di SABRINA SICA
Grande. Forse basterebbe questo, forse va bene lo stesso. Grande, semplicemente. Potente, un comandamento direbbero i suoi, duro, pieno, prepotente, incredibile. Ma grande, sì. È grande che tiene dentro tutto questo. Vasco Rossi ti guarda in faccia, come fa la sua luna, e parla qualcosa che ha a che fare con il cuore, riesce a raccontarti il senso di quella verità che si porta dentro ragione e lacrime, storie e parole. Vita. Si trascina tra libertà e sentimento, facendosi spostare dal tempo che scorre e corre, mettendo in fila certe immagini che sono occhi, aperti e spalancati, umidi e nuovi. Gli occhi, già. Quelli di Vasco mi hanno incantata, stimolata, incuriosita, sorpresa: li ho incrociati per la prima volta in una delle due notti di Salerno, in uno Stadio Arechi che ha messo insieme colori e calore, e che con Vasco chiude una settimana di live, canzoni ed emozioni, grazie ad Anni 60 produzioni.
Gli occhi. Mi sono fermata e soffermata su quelli. Sono lo specchio dell’anima, così dicono, allora in quella fragile del Komandante ho preso molte cose. L’ho fatto per me, l’ho fatto perché mi è sembrata la cosa più semplice, onesta, necessaria. Guardo e non riesco a farne a meno, ascolto, e mi sembra dare un ritmo preciso alle cose. Prendo, così raccontare è la cosa più giusta da fare, per celebrare una prima volta che ha il sapore di quell’ogni volta che si mostra diversa, che si riconosce come una scoperta, sotto la coperta di mani che non hanno mai nascosto le emozioni. Non hanno mai tolto luce ad uno show intenso di rock e occasioni, ricordi con addosso una canzone. Una, due, dieci, tutte. Le braccia ad aggrappare l’asta di un microfono che trattiene incredibili e romantiche, ma anche disperate, passioni. Due mani congiunte, come in segno di fede, quelle di Vasco stanno ferme raramente. Verso la gente, la sua, che si confonde tra luci e fantasie che volano libere. E allora ho pianto per capire. Fabio me lo diceva e con la fronte arrossata dal sole di transenna se l’è preso tutto quel merito della mia prima alla corte del Blasco.
“Questa città mi ha dato la libertà, mi sento di appartenergli. Sono salernitano”. Che la sua vita spericolata cominciava proprio tra le strade della nostra Città, perché dieci giorni hanno cambiato il senso delle cose restituendogli la libertà della musica: “Sono stati giorni tosti, ma io non volevo fare il militare, non sarei stato adatto”.
Così come nelle favole tutto ha preso la giusta direzione: senza c’era una volta, ma con un c’è che ti prende e ti porta via. C’è. E non è stato mai così bello dirsi siamo soli, o solo noi. “Tutto è possibile Salerno, noi forse adesso siamo un po’ stropicciati ma voi siete i più belli”. Direi forse che è una cosa che non riesco a raccontare, mentre rido di me e di una canzone che pare scritta per me. Così l’ho detto alla luna, e poi l’ho scritto qua.
Foto: Alfonso Maria Salsano e Angelo Tortorella