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Crisi governo, De Masi da Ravello: «Draghi grande banchiere ma non politico» 

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Da Ravello, dove si trova in vacanza, il sociologo Domenico De Masi, da sempre interessato allo scenario politico italiano, per l’AGI traccia un’analisi dello stato dell’arte attuale della politica italiana. Quella di queste ore, per lui, è “una crisi annunciata. Si stavano creando man mano le condizioni per la rottura di quell’insieme di partiti che per loro definizione non erano fatti che stare insieme”, la cui sinergia “si basava soprattutto sulla capacità di collante di Mario Draghi. La prima cosa che è venuta meno “è il collante Draghi. Draghi è un grande banchiere, non è un politico e non essendo un politico è abituato solo ad avere una sua strategia e a imporla”. 

L’ex numero uno della Bce e della Banca d’Italia “ha avuto un approccio nei confronti del Parlamento di un premier che non deve rendere conto al Parlamento”, sostiene De Masi, ed è stato sconfitto nelle due occasioni in cui ha dovuto rendere conto al Parlamento. “La prima nel momento in cui è stato eletto il nuovo presidente della Repubblica, quando ha fatto di tutto per essere eletto e non ci è riuscito – elenca – la seconda volta ieri, quando, di fronte a una compagine in forte dialettica interna, anziché essere appunto da collante, ha fatto un discorso durissimo in cui in sostanza ha detto ‘io voglio questo, se vi piace bene, e sennò arrivederci’ e chiaramente la reazione è stata ‘arrivederci’. Quindi, ripeto, è un grande banchiere non un grande politico, e non a caso il suo è stato uno dei governi più brevi della storia repubblicana”. Gli ha detto ’arrivederci’ anche Silvio Berlusconi, che pure aveva sponsorizzato la nomina di Draghi a presidente della Bce, ”ma Berlusconi ha sempre avuto l’idea, l’impressione che Draghi non si sia disobbligato per questo, e che, diventato presidente della Bce, abbia fatto di testa sua. Quindi Berlusconi ha sempre avuto una riserva nei confronti di Draghi”.

De Masi cita un altro frequentatore di quei luoghi, Luigi Einaudi, per sintetizzare ciò che è accaduto a Mario Draghi: “Nessuno è così poco perito nell’arte di governare come chi è perito in tutt’altra cosa. Se si prende un grande esperto in una disciplina e si pensa che sappia fare con perizia anche la politica, si sbaglia. Il grande errore è stato di attribuire a un grandissimo banchiere le doti di un grandissimo politico. Le due cose non combaciano”.

Ad abbandonare Draghi per primi, sottolinea il sociologo, sono stati “i due partiti che stavano vedendo ridursi i loro consensi in modo più massiccio, i 5 Stelle e la Lega. Nel primo governo Conte, i pentastellati sono scesi dal 32-33% al 20%. Quelli che sono usciti allora dai 5 stelle in gran parte sono passati alla Lega per cui Matteo Salvini ha raddoppiato mentre i 5 Stelle sono dimezzati”. Ora con Draghi, c’è stata “la perdita forte della Lega, che con Draghi ha perso circa 6 punti. Stessa cosa per i 5 stelle, che ne hanno persi 5. Quindi la permanenza dentro questo governo per un altro anno a loro avrebbe portato ancora a una riduzione più importante”. “Quando è caduto il secondo Conte – aggiunge –  se l’ex premier avesse fatto un suo partito, avrebbe avuto l’8%. Conte, invece di seguire questa strada che comunque sarebbe molto onerosa perché servono risorse, ha voluto restare nei 5 stelle e valorizzare i 5 stelle e ora sono al 12%. Uscendo dal governo, tra loro molto probabilmente tornerà Di Battista, che porta circa tre punti. Significa che Conte si ritrova un partito del 15%. Craxi non ha mai superato il 14%. E Conte si ritrova con un partito del 15% depurato di tutti gli avversari, non del tutto coeso ma abbastanza coeso e con alcuni mesi per ricompattarlo”.

redazione
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