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Influssi Etruschi nella Roma Antica

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di GIUSEPPE GARGANO

Un grande mistero si cela dietro le origini degli Etruschi, un popolo la cui lingua è ancora alquanto indecifrata e le cui tracce somatiche di razza si perdono nella commistione con altre nazioni dell’antichità. Le ipotesi sulla loro origine sono tre:

  • quella tradizionale di Erodoto li vuole provenienti dal Mar Egeo;
  • un’altra, collegata anche alla versione di Tito Livio, che li considera derivati dai Reti, sostiene la discendenza dalla civiltà villanoviana e quindi autoctoni dell’Italia centro-settentrionale;
  • la terza, ben più recente, li individua nelle popolazioni indoeuropee discese dalle pianure germaniche.

Una possibile affinità linguistica, come provano alcune iscrizioni sull’isola di Lemno presso la Tracia, e alcuni reperti archeologici etruschi della prima età d’ispirazione orientale, sembrano dar ragione alla prima ipotesi. A tal proposito Erodoto sostiene che gli Etruschi sarebbero giunti via mare dall’Egeo per sfuggire ad una pestilenza, guidati dal re Tirreno, per cui i Greci li chiamavano Tirrenoi; i Romani li indicavano come Tusci o Etrusci, mentre nella loro lingua essi si denotavano Rosna. Dionigi di Alicarnasso sosteneva l’origine autoctona.

I dodici popoli o tribù derivati dal mitico Tirreno costituirono una federazione distribuita in una dodecapoli di città-Stato che, a differenza delle poleis greche, erano in perfetta sintonia tra di loro: Cerveteri, Chiusi, Tarquinia, Veio, Vetulonia, Populonia, Volterra, Cortona, Perugia, Arezzo, Vulci, Volsinii (Orvieto). Diversamente dalle città greche, che erano costruite in aree alquanto pianeggianti secondo il reticolato ippodameo, i centri etruschi sorgevano per la maggior parte in luoghi leggermente collinari secondo uno schema a spirale. La larga diffusione del sistema urbano etrusco tra Lazio, Toscana, Umbria e su parte dell’Emilia Romagna cominciò a partire dal IX secolo a.C. In quel tempo le città-Stato etrusche erano governate dalla monarchia, rappresentata da una sorta di principe, il lucumone, le cui decisioni erano controllate dall’assemblea degli aristocratici. Nel corso del VI secolo assumeva un’egemonia sulle altre città della dodecapoli Porsenna, il lucumone di Chiusi. Fu proprio allora che avvenne una nuova espansione etrusca verso sud, nel Lazio meridionale e nella Campania, infilandosi nel golfo di Salerno per impedire la completa grecizzazione della regione, dove fondarono altre città-Stato. Tra queste vi erano soprattutto Fescenni, dove divennero famose le orgiastiche feste fescennine, e i centri marittimi di Marcìna (forse Vietri sul Mare), Irna (Fratte di Salerno), Picentia (Pontecagnano). All’interno edificarono Nuceria Alfaterna (Nocera Superiore) e colonizzarono le aree di Pompei e di Stabiae, fondendosi con gli italici autoctoni, nella fattispecie con gli Osci.

Gli Etruschi in generale e quelli della Campania in particolare furono sempre ostili ai Greci della Magna Grecia, soprattutto i Sicilioti capeggiati da Siracusa. Loro alleati, principalmente per reciproci interessi mercantili, furono i Punici della Sicilia occidentale e di Cartagine, che con loro condividevano l’ostilità verso i Greci.

Così le città etrusche marittime organizzavano traffici via mare in tutto il Mediterraneo occidentale, mentre quelle terrestri trafficavano via terra col Settentrione d’Italia. Commercio, agricoltura, produzione manifatturiera erano le principali attività economiche degli Etruschi, i cui prodotti erano vino, vasi, suppellettili, armi.

