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7 luglio 1915: sommergibile austriaco affonda l’incrociatore Amalfi

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di EMILIANO AMATO

Uno degli eventi cruciali del primo conflitto bellico è certamente la battaglia di Gallipoli dell’estate 1915. Come ci ricorda il Giornale d’Italia diretto da Francesco Storace, in un interessante articolo a firma di Emma Moriconi che riproponiamo ai nostri lettori, esattamente cento anni fa, il 5 luglio, i britannici riportavano la vittoria a Gully Ravine, pur non riuscendo a rompere il fronte ottomano.

La battaglia iniziò il 28 giugno, dieci giorni prima truppe fresche turche erano giunte a sostegno di Mustafa Kemal, erano partite all’attacco ma erano state respinte e annientate. Così il 28 giugno furono i britannici ad attaccare a Capo Helles, non riuscirono a raggiungere il centro abitato di Kritia ma avanzarono. “Un battaglione inglese – scrive Martin Gilbert entrando nelle trincee turche, trovò una colazione pronta a base di gallette e uova sode. C’era anche una buona scorta di sigari”.

“Meno lieta fu la scoperta – annotò lo storico del reggimento [è ancora Gilbert a riferirlo, ndr] – dei corpi di alcuni componenti del Royal Dublin Fusiliers, uccisi il 27 aprile e rimasti insepolti”.

I turchi contrattaccarono più volte e vennero sempre respinti, salvo in un caso: un reparto riuscì ad aprire un varco e segnalò la resa, ma quando gli inglesi si avvicinarono, i turchi aprirono il fuoco. Vennero presto sopraffatti dalle forze britanniche. Gli inglesi insomma avanzarono e il 5 luglio riportarono la vittoria, ma non fu nulla di definitivo: a Gallipoli la situazione restava stagnante. I britannici persero 3.800 soldati, la metà dei quali erano ragazzi inesperti. Da parte turca le perdite furono immani: 14mila uomini.

Luglio per l’Italia fu un mese difficile: molti gli attacchi e altrettanti i respingimenti. 1500 italiani vennero fatti prigionieri dagli austriaci sulle alture nei pressi di Gorizia. Il 7 luglio nell’Adriatico, nei pressi di Venezia, il sommergibile austriaco U26 colpì e affondò l’incrociatore italiano Amalfi. L’equipaggio fu salvo, ma la nave perduta. Era stata impiegata per la prima volta nella guerra italo-turca, aveva combattuto nei Dardanelli, in Cirenaica, in Tripolitania, nell’Egeo, a Tobruk. Aveva scortato il panfilo reale Trinacria con a bordo il Re Vittorio Emanuele III. E fu perduta in quella notte del 7 luglio di centosette anni fa.

Era salpata alle 3 di notte da Venezia, scortata dalle torpediniere Calipso e Procione, per una crociera di ricognizione. Un’ora dopo un sommergibile si avvicinava alla Amalfi, che si accorse del suo periscopio ma non poté fare nulla: il siluro era già partito e un minuto dopo colpì la nave sul lato sinistro, in corrispondenza del locale che ospitava le caldaie. Si fece appena in tempo a fare un tentativo di mettere la barra a dritta per limitare lo sbandamento e di usare le pompe: l’ordine fu di abbandonare la nave. Gli ufficiali lasciarono l’Amalfi per ultimi. In sei minuti l’incrociatore varato solo sette anni prima si capovolse completamente, quattro minuti dopo si inabissò. Le eliche erano ancora in movimento e qualche membro dell’equipaggio rimase ferito, ma quasi tutti riuscirono ad avere salva la vita.

Settantadue furono i morti e dispersi, 682 gli uomini messi in salvo. Solo nel 1921 venne individuato il relitto, era capovolto sul fondale, 30 metri sotto. Nel 1924 parte di esso venne demolito. Da quel momento in poi la Regia Marina e la Marina Militare poi non annoverarono mai più una nave col nome della gloriosa Repubblica Marinara.

Ancora in Italia, il 9 luglio un Regio decreto istituisce il Comitato supremo per i rifornimenti di armi e munizioni. Anche nel Bel Paese cresce così l’indotto industriale della guerra.

Intanto nell’Africa sud-occidentale tedesca l’Intesa riporta una vittoria: le truppe coloniali germaniche sono costrette ad arrendersi. Si trattava della seconda colonia tedesca in termini di grandezza, un territorio desertico in cui la Germania aveva istituito la colonia per contrastare gli inglesi nelle loro dominazioni nel territorio. Quando era scoppiata la guerra era stato il primo ministro sudafricano Louis Botha a chiedere alla Gran Bretagna di organizzare una forza di difesa, la South African Defense Force: i sudafricani misero in campo 50mila soldati.

La battaglia era cominciata nel settembre del 1914, quando i sudafricani sbarcarono a Luderitz e la occuparono, dando il via all’invasione. Dopo una pesante sconfitta alla fine di settembre, ad ottobre un generale di Botha proclamò l’indipendenza dall’Inghilterra dello Stato Libero dell’Orange, della Repubblica Sudafricana, della Provincia del Capo e del Natal. Fu sconfitto e i ribelli vennero condannati al carcere e poi amnistiati. I sudafricani ripresero l’offensiva a novembre, il 9 luglio – dopo alterne vicende – le truppe germaniche si arresero: centotredici perdite per i sudafricani, 1.331 per i tedeschi fu il bilancio della battaglia.

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