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Il nostro Sant’Antonio

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di Antonio Schiavo

“Prometti 50 lire a Sant’Antonio, vedrai che ti farà ritrovare il giocatore che hai perduto!”. Ed effettivamente, mentre ti domandavi, scettico, dov’era l’affare se tutta la bustina di calciatori costava 10 lire e tu dovevi investire cinque volte tanto, la figurina “miracolosamente” ricompariva in una tasca o in un cassetto che pure avevi rovistato fino ad un minuto prima.

Non sembri blasfemo, ma per tanti di noi ragazzini di Ravello, Sant’Antonio da Padova (illustre dottore della Chiesa, taumaturgo ecc. ecc.) era importante quasi esclusivamente perché ci faceva ritrovare un giocatore che, magari,ti consentiva di “finire”una squadra o di completare l’album.

Ma non solo: Sant’Antonio, si può dire che è stato il compagno di viaggio dei ravellesi.
Provate a pensarci: da piccoli, sopra Sant’Antonio, intesa come chiesa, la Signorina Teresa (senza cognome, bastava e basta il nome) ci dava lezioni di catechismo.

Siamo cresciuti a pane e partite sul campetto dei fratini a cui potevi accedere solo se partecipavi agli incontri del sabato con padre Bruno e padre Agostino Ciappetta. Ve li immaginate, già grandi, Andrea Torre o Giò Caruso, fermi e compìti, (si fa per dire) per più di un’ora ad ascoltare il dire dotto del Padre Guardiano?

Oppure a servir messa durante la tredicina con Padre Andrea Sorrentino che pestava sui tasti di un armonium che reggeva l’anima coi denti.

E la banda di Ravello, anzi quella di Fonzino Camera che, il giorno della festa, faceva la seconda uscita stagionale (dopo San Pantaleone di maggio) e insinuava una frizzante colonna sonora per le strade cittadine in cui si avvertiva già l’incanto dell’estate che si approssimava.

La processione con cento fratini preceduta dalla ricerca spasmodica dei “portatori” della statua. Pochi fili di lampadine colorate sotto l’atrio e il profumo penetrante dei gigli.

E la miscela strana, ma per questo indimenticabile, dei fumi dell’incenso con la fragranza del pane da poco sfornato, arrivata appena due minuti prima della prima messa.

A cui mamma ti “costringeva”a partecipare con la promessa di far colazione, dopo, a base di pane benedetto, pomodoro e basilico fresco.

Te l’ho riportato, mamma, quel pane, il tredici giugno di due anni fa, sperando di invogliarti a mangiare qualcosa e cercando di farti ricordare, mentre eri come assopita dopo una notte forse insonne, la tua “brillante carriera”di terziaria francescana che ti aveva, addirittura, vista eletta alla carica di “Ministra”. Forse, nemmeno tanto inconsciamente e nonostante le oggettive difficoltà legate ai tuoi novant’anni, stavo tentando di reingaggiare Sant’Antonio in un accordo perché ti facesse stare meglio.

Lo assaggiasti appena quel pane. Però, quando la processione è passata sotto casa e, a stento, sei riuscita ad affacciarti al balcone accompagnata dalla cara Anna, mi è parso di rivederti, arzilla e pure “devotamente” burbera nelle prime file del corteo a mantenere silenzio e ordine.

Il tuo viaggio terreno volgeva al termine ma il tuo, il nostro compagno di strada Sant’Antonio ci regalava ancora un attimo di memoria serena e così, in fin dei conti e una volta di più, manteneva fede, come tanti anni prima, all’impegno “contrattuale”.

Certo non era proprio solo quello che avevo chiesto, quello che ogni figlio, con un pizzico di irrazionale stupidità, vorrebbe sempre per la propria mamma, ma la vita non è sicuramente come una figurina di un calciatore da ritrovare, per miracolo, nelle tasche e nei cassetti dei giorni passati.

E poi, come dicevi spesso:”Accussì adda ì”: “Così deve andare!”.

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
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