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I solenni festeggiamenti per la definizione del dogma dell’Immacolata a Ravello

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di SALVATORE AMATO

A seguito della definizione del Dogma dell’Immacolato Concepimento di Maria Vergine, sancito da Pio IX l’8 dicembre 1854 con la Costituzione Apostolica Ineffabilis Deus, in molti centri della provincia di Principato Citeriore, alla stregua di quanto avveniva nelle altre province del Regno meridionale, si tennero solenni celebrazioni a ricordo dell’evento.

A Ravello la festa si tenne domenica 11 febbraio 1855, come testimonia una relazione, inviata all’Intendente e conservata in forma di minuta presso l’Archivio Storico Comunale, la quale fornisce uno spaccato singolare della realtà socio-religiosa del tempo.

Le celebrazioni si aprirono nell’ex Cattedrale con l’esposizione della statua dell’Immacolata – oggi collocata nella parete dell’abside centrale – in un apposito tosello, attraverso un triduo di preparazione in cui la popolazione accorse “per ascoltare le prediche” e ricevere la benedizione eucaristica.

Domenica 11 febbraio, il lungo sparo di mortaretti aprì la giornata di festa. I parroci, i canonici, e i conventuali “si portarono tutti a celebrare la messa nella Cattedrale”, accompagnati dai loro parrocchiani, invitati a recarsi in Duomo a venerare la Vergine.

Al termine della solenne celebrazione mattutina, cantata e animata con musica, la statua fu portata processionalmente lungo la strada detta la Piazza  – a Piazza Fontana – e quella di Santa Chiara, preceduta dalle Confraternite e dai religiosi, dal clero e dal suono della musica.

I funzionari e guardia urbana accompagnarono la processione fino al termine. Assai suggestiva fu la presenza di circa 170 donzelle ravellesi con torcia di cera accesa, intente a recitare “inni in lode della Vergine”

Verso le 13.00, la processione fece ritorno in Duomo e alle 14.30 fu cantato il vespro in musica, al termine del quale venne esposto il SS. Sacramento.

Il parroco di San Giovanni del Toro, cui era annessa la cura animarum dell’ex Cattedrale, Angelo de Crescenzo, originario di Cetara, pronunciò “un discorso panegirico”, seguito dalle note dell’organo che accompagnarono il canto delle litanie e del Te Deum, all’esito del quale “la devota popolazione fu benedetta”.

redazione
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