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Il Servo di Dio fra Antonio Mansi: un autentico figlio di Ravello

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di SALVATORE AMATO

L’apertura del processo di beatificazione del ravellese fra Antonio Mansi, avvenuta l’8 marzo 2019 nel Palazzo del Laterano, ci spinge a ritornare nuovamente sulle vicende che segnarono il breve ma luminoso spazio della sua esistenza e al contesto familiare e spirituale che ne animò fortemente lo spirito.

Quest’ultimo aspetto è legato all’origine dal fenomeno migratorio ravellese verso la città di Londra, dove giunsero dalla nativa Ravello i genitori Bonaventura e Maria Michela Mansi.

La condizione professionale dei migranti era prevalentemente di carattere agricolo, elemento che avvalora, ma solo in parte, tra le cause della partenza, la crisi dei mestieri tradizionali legati alla terra. Inoltre, non di rado avveniva, come ebbe a rilevare il Prefetto di Salerno nel 1877, che «tra le cause efficienti che spingevano la popolazione ad emigrare all’estero, figuravano maggiormente quella dei consigli di avidi speculatori interessati a lucrare nei trasporti, o di agenti di emigrazione legati ai governi dei paesi d’immigrazione».

 Nella capitale inglese, compreso un primo ritorno a Ravello tra il 1890 e il 1892, la famiglia di fra Antonio Mansi soggiornò poco meno di venti anni, fino al settembre 1904, come annotava il giovane frate tra le “date memorande” della sua vita.

  Il centro costiero contava in quel periodo una popolazione residente di circa 1850 unità, secondo le stime effettuate nel 1901 nel corso del censimento della popolazione del regno. La principale attività lavorativa era legata all’agricoltura, attraverso le professioni di contadino, colono e “bracciale”. Seguivano gli impieghi sartoriali e non ancora sviluppate erano le attività legate al settore ricettivo.

In questo contesto sociale si svolse il periodo ravellese di fra Antonio Mansi, che il 13 giugno 1909, al tempo del guardianato di p. Francesco Saba, vestiva l’abito religioso nel convento di san Francesco, in cui avevano soggiornato molti frati della Provincia religiosa di Napoli come Antonio Jesu da Cicciano, Bonaventura Pierro da Saviano, Agostino Pesapane da Pignano di Nola e Francesco Proto da Ravello. «Profeti silenziosi e fecondi», insieme ad altri, che avevano contribuito alla rinascita della comunità dopo l’onta delle leggi eversive del 1866 –1867.

Fra Antonio lasciò il convento ravellese il 1° novembre 1911, non prima di aver partecipato alle solenni celebrazioni per il II Centenario della morte del beato Bonaventura da Potenza. Una cronaca inedita del tempo ricordava come: «Al 1911 ottobre, ricorrendo il centenario del Beato Bonaventura, al convento si è fatta gran pompa coll’intervento del cardinale e vari vescovi (…) la mattina del 26 si è fatta la processione per il paese». L’eco di questi eventi, a distanza di qualche anno, indusse il Nostro a scrivere un inno al beato potentino, poi musicato da p. Domenico Stella. 

Da quel primo novembre 1911, la breve vita di fra Antonio Mansi si svolgerà tra i conventi di Bagnoregio, Assisi, Montottone e infine varcando il “Portone…di ferro” del Collegio Internazionale Serafico di Roma, dove conoscerà san Massimiliano Kolbe, con il quale condividerà la fondazione del movimento mariano della Milizia dell’Immacolata.

Queste vicende, conosciute minuziosamente attraverso ricordi e diari, si intrecciano con gli avvenimenti familiari, restituiti da un’ampia corrispondenza proveniente da Ravello, in buona parte a firma di p. Antonio Palatucci. Allo stesso frate di Montella toccava il mesto ufficio della notifica alla famiglia dell’avvenuta morte di fra Antonio e dell’organizzazione di una cerimonia funebre in sua memoria. Al rito di suffragio, in cui teneva un accorato discorso don Antonio Mansi, zio paterno del giovane religioso, veniva letto e commentato l’elogio funebre di p. Stefano Ignudi, insigne dantista, dal 21 settembre 1916 rettore del Collegio Internazionale Serafico.

Nella lettera che narra di quella celebrazione, il fratello Bonaventura Mansi rivelava anche il proposito di Antonio di voler celebrare la prima messa a Ravello, sulla tomba del beato Bonaventura da Potenza. Il desiderio di fra Antonio Mansi era spezzato per sempre dalla febbre spagnola che, il 31 ottobre 1918, lo condusse alla morte, pientissima e sanctissima, come recitavano contemporaneamente l’Elenchus Alumnorum del Collegio e il necrologio nel Commentarium Ordinis.

Ma il nostro fra Antonio, il 25 novembre 2004, ritornava finalmente nella chiesa conventuale di Ravello e i suoi resti mortali erano collocati per sempre “Dinanzi alla mirifica, arca dei tuoi portenti” del beato Bonaventura da Potenza, di cui è stato devoto e cantore.

redazione
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