Una nuova realtà faceva la sua timida apparizione in un’ansa del Tevere crocevia di un traffico fluviale proveniente dalla foce (Ostia) e di movimenti via terra nell’VIII secolo: gruppi di capanne palizzate diffusi su sette colli cominciavano a trasformare un’economia decisamente pastorale in una più artigianale e mercantile. Sotto l’egida della troiano-latina Albalonga andava a costituirsi un villaggio abitato da gente autoctona ma nel contempo pronto ad accogliere avventurieri esterni. Più che al mitico fondatore, l’albano Romolo, che ne sarebbe stato il primo re, il nome di Roma dovrebbe essere collegato all’idronomo etrusco Rom assegnato al Tevere. L’alternarsi di re romani e sabini nella fase più antica di Roma prova l’assunto espresso in precedenza, secondo il quale la sua popolazione sarebbe stata allora (VIII-VII secolo) formata da Latini e da avventurieri vari. A quel tempo risalgono le prime testimonianze scritte della lingua latina usata dai Romani: la scrittura era bustrofedica, cioè un rigo era scritto, alla moda greca, da sinistra a destra, e l’altro, alla maniera etrusca, dalla destra alla sinistra. Così l’influsso etrusco era ben evidente nella società romana già a quell’epoca lontana. Nella prima parte del VI secolo Tarquinio Prisco, provenendo da Tarquinia, una delle dodici città-Stato della dodecapoli etrusca, occupava il territorio romano, costruendo, molto probabilmente la vera città di Roma. Il suo successore Servio Tullio la cinse di forti mura e vi realizzò all’interno la Cloaca Massima. L’urbanizzazione, ben articolata e funzionale, fu inquadrata su di una visione aristocratica, che prevedeva al vertice un re o piuttosto un lucumone. L’aristocrazia etrusca dei Tarquinii che dominava la città introdusse a Roma i commerci, favorendo l’ascesa sociale di autoctone famiglie latine. Questa fu la base per la formazione futura di una timocrazia romana. Alla fine del VI secolo Tarquinio il Superbo assoggettava Roma al dominio del più potente lucumone della dodecapoli, Porsenna di Chiusi. La dipendenza non fu gradita dalla nuova classe aristocratica romana, che d’altronde, prima di ogni altra, accarezzava il disegno dell’abolizione della monarchia. Approfittando del pretesto di una questione d’onore, gli aristocratici romani cacciavano Tarquinio, proclamavano la respublica e resistevano egregiamente ai tentativi di revanche etrusca. La loro affermazione fu guidata dai loro primi due consules, Bruto e Collatino. L’intervento coalizzato di Cumani e di Latini procurò la sconfitta definitiva degli Etruschi, che avevano dominato Roma, nella battaglia di Ariccia. La vittoria romana e la sua esperienza repubblicana influenzarono le città-Stato etrusche. Così nel V secolo esse eliminarono il lucumone e lo sostituirono con gli zilath, magistrati elettivi che corrispondevano ai pretori romani; a questi affiancarono i purtli, corrispondenti ai romani edili, e i maru, analoghi ai questori.

La consistenza politica del regime aristocratico delle città etrusche, fondato sulla ricchezza economica derivata dai commerci, fu messa a dura prova nelle acque cumane nel 474. Allora la flotta etrusca tentò di chiudere la partita per l’affermazione economica e il dominio del Tirreno con le città-Stato della Magna Grecia. Ma le navi siceliote, guidate dalla potente Siracusa e appoggiate da Roma sull’onda del principio “maoista” del «i nemici dei miei nemici sono miei amici», vinsero la battaglia, riducendo in modo irreversibile la potenza etrusca. Il fatto promosse un’evoluzione democratica di stampo ateniese in molte città etrusche. Così nel 415 gli Etruschi appoggiavano la spedizione fallimentare del democratico ateniese Alcibiade contro Siracusa.

Attaccate e assoggettate dai Sanniti in Campania e soffocate e pressate nell’alto Lazio e in Toscana da Roma, le città etrusche perdevano la libertà e chiudevano il loro ruolo nella storia. Ma della loro civiltà politica restavano evidenti segni nella Romanità.     

redazione
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