta del Duomo, predicare gli Esercizi spirituali alle Suore (ancora visitandine) del Monastero ed esaminare il progetto e la proposta di riforma ispirata dal Signore a Sr. Celeste Crostarosa.

Alfonso prolungò di un paio di settimane la sua permanenza in Costiera poi ritornò a Napoli con i suoi amici. Ognuno ritornò alla sue occupazioni, ma Alfonso tornava continuamente all’esperienza di Santa Maria dei monti.

” Se partì da Scala, continua, il Tannoia -, non partì certo col cuore da Santa Maria dei Monti, né si lasciò addietro i suoi diletti pastori e caprai”.

Quella di Santa Maria dei monti fu un’esperienza fondamentale della vita di Alfonso, afferma il Tannoia: “Considerando il loro bisogno, ne piangeva e pregava Iddio che volesse prescegliere tra i figli di Abramo chi fosse per interessarsi per il loro bene”.

Attraverso una vacanza, Alfonso comprende quale deve essere il suo campo di apostolato e l’esigenza di donare alla chiesa un Istituto di Missionari per la gente più abbandonata dei paesi rurali così come il Signore aveva chieste nelle mistiche comunicazioni con Suor Celeste.

Padre Tommaso Falcoia, direttore spirituale delle Suore di Scala, che era a conoscenza delle intenzioni del Signore sull’amico Sacerdote napoletano, lo incoraggiava in questa nuova impresa. Nel novembre del 1731 aveva scritto a don Alfonso in questi termini: “Dio lo vuole .Per questo ha scelto lei come pietra fondamentale di questo nuovo edificio”.

Pur ritenendo che le affermazioni della suora coincidessero con i suoi ideali apostolici, Alfonso non voleva precipitarsi e, per non avventurarsi nella fondazione senza il consiglio della sua guida spirituale, volle consultare il suo direttore spirituale, il filippino Padre Pagano che, inizialmente accolse con riserva il progetto del giovane sacerdote, ordinandogli anche di disinteressarsi di Scala e ritornare alle occupazioni abituali.

Su consiglio del Falcoia, in compagnia di don Giovanni Mazzini e don Vincenzo Mazzarini, don Alfonso ritenne opportuno ritornare a Scala per conoscere e verificare di persona il disegno di Dio su di lui e la verità dei fenomeni soprannaturali che facevano tanto discutere e la fondatezza delle presunte rivelazioni del Signore alla suora.

Al termine del colloquio con Sr. Celeste Crostarosa, ancora emozionato per quanto aveva ascoltato, con gli occhi velati dalle lacrime, all’amico Don Giovanni Mazzini che lo interrogava sull’esito dell’incontro, don Alfonso rispose: “Mi ha detto che devo uscire da Napoli e fondare un Istituto di Missionari per i villaggi e i paesi che hanno bisogno, e me lo ha suggerito come volontà di Dio – Tu conosci i miei impegni e l’ambiente della capitale…inoltre dove trovo gli amici? ” Se è per questo , gli disse il Mazzini – qui c’è il primo. Non mancheranno gli altri che ci seguiranno. Chi conosce i piani di Dio”?

Obbediente alla volontà del Signore, Alfonso ritornò a Napoli per parlarne al Direttore spirituale e con grande sorpresa sentì dal Padre Pagano che l’idea di fondare un nuovo Istituto era per la gloria di Dio e di grandi frutti per le anime.

L’obbedienza già dava i suoi frutti. “Con essa, dirà in seguito Alfonso, cammino sicuro e non posso sbagliare nella mia vocazione”.

A Napoli resta sempre impegnato nella predicazione delle missioni popolari. All’inizio di dicembre dell’anno 1731,con altri confratelli della Congregazione delle Missioni, parte per una missione a Nardò. Poi passa a Polignano e finalmente a Foggia, dove predicò davanti alla Icona della Madonna dei sette veli. In quella circostanza accaddero fenomeni straordinari che furono testimoniati con giuramento da molti, compreso lo stesso Alfonso.

Tornato dai lavori in Puglia, nei primi giorni di marzo 1732, don Alfonso fu subito impegnato in missioni in Napoli, ma la mente correva sempre al colloquio di novembre con Sr. Celeste Crostarosa e a quanto gli raccomandava Padre Tommaso Falcoia: bisognava dar vita ad un nuovo Istituto missionario, perché l’idea veniva da Dio.

Volle consultare, allora, un Padre spirituale di grande autorità, allora, a Napoli, il domenicano Padre Ludovico Fiorillo, che in linea di principio si disse favorevole alla fondazione, anche se invitava a prendere tempo e non parlare di rivelazioni e di suore.

Il Superiore della Congregazione delle Missioni, Padre Torni, e tanti altri eminenti sacerdoti di Napoli, invece, gli erano contrari e gli stessi Sacerdoti confratelli nella Congregazione delle Missioni lo deridevano.

