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Amalfi

Il Presepe nella Costa d’Amalfi

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di GIUSEPPE GARGANO

La tradizione del presepe nella Costa d’Amalfi risale al Medioevo. In quel tempo la raffigurazione della nascita di Cristo era riservata all’arte pittorica dell’affresco. Così nel 1110 fu realizzato un ciclo cristologico nella cappella mediana del monastero orientale di S. Maria de Olearia nella giurisdizione di Maiori. Si tratta della rivitazione cronologica relativa all’avvento del Messia. Naturalmente inizia con la Visitazione, per proseguire con l’Annunciazione, la Natività, l’Epifanìa, la Crocifissione. In particolare, la Natività campeggia su di una parete centrale: la scena è dominata dalla grotta con la mangiatoia (presepe), con il Bambino che dorme in un giaciglio e S. Giuseppe disteso sull’altro lato, mentre al centro vi è la Madonna. Sulla sinistra si notano i pastori in abbigliamento leggero: uno di essi, il così detto “pastore della meraviglia”, guarda con le braccia aperte l’angelo che annuncia la Buona Novella, proferendo le celebri frasi: “Gloria in excelsiis Deo” e “Venite, adoremus!“. Nessuna stella o cometa appare al di sopra della grotta e neppure il bue e l’asinello sono individuabili. Sulla parete laterale s’intravede la scena dell’Epifanìa con i tre magi in abbigliamento rigorosamente orientale e il capo coperto dal berretto frigio.

Allo scorrere del XII secolo è da attribuire una Natività-Epifanìa, probabilmente desunta dal credo ortodosso: il maestro di quegli affreschi della cripta di S. Nicola della chiesa romanica di Minuta (Scala) era sicuramente un siciliano bizantino, in quanto la tecnica pittorica richiama a chiare lettere l’influsso normanno, indicato dal Pantocratore e dal S. Giorgio in abiti di cavaliere degli Altavilla, con lo scudo a goccia e il bandato di rosso e di bianco. Ancora una volta campeggia la grotta-mangiatoia: il Bambino è in fasce deposto sempre in un giaciglio, ora però riscaldato dall’alito di un bue e di un asinello; la Vergine è in atto di accoglienza dei visitatori, i quali si accalcano dai due lati della roccia scoscesa. A sinistra si notano l’angelo con i pastori e il gregge, vestiti comunque con abiti di miglior fattura rispetto a quelli dei loro colleghi dell’Olearia. A destra i tre magi, primo fra i quali Gaspare (il più giovane), si presentano mentre il Bambino viene lavato da due donne. In cima alla grotta è ben evidente una stella d’otto punte, che simboleggiavano l’eternità.

La cometa fece la sua prima apparizione nell’affresco della Cappella degli Scrovegni di Padova: era l’anno 1300, quando Giotto osservò la meravigliosa cometa di Halley, che ogni 76 anni si avvicina alla Terra, per cui decise di inserirla nella sua Natività. Da allora in poi essa è stata sempre mostrata in tutti i presepi.

E’ noto a tutti che l’inventore del presepe vivente è stato S. Francesco d’Assisi nel 1223: il Santo è affrescato nella cripta superiore della cattedrale di Amalfi (del Crocifisso), dove sono pure raffigurati i Ss. Cosma e Damiano, Nicola, Giorgio e il Beato Gerardo Sasso. Nel corso del XIV secolo la nobile famiglia amalfitana dei d’Alagno espose ivi un presepe fatto di statue di stucco, ora scomparso.

La tradizione dei presepi costituiti da statuine in terracotta, cartapesta, stoffe di varia foggia è giunta sino a noi sia nelle chiese che nelle private abitazioni dei centri amalfitani. Maestri napoletani e pugliesi durante il XIX secolo hanno contribuito, con singolare abilità, a tali realizzazioni. A tal proposito, è giusto ricordare i presepi della chiesa del Carmine di Atrani, i cui pastori rappresentano veri personaggi atranesi della metà dell’Ottocento, della parrocchiale di S. Marina di Pogerola, arricchito di artigiani e venditori, di S. Maria Maggiore, di S. Pietro della Canonica (Cappuccini) e del Rosario di Amalfi. In tutti questi presepi domina una significativa teoria di angeli calanti dalle asperità della grotta, spesso formata da pietre tufacee o calcaree.

Maestri amalfitani hanno contribuito con le loro sculture ad alimentare i presepi della zona: si tratta di Salvatore Ingenito di Atrani, che le faceva con la creta cotta sui carboni, per cui le figurine sono estremamente delicate, e di Matteo Di Lieto, che produsse in ceramica, nel 1960, il celebre presepe subacqueo della Grotta dello Smeraldo.

Dopo aver presentato in ordine diacronico le rappresentazioni presepiali della Costa d’Amalfi, occorre riflettere sui significati e i messaggi evidenziati attraverso questa nobile arte.

