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Storia della monarchia: il monarca ministro del divino

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di GIUSEPPE GARGANO

Le monarchie della Mesopotamia ebbero un’impostazione differente da quella dell’Egitto faraonico. Infatti i monarchi mesopotamici non erano divinità sulla Terra ma assumevano il ruolo di mediatori tra gli dei e gli uomini. Ciò comportava una limitazione a riguardo dell’infallibilità del sovrano, obbligato in un certo qual modo a rispettare in primo luogo le leggi a lui trasmesse dal divino. La sua diversa condizione rispetto al faraone egizio era derivata dal fatto che nella fase iniziale spesso i monarchi mesopotamici governavano semplici villaggi.

I re erano anche sacerdoti capaci di interpretare la volontà della divinità, con la quale erano entrati in contatto. Così fondevano abilmente le funzioni religiose con le prerogative amministrative e militari. Il re-sacerdote era l’esecutore della volontà divina: egli amministrava la giustizia che gli aveva insegnato il dio. A tal proposito metteva per iscritto le leggi a lui suggerite dall’ente superiore. In tal modo si regolò Ammurabi intorno al 2200 a.C. per il suo codice di norme morali e sociali.

Addirittura Mosè ricevette sul Monte Sinai da Dio in persona i Dieci Comandamenti, incisi a fuoco su tavole di pietra:

Non avrai altro Dio fuori di me

Non nominare il nome di Dio invano

Ricordati di santificare le feste

Onora il padre e la madre

Non uccidere

Non commettere atti impuri

Non rubare

Non dire falsa testimonianza

Il monarca mesopotamico, nel quadro della cultura agricola e pastorale della vasta area detta Mezza Luna fertile, perchè bagnata dai fiumi Tigri ed Eufrate, amministrava la proprietà, in gran parte terriera, come se fosse il fattore di un padrone non visibile, in quanto non direttamente presente: la divinità, che comunque interagiva con lui per mezzo di vie di comunicazione appariscenti solo a lui e alla casta sacerdotale.

Uno dei simboli e della sacralità del re era il palazzo dove risiedeva con la sua famiglia e la sua corte, costituita da vari funzionari per mezzo dei quali governava il regno. In aggiunta, la vastità del regno obbligava il sovrano a costituire governi locali amministrati da funzionari di fiducia; tale scelta era dovuta anche alla difficoltà delle comunicazioni.

Il re degli assiri era il delegato del massimo dio del pantheon, Assur. Essendo depositari della cultura babilonese, gli assiri addomesticarono il loro carattere di guerrieri per trasformarsi in abili legislatori: ne costituisce testimonianza la biblioteca di Ninive, dov’erano custoditi gli atti ufficiali del regno. Il principale raccoglitore di testi letterari per quella biblioteca fu il sovrano Assurbanipal (668-627), appartenente alla dinastia sargonide: il più importante scritto fu di certo l’opera epica sull’epopea di Gilgamesh. Con tali parole egli volle ricordare la sua stessa ampia formazione culturale:

«Ho appreso ciò che il saggio Adapa ha portato (agli uomini), il senso nascosto di tutta la conoscenza scritta. Sono iniziato ne(lla scienza dei) presagi del cielo e della terra. Sono in grado di partecipare a una discussione in un consesso di sapienti, di discutere la serie epatoscopica con gli indovini più esperti. So risolvere i “reciproci” e i “prodotti” che non hanno soluzione data. Sono esperto nella lettura dei testi eruditi, il cui sumerico è oscuro, il cui accadico è difficile da portare alla luce. Penetro il senso delle iscrizioni su pietra anteriori al Diluvio, che sono ermetiche, sorde e ingarbugliate».

Guerrieri delle montagne, gli ittiti furono gli scopritori del ferro e, quindi, gli iniziatori di una nuova era dopo quella del bronzo. La loro società era dominata dall’aristocrazia guerriera, che formava un’assemblea, alla quale era delegato il potere di eleggere il re. Costui doveva applicare le leggi sacre che i sacerdoti interpretavano a seguito dell’apprendimento della volontà degli dei. All’assemblea dei guerrieri era affidata l’emanazione delle leggi, insieme alla nomina dei feudatari.

Il re era il capo assoluto dello Stato ittita e comandava sugli eserciti e sui sacerdoti. Essendo, comunque, un’espressione dell’aristocrazia guerriera, doveva fare in qualche modo i conti con l’assemblea che questa costituiva. Così il monarca ittita rappresentava la terza fase dell’evoluzione spaziale e temporale dell’assolutismo classico orientale: dal faraone divinità riconosciuta si passava al sovrano assiro-babilonese ministro della divinità e ancora al re ittita eletto dall’assemblea aristocratica e applicatore delle leggi sacre mercè i sacerdoti. L’aristocrazia era il segno di un cambiamento dei tempi che avrebbe determinato la divisione del potere tra più istituzioni.     

La nuova condizione, difficile da digerire da parte del sovrano assoluto, manifestava ben presto situazioni di instabilità connesse a scontri tra i poteri. In Lidia la lotta tra sovrano e nobili raggiunse livelli elevati; il risultato fu la formazione di un alto valore di vita per i governanti e i commercianti.

Significativo fu il caso dei persiani e del loro impero, una necessità fondamentale, perché metteva ordine in una vasta area che andava dalla Mesopotamia all’Asia Minore e al Vicino Oriente, dilaniata da continue guerre tra Stati locali di limitate dimensioni.

Re dei re, così era definito il capo dell’impero persiano, la cui autorità derivava direttamente dalla massima divinità. Il suo potere assoluto, alla stregua del sovrano ittita, era moderato dall’aristocrazia dei guerrieri a cavallo; egli stesso era il primo fra i nobili cavalieri. La novità della monarchia persiana era l’universalismo, la più antica concezione di impero universale. La struttura amministrativa era rappresentata da una gerarchia di funzionari che aveva come capo il chiliarca. Tra questi i satrapi avevano la responsabilità del governo delle regioni in cui era diviso il vasto impero (satrapìe). Essi avevano una relativa autonomia riconosciuta dal potere centrale ma non avevano il comando delle guarnigioni locali né la direzione della cancelleria: questa era una precauzione per impedire tentazioni autonomistiche.

I re dei re, sulla spinta della concezione dell’universalismo, occuparono militarmente vari regni, dominandone le popolazioni; si servirono in parte di forze militari terrestri mercenarie, nonché della flotta fenicia. Tesaurizzarono l’oro per impiegarlo all’occorrenza nella corruzione laddove non risultava efficace la forza delle armi. Non riuscirono tuttavia nella realizzazione del loro grande sogno della sottomissione delle poleis greche, la cui irriducibile resistenza e l’imponente reazione furono la causa determinante del crollo dell’impero persiano. 

redazione
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