19.1 C
Amalfi

1943, l’anno in cui non maturarono i fichi

ultima modifica

Share post:

spot_imgspot_imgspot_img

Costiera Amalfitana 1943: giusto 80 anni fa.

Nell’estate 1943 l’Italia era ancora in guerra – la guerra di Mussolini che la gente non aveva mai capito e, quindi, “sentito”.

 Un’estate di grandi cambiamenti, comunque. Le cose, invero, andavano malissimo su tutti i fronti (già durante l’inverno in Africa e Russia eravamo stati completamente sconfitti). Poi,  agli inizi di luglio -il 10- gli Alleati erano sbarcati in Sicilia e dopo 12 giorni – il 22 –  erano entrati in Palermo tra il tripudio della  popolazione – cosa surreale, visto che erano nostri nemici -, venendo accolti come  liberatori… liberatori dalla guerra e dalla fame. Così, in fondo, non sorprende che il successivo 25 luglio il regime fascista cadde e un incredulo Mussolini (è cosa risaputa che “il sazio non crederà mai a chi è a digiuno”) fu posto agli arresti… benché a  quel  “la guerra continua” non credeva nessuno: a cominciare dai tedeschi.

Similmente, anche in Costiera Amalfitana si moriva: di fame, specialmente, oltre che di malattie e bombardamenti. E fu così che con l’Armistizio dell’8 settembre e lo sbarco Alleato a Salerno, qui in Costiera per la stremata popolazione civile si presentò un’occasione insperata di, quantomeno, attenuare la fame e poter riprendere a sperare in un futuro.

Nell’autunno inverno 1943/44, grazie all’interessamento dell’allora maître (di cui non so il nome) dell’Hotel Cappuccini di Amalfi, su preghiera di mia nonna -vedova con 2 figli- mio padre, 15enne, trovò occupazione presso quel luogo, trasformato dagli inglesi in  Rest Camp (campo di riposo) rispetto ai combattimenti del fronte di Cassino.

Inutile dire, che stando con gli Alleati ci si assicurava la prima fondamentale cosa per una persona: mangiare. Ed a mio padre – benvoluto tanto dalla famiglia proprietaria dell’albergo che dai soldati britannici- tanta grazia di Dio non sembrava vera. Ogni settimana gli addetti britannici ai rifornimenti se lo portavano appresso a far scorta di cibo nel porto di Salerno. La camionetta era piena di sacchi di cibo, tra cui -ad esempio- quello dello zucchero, dove il giovane Salvatore (mio padre), come un topo affondava la testa tra le risate britanniche. Il “divertimento” continuava poi lungo il tragitto, dove ad ogni angolo disperati di ogni sorta imploravano che gli si buttasse qualcosa da mangiare, ricevendo qualche mela lanciata un po’ per pena … ed un po’ per il gusto di  colpirli.

Naturalmente, chi aveva a che fare con cose da mangiare cercava di portarne parte a casa, dove si continuava a morire di fame. Fu così che una sera mio padre si presentò con un sacchetto di “farinella”, un miscuglio di grani macinati che poco aveva a che vedere con la farina bianca (oramai dimenticata, se non sconosciuta). Messa sul fuoco in una pentola di creta, non ci fu il tempo a che fosse cotta perché ad un certo punto venne divorata e basta! Fu, dopo, a stomaco ristorato, che mia nonna disse che quella rimasta il giorno dopo sarebbe stata spartita con la famiglia di Filuccio [Raffaele] il vicino di casa …perché non si mangia da soli.

[Mia nonna, Maria Giovanna Gargano – classe 1893, analfabeta, scalese della località la Rossa-, era una donna tosta, ma di cuore. Rimasta vedova con 2 figli piccoli, rifiutò di risposarsi. Aveva la forza di fare lavori pesanti quanto gli uomini … che sapeva tenere a bada. Da ragazza, una volta, infastidita da un giovane di Scala, attese che transitasse presso un luogo che Lei sapeva e con l’ausilio di un bastone gli fece un solenne paliatone .  Poi, molti anni dopo, l’uomo – che non aveva mai scordato di essere stato paliato da una donna- in una conversazione le ricapitolò: “Giuannì (Giovannina), ta ricuord chella vot ca me facist na paliata?!”.   Ma le durezze del lavoro e non solo, non era l’unica cosa che condivideva con i compagni, e se mai si accorgesse che qualcuno durante la pausa pranzo non avesse da mangiare, spartiva sempre il pane con lui].

Inutile dire che in quell’anno 1943 non si trovava nemmeno una lattarola (erba mangereccia), tanto la gente era a caccia di qualcosa da mangiare. E non mancavano certo i furti (un tale qui in Costiera seminò delle patate, ma con sgomento il giorno dopo dovette costatare che durante la notte qualcuno era andato a dissotterrare le sementi per mangiarsele). Così, gli orti ed i castagneti dovevano essere sorvegliati giorno e notte. E così la frutta non ebbe di certo il tempo di maturare, ma ancora acerba veniva mangiata prima che qualcuno – magari qualche animale – arrivasse per primo!

Per chi, gente della mia generazione e successiva, non ha mai provato cosa significhi, la fame è difficile capire.

Gregorio Gallo – Ravello

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
spot_imgspot_img

articoli correlati

Questione accosti e concessioni demaniali, convocata a Cava Conferenza Sindaci Costa d’Amalfi

E’ convocata per mercoledì 15 maggio, alle 11,00, al Comune di Cava de’ Tirreni, la conferenza dei Sindaci...

Ravello celebra San Pantaleone di Maggio [PROGRAMMA]

Domenica 19 maggio a Ravello si celebra “San Pantaleone di Maggio” nel ricordo della traslazione della reliquia del sangue del santo patrono...

Fiera del Libro di Vietri sul Mare, ci sarà anche la giornalista Carmen Lasorella

La terza edizione della “Fiera del Libro di Vieri sul Mare” si arricchisce di eventi per dare ai tanti scrittori,...

La Salernitana sfiora il colpaccio in casa della Juve: pari bianconero solo oltre il 90°

La Salernitana retrocessa (in modo disastroso) decide di svegliarsi allo Stadium in casa della Juventus. Pronti e via...