Al ritorno a Napoli dalla missione predicata nella diocesi di Caiazzo, dal 26 aprile al 28 maggio 1732, don Alfonso si recò di nuovo da P. Fiorillo dal quale aspettava una risposta, e il lunedì di Pentecoste, 2 giugno 1732, ottenne l’attesa risposta positiva che lo consolava e dissipava ogni dubbio e tutte le opposizioni.

Nel suo libretto di note intime Alfonso annotò le illuminanti parole di Padre Fiorillo che gli disse tra l’altro: “Ti rimetto a Falcoia e fidati di Dio. Buttati in Dio, come una pietra al fondo, senza pensare che s’à da fare e come la divina Provvidenza vi penserà”.

Ottenuto la certezza sulla volontà di Dio per lui, Alfonso comincia a liberarsi gradualmente dagli impegni che aveva a Napoli e prepara la partenza per Scala.

All’alba del 3 novembre 1732, per via terra, in compagnia di due giovani amici, don Giovanni Mazzini e Cesare Sportelli, percorrendo i sentieri che da Gragnano si inerpicano fra i monti Lattari, al dorso di un asino, don Alfonso raggiunse nuovamente Scala, dove il 9 Novembre doveva avere inizio la fondazione maschile della Congregazione voluta dal Signore.

Alla fine di ottobre o nei primi di novembre anche Falcoia che era stato nominato vescovo di Castellammare,era salito a Scala. Erano già a Scala don Pietro Romano, canonico della Cattedrale e confessore delle suore, Silvestro Tosquez, avvocato e giudice della suprema corte della Vicaria e Soprintendente delle Dogane di Napoli, don Giovanni Mannarini, un nobile calabrese che aveva conosciuto Alfonso al Collegio dei Cinesi.

La sera del sei novembre cominciò nella Cappella del Monastero del SS.Salvatore un triduo di preghiere con la esposizione e adorazione del SS. Sacramento, frequentato dal clero del luogo oltre che dalle suore. Sono molti i testimoni di alcuni prodigi che durante il triduo furono costatati nell’Ostia esposta per l’adorazione: oltre le suore, l’arcidiacono e il vicario generale don Emanuele d’Afflitto, don Antonio Campanile, arciprete della Cattedrale e cappellano delle suore, don Pietro Romano, tesoriere della cattedrale, don Alfonso, don Giovanni Battista di Donato, Mons Falcoia che “testifica che, ritrovandosi in Scala per godere l’aere”, assistendo “in dette esposizioni”, osservò alcuni prodigi, Vincenzo Mannarini, Silvestro Tosques. Le suore di Scala ancora conservano l’ostensorio.

La mattina del 9 novembre nasceva la nuova Congregazione. Quel giorno era domenica, la domenica XXIII dopo Pentecoste, e la Chiesa celebrava la Dedicazione della Basilica Lateranense. A Scala, in una casa di Via Torricella, proprietà delle Monache del SS.mo Salvatore, in una stanza dell’ospizio delle suore, trasformata in cappella, sei uomini cantavano a pieni polmoni il Veni,Creator Spiritus (Vieni,Spirito Creatore) e il Te Deum laudamus ( Ti lodiamo,o Dio)

Fra l’inno iniziale di invocazione e quello finale di ringraziamento, il vescovo di Castellammare di Stabia, che presiedeva la Liturgia di quel giorno solenne, Mons.Tommaso Falcoia, delegato dall’Ordinario del luogo, Mons.Santoro, spiegò il significato di quella celebrazione, esortando i presenti a realizzare i disegni del Signore:” Imitare le virtù e gli esempi di nostro Signore Gesù Cristo e consacrarsi all’evangelizzazione della povera gente sparsa nelle campagne e nei paesi rurali”.

Sei persone circondavano il vescovo di Castellammare: don Pietro Romano, don Pietro Mannarini, don Giovanni Battista de Donato, Silvestro Torques, don Giovanni Mazzini e don Alfonso de Liguori. Quel giorno mancava all’appello, don Giuseppe Pansa, il prete amalfitano che aveva promosso la vacanza in costiera amalfitana, il sacerdote amico che don Alfonso sperava di avere compagno anche nella nuova avventura missionaria inaugurata a Scala.

Ma questi pur conservando inalterata la fraterna amicizia e la collaborazione apostolica con don Alfonso, preferì dedicarsi al servizio pastorale parrocchiale cui lo aveva invitato e cui lo incaricò l’Arcivescovo di Amalfi, Mons.Sforza. Nel mese di novembre 1735,don Giuseppe Pansa fu nominato parroco di Santa Maria la Manna in Agerola dove rimase sino al 1779. Nell’anno 1774, a motivo dell’età anziana e la salute malferma, l’Arcivesco Mons.Puoti assegna a don Giuseppe Pansa ” de cuius vita et moribus plurimum confidimus,”come si legge nella Bolla di nomina, un collaboratore nella persone di don Giuseppe Pisacane.

Il 30 agosto 1776 gli viene assegnato come Coadiutore ed Economo, don Ferdinando Fusco di Agerola.

All’età di 81 anni, don Giuseppe muore nella casa paterna di Amalfi e viene sepolto nella Cappella dell’Immacolata della Cattedrale metropolitana.

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