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Prima Guerra Mondiale, due ravellesi eroi sul Piave nella “Battaglia del Solstizio”

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di RITA DI LIETO

Una foto storica: il generale Gaetano Giardino, comandante dell’Armata del Grappa con i suoi ufficiali. Sullo sfondo i superstiti dell’incrociatore corazzato “Amalfi”, in posa al termine della vittoriosa 2ª Battaglia del Piave: “La Battaglia del Solstizio”.

Il 28 giugno 1914, l’erede al trono dell’Impero Austro-ungarico, l’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este e di sua moglie Sofia, in visita ufficiale a Sarajevo, furono assassinati dallo studente croato Gavrilo Princip, Il 28 luglio 1914, l’Austria dichiarò guerra al Regno di Serbia che riteneva il centro di irradiazione del nazionalismo slavo.

Ben presto tutta l’Europa fu coinvolta in quella che sarà la Prima Guerra Mondiale, in cui si fronteggiarono la Triplice Alleanza (Austria, Germania e Turchia) e la Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia).

L’Austria, al termine della terza guerra d’indipendenza, si era ritagliata una linea di confine zigzagante, che incuneava nel cuore della pianura veneta le regioni montuose, e relative valli, delle province di Trento e Trieste. Tre sbocchi offensivi: l’altopiano di Asiago, la testa di ponte di Gorizia e la stretta di Tolmino. Questi “iniqui confini” le davano un notevole vantaggio nei confronti dell’Italia. Al loro interno viveva una popolazione governata per secoli dalla Repubblica di Venezia, italiana per lingua, cultura e tradizioni. Contro tale insidioso sopruso insorse l’irredentismo, il movimento politico-culturale pronto a combattere per liberare le terre soggette all’Austria e completare così l’Unità d’Italia. E proprio Venezia era la più minacciata.

L’Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915, allettata dalle promesse di allargamenti dei confini verso i Balcani e il Mediterraneo fattele dai rappresentanti della Triplice Intesa con un patto segreto, il Patto di Londra.

La prima grave ferita inferta all’Italia fu l’affondamento dell’Incrociatore corazzato Amalfi, colpito il 7 luglio 1915 nei pressi di Venezia dal siluro di un sommergibile in agguato. Persero la vita 67 membri dell’equipaggio. Le torpediniere Calipso e Procione, che lo scortavano, raccolsero i 682 naufraghi. Con i superstiti furono create la Batteria del Gruppo Amalfi e la Batteria Costiera Amalfi.

La prima combatté insieme ai fanti dell’esercito sul Carso a Sdraussina, oggi Poggio Terza Armata, e Peteano, frazione di Sagrado, nei pressi di Gorizia; la seconda alla foce del Piave.

Durante la neutralità italiana l’Austria aveva fortificato la frontiera del Friuli nella zona del fiume Isonzo.

Carlo Salsa nel suo libro “Trincee” racconta: “Un soldato mi indica una specie di merlatura di sacchetti a terra dalla quale sbucano quattro tubi di acciaio che contemplano il cielo come occhi di pachidermi attoniti.“La Batteria dell’Amalfi.- dice – Ci sono i marinai: bravi ragazzi! Ci assistono sempre. Al minimo accenno, “tan-tatan-tan” ci sono loro. Pare che vedano tutto come noi da quaggiù. Gli è che sono quattro ce ne vorrebbero cento . Ma quei marinai bravi ragazzi….”.

Sul fronte di Peteano il Tenente di Vascello, Paoletti Luigi, Comandante della Batteria Amalfi, osservando il percorso dei soldati austro-ungarici nel darsi il cambio, aveva visto dov’erano i varchi nelle trincee per cui passavano. Per raggiungere la batteria nemica non ci si poteva andare di notte, a in pieno giorno, quando essa veniva abbagliata dalla luce del sole. Così insieme a tre carabinieri il Paoletti irruppe nel locale degli austriaci con l’arma in pugno e li fece tutti prigionieri . Per questa azione egli fu decorato di Medaglia d’Argento con la seguente motivazione:

“Con calma serena, sprezzante del pericolo, ha sapientemente diretto durante 40 giorni il tiro della sua batteria contro il nemico. Un giorno, a piena luce, si slanciava sul fianco di una trincea nemica, minacciando con una rivoltella un pugno di soldati austriaci che, colla collaborazione di tre carabinieri, riusciva a fare prigionieri in numero di sessanta.

Peteano, 7 Novembre 1915 (data esatta 7 Ottobre 1915)”.

Durante la neutralità italiana l’Austria aveva fortificato la frontiera del Friuli nella zona del fiume Isonzo.

Il 24 ottobre 1917, nella 12ª battaglia dell’Isonzo, la battaglia di Caporetto, gli austriaci dal monte Rambon all’alta Bainsizza colpirono il fronte italiano da Plezzo all’Isonzo con granate e un gas sconosciuto, asfissiante. Ed essi riuscirono a sfondarlo. I collegamenti tra i vari reparti saltarono, poiché le linee telefoniche non erano interrate o addirittura mancavano. Ma i danni peggiori li fece il gas, il fosgene. Gli italiani tra morti e feriti persero 40.000 soldati, gli avversari 7.000. Fu per l’Italia la sua più grave disfatta.