Innanzitutto bisogna cercare di chiarire il mistero della stella che guidò i magi a Beetlemme. Il primo astronomo ad avanzare un’ipotesi fu Keplero, il quale individuò il fenomeno nella congiunzione planetaria tra Giove e Saturno, avvenuta nel 7 a.C. nella costellazione dei Pesci. E’ ormai certo che Cristo non nacque nell’anno 0, perché Erode, colui che ordinò la strage degli innocenti, attestata dai documenti, morì nel 4 a.C. I magi, che erano astronomi-astrologi orientali, dovettero leggere in quella congiunzione astrale l’evento della nascita di un re (pianeta Giove) in Israele (pianeta Saturno), che avrebbe cambiato il mondo (costellazione dei Pesci); essi, abitanti o frequentanti Babilonia, avevano di certo letto le tavolette cuneiformi che riportavano la profezia di Michea: «E tu, Beetlemme di Efrata, non sei l’ultimo villaggio della Giudea, perché da te nascerà colui che regnerà in Israele; le sue origini son dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio metterà i villaggi di Giuda in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire». Così i magi partirono diretti a Beetlemme. Il fenomeno astrale non era facilmente visibile dai profani: persino Erode ne chiese spiegazione ai magi. La nascita di Gesù, pertanto, dovette avvenire nel settembre del 7 a.C., quando l’evento astronomico raggiunse il suo massimo avvicinamento e i pastori pascolavano ancora le pecore fuori dall’ovile. Uno dei magi, Gaspare, sembra essere realmente esistito: egli, principe dell’Afghanistan, doveva avere 19 anni quando giunse alla grotta e fu visitato dall’Apostolo Tommaso dopo l’annunciazione della missione evangelica. Inoltre, la più antica raffigurazione dei tre magi è visibile in una catacomba di Roma del IV secolo. Una leggenda racconta che vi fu un quarto mago, Artaban, che vendette tutti i suoi averi per comprare tre pietre preziose (uno zaffiro, un rubino e un diamante) che voleva donare al Messia. Purtroppo si attardò molto lungo la strada verso Beetlemme, in quanto diede le pietre a poveri e ammalati incontrati. Inseguì Gesù per tutta la sua vita e lo incontrò finalmente sotto la croce.

«Sei tu quel bambino nato tanti anni fa in una mangiatoia?». Chiese a Cristo crocifisso, il quale rispose di sì.

«Volevo offrirti tre pietre preziose, ma le donai a gente povera e derelitta». Il Signore gli disse:«Mi hai regalato molto di più, perché hai fatto del bene all’umanità».

Una donna riccamente vestita da orientale accompagna i magi nei presepi: si tratta della moglie di Baldassarre, che rappresenterebbe la Luna e, di conseguenza, sarebbe il simbolo della Madonna, come il Sole lo sarebbe di Cristo, perciò il Natale fu stabilito il 25 dicembre, giorno dedicato dalla religione pagana al Sole invitto, per propiziarsi un mite inverno. Nei presepi della scuola napoletana i magi sono anche accompagnati da una banda musicale in abiti orientaleggianti.

In quelle stesse rappresentazioni troviamo Benino, il pastore dormiente, ignaro dell’accadimento straordinario, Ciccibacco, che trasporta botti e barili di vino all’osteria, dove l’oste era in origine Belfagor, un demòne, che aveva preparato una trappola per la coppia santa, come rievoca pure la “Cantata dei Pastori”.

Una mostra di tele dipinte mediante una tecnica medievale che prevede l’uso di particolari terre e vegetali, tenuti insieme da speciale colla, opera di Annalisa Cerio, è allestita nella Biblioteca Comunale di Amalfi. L’artista, nella sua esposizione, rivive la vicenda mistica alla luce dei Vangeli di Luca e Matteo, dei Vangeli apocrifi, della tradizione armena e della creatività napoletana. Il quadro d’insieme del presepe è una raffigurazione verticale, con il castello di Erode in alto e la luminosa grotta della Natività in basso. Una tela rinascimentale fiamminga, conservata al Metropolitan Museum di New York, mostra la stessa scena a sviluppo orizzontale: da un lato anime dannate si disperano su di una collina, dall’altro i pastori si recano alla mangiatoia, al cui fianco un personaggio inquietante osserva di sbieco e si frega le mani, come se stesse pensando alla contromossa.

Nella mostra della Cerio è presente la leggenda armena della fanciulla che, non potendo visitare il Bambino, in quanto non ancora madre, si avvicinò con un fantoccio di pezza. La Vergine, commossa, la invitò ad allattare il bimbo che aveva in grembo, perché affamato. Quando la giovane guardò il suo fagotto, si accorse che era un neonato in carne e ossa, destinato a diventare Santo Stefano, il protomartire che si festeggia proprio il giorno dopo il Natale.

Il percorso della Cerio termina con la rappresentazione di un ponte, sul quale camminano dodici figure in bianco, i mesi dell’anno, che testimoniano il legame tra passato e futuro, il viaggio tra la terra e il cielo.

Così il presepe è intriso di tradizioni e di leggende, che lo rendono altresì pregno di valori e di emozioni. D’altronde, scrive Montaigne:«I nostri sogni valgono più dei nostri discorsi; la nostra saggezza è meno saggia della nostra follia».

Duemila anni or sono dalla misera grotta di Beetlemme, dove giunsero soltanto poveri pastori e sapienti scienziati, ma non i potenti, fu lanciato un messaggio che spezzava agli schiavi le catene, un messaggio che gridava all’umanità intera “libertà, libertà, libertà!”.

redazione
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