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La Confraternita della B.V. del Rosario: una straordinaria esperienza spirituale dell’antico patriziato ravellese

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di Luigi Buonocore*

In questa speciale giornata consacrata alla Beata Vergine del Rosario appare quantomai opportuno riportare alla memoria la storia della Confraternita fondata a Ravello nel 1585.

Il 4 maggio di quell’anno, con atto rogato dal notaio Valerio Mandina, mons. Emilio Scattaretica concedeva la cappella del SS. Rosario, anticamente dedicata a San Lorenzo, ai nobili della Città che vi fondarono un pio sodalizio. In quegli anni alcune famiglie dell’antico patriziato cittadino erano ancora presenti ma gradualmente spostavano i propri interessi verso la capitale del regno. Ravello conservava ampi tratti delle mura medievali, molte domus nobiliari esistevano ancora mentre altre erano allo stato di rovina. Terremoti, pestilenze e carestie avevano purtroppo gettato la civitas in uno stato di degrado e di arretratezza sociale e culturale.

Ne era fedele testimone la “relatio ad limina” (ossia la relazione sullo stato della diocesi presentata dai vescovi in occasione della visita presso le tombe degli Apostoli) dello stesso Scattaretica, datata 10 marzo 1590. Il presule, impossibilitato a recarsi a Roma per le malferme condizioni di salute, delineava con poche ma eloquenti parole la situazione della sua sede episcopale: “la città episcopale ha 250 fuochi è sita in sassoso monte, sterilissimo, di malinconica aria”.

Agli inizi del Seicento il culto della Madonna del Rosario era molto vivo: nella prima domenica del mese, dopo il vespro, aveva luogo una processione con la partecipazione della confraternita, del capitolo e del clero. I nobili recitavano il rosario il mercoledì, sabato e domenica di ogni settimana e offrivano ogni anno una libbra di cera nel giorno dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Il Capitolo vi celebrava la festa di San Lorenzo mentre ai sacristi era demandato il compito di assicurare il decoro della sacra immagine presente in cappella.

Nel 1636 il vicario capitolare ordinava di “recitarsi [in cappella] il rosario tre volte alla settimana, esporvisi il Santissimo nei venerdì di marzo e fare la novena del Natale e la messa di san Lorenzo”. Se le prime regole privilegiarono il culto e l’elevazione spirituale dei confratelli, mediante la recita del rosario ed altri riti comunitari, ampio spazio dovettero trovare anche finalità assistenziali e caritative nei confronti dei ceti più poveri.

Dovette essere un’esperienza intensa ma di breve durata: nella visita pastorale del 1665, condotta dal vicario Antonio Savo de Panicolis, la cappella della Beata Vergine del SS. Rosario veniva solo menzionata senza alcun accenno al nobile sodalizio (pochi anni prima si era abbattuto il flagello della peste con grave contraccolpo dal punto di vista demografico, economico, sociale). Quel particolare privilegio che aveva legato la confraternita alla nobiltà, e quindi agli ultimi eredi dei “maiores”, si era trasformato in un limite invalicabile!

Agli inizi del Settecento solo tre confraternite cittadine (SS. Sacramento, Madonna del Carmine e SS. Annunziata) partecipavano alle solenni celebrazioni così mons. Biagio Chiarelli nel 1745 decise di fondare la nuova confraternita del SS. Rosario retta con le quote mensili dei confratelli. La cappella accoglieva le adunanze dei Parlamenti nobiliari ma della pia e nobile congregazione, che nei due secoli precedenti aveva animato la vita spirituale del patriziato locale, non restava ormai che uno sbiadito ricordo.

*docente

redazione
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