Tuttavia, a causa delle gravi condizioni socio-economiche che una guerra così lunga comportava, per gli Austriaci era una necessità impellente raggiungere al più presto la fertile pianura padana per rifornirsi e al tempo stesso disimpegnare le truppe dal fronte italiano per rinforzare quello franco-tedesco. Perciò, nel giugno 1918, prepararono una massiccia offensiva, con 66 Divisioni. Gli italiani, avutone sentore, non si lasciarono sorprendere.

Il comando dell’Armata del Grappa, la IV armata, che doveva avere il controllo di tutto il fronte del massiccio del Grappa, era affidato al gen. Gaetano Giardino (Montemagno 1864 – Torino 1935).

Il 15 giugno 1918, appena dopo mezzanotte, le artiglierie del Regio Esercito iniziarono a sparare dalla zona del Monte Grappa e dell’Altopiano dei Sette Comuni decine di migliaia di proiettili di grosso calibro sul nemico che gettava passerelle sul Piave. I contadini portavano secchi d’acqua per raffreddare le bocche dei cannoni. Ma alla 3 del mattino le artiglierie austriache lanciarono sulle linee italiane una gran quantità di lacrimogeni e fumogeni, mentre i genieri continuavano a costruire i ponti sul fiume. Durante la giornata gli austriaci, che arrivavano da Pieve di Soligo – Falzè di Piave, riuscirono a conquistare il Montello e il paese di Nervesa. Crearono, inoltre, due teste di ponte in direzione della strada Ponte di Piave – Treviso e della linea ferrata San Donà – Mestre.

Il 17 e il 18 i contrattacchi italiani non ebbero successo per la scarsità di truppe. Il 19 la piena del fiume travolse le passerelle, bloccando gli austriaci.

Il 19 giugno il Comando italiano rinforzò la 50ª Divisione, stremata dai combattimenti, con 3 nuove Divisioni, la 47ª , la 57ª e la 60ª, e attaccarono Nervesa, ai piedi del Montello.

La Regia Aeronautica Italiana mitragliava il nemico volando a bassa quota. Durante una di queste azioni, perse la vita l’asso dell’aviazione italiano, Francesco Baracca.

Sul tempietto circolare, dov’è la sua tomba’ le rime di Gabriele D’Annunzio:

“COSÌ PRINCIPIA/ IL SALMO DI QUESTO RE/ 19 – 6 – 1918/ DI MORTE IN MORTE/ DI META IN META/ DI VITTORIA IN VITTORIA/ COSÌ COMINCIA /IL SUO INNO SENZA LIRA”.

Intanto alla foce del Piave gli italiani avevano allagato il territorio di Camposile per impedire agli austriaci di avanzare. Ed entravano in azione i cannoni di grosso calibro della Batteria Costiera Amalfi, posta su un forte edificato in soli 17 mesi tra il 1915 e il 1917, una torre corazzata girevole a 360° di tipo navale, predisposta per la corazzata Francesco Caracciolo, la cui costruzione era stata sospesa per difficoltà economiche. I suoi due cannoni erano in grado di sparare enormi granate da 875 kg. a quasi 20 km. di distanza con una cadenza di un colpo al minuto. Come tutte le batterie costiere del litorale, anche l’Amalfi era collegata da una ferrovia a scartamento ridotto, impiegata per il trasporto di personale, attrezzature militari e rifornimenti. La Batteria Costiera Amalfi, progettata per difendere Venezia, non operò mai contro bersagli navali ma, grazie alla torre girevole, colpì a più riprese le fanterie e gli avamposti austroungarici nelle ultime battaglie condotte sul Basso Piave nel 1918 tenendoli inchiodati a San Donà di Piave. L’ultimo tratto del Piave ad essere conquistato dagli Italiani fu la testa di ponte di Fagarè sulla direttiva Ponte di Piave-Treviso.

Nell’Albo d’Oro dei Caduti di Ravello troviamo due ravellesi sul campo della Battaglia del Solstizio:

Mansi Pantaleone di Francesco e di Del Pizzo Elisabetta, soldato che prese parte ai combattimenti nella zona del Montello e nei mesi successivi si ritrovò in trincea nelle posizioni di Malga Valpore e Col dell’Orso, nel settore del Grappa. La vita di trincea in alta montagna lo fece ammalare di broncopolmonite e morì il 29 dicembre 1918, a guerra finita, all’Ospedale da Campo 057 di Monfalcone;

Mansi Michele di Raimondo e di Criscuolo Elisabetta, marinaio scelto del Reggimento di Marina, Btg. Bafile, che combatté nello scacchiere del Delta del Piave. Ferito al torace in altri cruenti scontri successivi, morì a Cortellazzo il 5 luglio 1918”.

La Batteria Costiera Amalfi oggi fa parte della rete museale “Via dei Forti”, un museo diffuso all’aria aperta delle fortificazioni a difesa di Venezia costruite tra il 1845 e il 1917 lungo la costa di Cavallino-Treporti della Città metropolitana di Venezia.

redazione
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