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La sconfitta di una società che si definisce civile

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“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, le parole di Ulisse nella Divina Commedia.

Ora, se proprio non vogliamo perseguire l’obiettivo della virtù e della conoscenza, almeno non dovremmo comportarci come bruti, racchiudendo in questo lessema un’ampia gamma di significati, tutti afferenti al concetto di ‘mancanza di raziocinio’ e quindi di aggressività, bestialità e violenza.   

La violenza sia verbale che fisica non dovrebbe trovare albergo in una società civile. Eppure sono continui gli episodi di questo tipo che si registrano ogni giorno contro donne, bambini, disabili, omosessuali, animali. Le categorie più fragili e più esposte.

La violenza è da condannare sempre, non esistono giustificazioni.

La violenza è di due tipi: quella usata istintivamente dalle persone che non sono capaci di esprimersi verbalmente e, non essendo in grado di usare le parole per veicolare le emozioni, usano come solo canale comunicativo l’aggressività. C’è poi quella esercitata per infliggere dolore, quella generata per diversi scopi come ad esempio la volontà di affermare una ribellione all’autorità sottraendosi al rispetto delle più elementari regole di convivenza civile.

La vile aggressione all’agente della Polizia Locale di Ravello è grave al di là del fatto che si tratti di una donna. Esulando da questioni di genere, un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni non può essere schiaffeggiato impunemente. Che accada nella Costiera Amalfitana, centro del mondo, o nella Barbagia, è un fatto di gravità estrema. E per un’azione tanto esecrabile interviene la Legge, che esiste e deve essere applicata col rigore necessario, perché sia da monito, per un caso che non può essere tollerato in una società che si definisce civile.

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