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Storia dell’artigianato in Costa d’Amalfi

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di Giuseppe Gargano 

Le origini dell’artigianato nella Costa d’Amalfi sono piuttosto antiche. Esse rimontano all’età imperiale romana, come provano i ritrovamenti, effettuati tra XIX e XX secolo a Tramonti e ad Agerola, di depositi di grossi dolea in terracotta usati per la conservazione del vino. In particolare, il toponimo Figlino, che designa tuttora un casale di Tramonti, deriva da figulinus, cioè “vasaio”, e attesta, pertanto, la lavorazione dell’argilla in quella zona.

L’Alto Medioevo amalfitano evidenzia l’esistenza nelle città di Amalfi e di Atrani, in particolare tra X e XII secolo, dei fundaci domorum, edifici a più piani nei quali vivevano singole famiglie aristocratiche, attrezzati mediante filatoi ai terzi livelli e officine ai terranei. Si trattava di vere e proprie case-azienda, nelle quali lavoravano nella produzione tessile dei panni di lana e di cotone le donne e nei catodea e nei cortili al pianterreno gli artigiani del legno.

I boschi del territorio del ducato di Amalfi fornivano varie qualità di legname impiegato nella falegnameria, nella carpenteria e nella cantieristica navale.

A Scala si producevano zoccoli di legno nel corso del XV secolo.

Inoltre, specialmente a Tramonti, venivano realizzate botti di varie capacità e barili, in cui erano conservate, come amava spesso sottolineare l’indimenticabile amico Ezio Falcone, le alici sotto sale. In quella terra della repubblica marinara, sin dal X secolo, si producevano le ceste di vimini, i cosiddetti cofina, nei quali si trasportavano le uve ivi coltivate; inoltre ne venivano realizzati anche di piccole dimensioni per funzionare da forme delle ricotte vaccine, dette, appunto, juncate.

Negli arsenali e sugli scaria di Amalfi, Atrani, Minori e Maiori e sulla spiaggia di Positano lavoravano squadre di falegnami, maestri d’ascia, segatori, calafati, impegnate nella costruzione delle navi militari e mercantili.

Associati a tale attività cantieristica vi erano i fabbri ferrari, che operavano in botteghe attigue agli arsenali. Questi maestri creavano chiodi di varie dimensioni, verghe, marre per le zappe, ancore, lame, armi, aghi d’acciaio per le bussole magnetiche, utilizzando il ferro estratto dalle ferriere pubbliche di Amalfi e di Tramonti.

Lungo i fiumi dei centri costieri erano attive le tannerie, officine per la lavorazione del cuoio; in aggiunta, nella sezione occidentale dell’attuale Piazza Duomo di Amalfi i calzolai realizzavano scarpe chiuse, pantofole femminili, sandali: i toponimi Platea Calzulariorum e Porta de Sandala ne costituivano la testimonianza urbanistica.
Alcuni centri, come Amalfi, Atrani, Tramonti, assunsero una rilevante importanza nella produzione ceramica tra XIV e XVI secolo. La creta scavata a Tramonti serviva per “fare piatti più belli che quelli di Faenza”. Ad Amalfi esiste tuttora una località denominata Faenza, presso la quale allo scorrere del XIV secolo funzionavano alcuni forni ceramici di cui si conservano evidenti testimonianze.

Dai coralli rossi e bianchi pescati nel mare di Praiano gli artigiani scalesi ricavavano nel Quattrocento i Pater Nostros, coroncine antesignane dei cinquecenteschi rosarii.

La produzione della celebre carta a mano, cominciata come forma di artigianato, divenne, già verso la metà del XIII secolo, una prima forma di “protoindustria”, per la quale lavoravano molteplici maestranze.

Da queste riflessioni storiche, sostenute da reali fonti documentarie, devono necessariamente derivare idee di riscoperta e di recupero, anche in funzione dell’istituzione di strutture museali vive e attive, protese verso nuove forme di occupazione giovanile sulla scia del nostro passato.

redazione
http://www.quotidianocostiera.it
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