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Il vero miracolo del 27 luglio

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di ANTONIO SCHIAVO

È l’ora della prima messa. La chiesa è addobbata a festa: lunghi drappeggi rossi coi bordi d’oro avvolgono la navata centrale, su su fino all’altare maggiore.

Fuori due scoiattoli in pantaloni corti e cinturone si arrampicano su una scala lunga e poi sui rami dei pini perché c’è sempre un maledetto filo di lampadine colorate che va in corto. Sotto lo sguardo severo e vigile di papà “Totonno aparatore” Raffaele e Franchetiello lo stanno sistemando perché stasera per la processione tutto deve funzionare a dovere.

Un attimo prima del suono della campanella adiacente alla Sagrestia che annuncia l’inizio della funzione, entra, come tutti gli anni un uomo (mi dicono di Minori) con una fascia nera sulla manica della giacca.

A te che hai già indossato tonaca nera e cotta bianca da chierichetto ti viene spontaneo un dubbio: – o è in lutto perpetuo o tutti gli anni, all’inizio dell’estate, gli muore qualcuno – ma Don Ciccio Camera ti induce a muoverti e ti riservi l’approfondimento per dopo la messa.

Macché, finita la celebrazione, ogni domanda annega come d’incanto nella crema pasticciera delle paste che il parroco ha fatto arrivare dal bar vicino e, inoltre, devi prepararti per la messa solenne col Vescovo delle dieci e mezza, quella interminabile nella quale sei chiamato al compito di curatore della carbonella del turibolo affidato al chierichetto più anziano e il cui incenso inonderà di lì a poco le navate romaniche della nostra cattedrale.

Intanto è arrivata la banda, da ieri a Ravello, Conversano, Squinzano, Gioia del Colle? Comunque pugliese: marcia d’esordio e poi Mosè quando Sua Eccellenza benedicente sale le scale della chiesa accolto dal Mastro della Festa in completo scuro e cravatta in tinta.

La sera poi, processione per le vie del Paese, Qua Qua con la sua isola del tesoro sotto i cipressi di Villa Rufolo anch’essa piena di luci, la bancarella di torrone, ” ‘o pere e ‘o musso” sconsigliato agli ipertesi per la quantità industriale di sale, il venditore di palloncini, il cocomero a fette dietro al Torrione.

I fuochi artificiali alla fine della processione, il Musichiere Italiano del premiato concerto bandistico e a mezzanotte, quando mamme scriteriate trattengono i loro pargoletti assonnati e piagnucolosi, quelli finali normalmente più lunghi e più pirotecnici.

Il rito della spesa alle bancarelle di giocattoli è stato compiuto con relativa crisi di identità perché papà pur di non comprarti il fucile o il mitra colorato, ti ha preso una cucina attrezzata di tutto, hai fatto qualche tentativo andato a vuoto di centrare il bersaglio al tiro a segno e, infine, ti sei fatto il segno della Croce al suono della Campana grande che annuncia, ahimè, la conclusione della festa.

Basterà il ricordo quest’anno quando niente (o quasi ) di questo ci sarà?

Si che basterà! Nella cappella della navata sinistra, dietro una grata secolare ci sarà sempre un’ampolla che ci richiama alla vera essenza della Festa di San Pantaleone, quella che conforta i nostri cuori induriti, che sana le ferite di ogni giorno, che aiuta a superare debolezze e crisi, che ci indica una strada e ci offre speranza.

In fondo, insieme al sangue che si liquefa, questo è il miracolo atteso da noi ravellesi.

Da sempre. Poi verrà ancora una volta un giorno, un 27 di luglio che i nostri nipoti torneranno a comprare giocattoli di latta alle bancarelle, bastoncini di zucchero filato, ad incantarsi davanti ad una luminaria o ad una carcassa luminosa, e a perdersi con lo sguardo dietro ad un palloncino colorato che immancabilmente gli sfuggirà di mano.

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
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