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Amata Positano. Il Sud come luogo di rifugio dal tempo e dalla storia nei racconti di Stefan Andres (1906 – 1970)

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di OLIMPIA GARGANO

Today La Costiera raccontata takes us to Positano, where on October 31st, at 5.30 pm, in the prestigious setting of the Hotel Palazzo Murat, the collection of short stories Amata Positano. Racconti dal Sud, by the German writer Stefan Andres, edited by Centro di Cultura e Storia Amalfitana, 2021, will be presented.

Born in 1906 near Trier, the ninth son of a miller, thanks to a scholarship, Stefan Andres had the opportunity to spend some time in  Anacapri and Positano,  where in 1937 he moved with his Jewish wife and daughters. As an  opponent of the Nazi regime, hindered in his work in Germany, Andres had retired with his family to Positano, which at that time was considered as “on the edge of the world”.

Oggi La Costiera raccontata ci porta a Positano, dove lunedì 31 ottobre, alle ore 17.30, nella prestigiosa cornice dell’Hotel Palazzo Murat, sarà presentata la raccolta di racconti Amata Positano. Racconti dal Sud, dello scrittore tedesco Stefan Andres (1906 – 1970), Ed. Centro di Cultura e Storia Amalfitana, 2021, traduzione di Olimpia Gargano.

Stefan Andres aveva 31 anni quando venne a vivere a Positano con moglie e figlie. Per lui l’Italia, e soprattutto il Sud, incarnava i miti classici che avevano nutrito la sua immaginazione di studente appassionato di letteratura. Nato nel 1906 presso Treviri, nono figlio di una famiglia di mezzi modesti, grazie a una borsa di studio poté trascorrere  alcuni mesi ad Anacapri e a Positano. Fu amore a prima vista, e fu quello il luogo dove scelse di rifugiarsi dalla furia nazista. In Germania gli era impossibile lavorare, sia per le sue idee politiche sia perché sua moglie  era ebrea. A Positano si guadagnava da vivere dando lezioni di tedesco e traducendo libri (ricordiamo in particolare la sua traduzione del Mulino del Po, il grande classico di Riccardo Bacchelli che nell’ Italia degli anni Sessanta divenne popolare grazie a una fortunata serie televisiva).  

Ma gli anni dell’emigrazione furono anche caratterizzati dalla solidarietà e dal sostegno da parte della popolazione locale,  che in quegli anni accolse una folta comunità internazionale di artisti e scrittori stranieri esuli dai totalitarismi.

I racconti pubblicati nel volume che sarà presentato a Positano sono ambientati, oltre che nel Golfo di Salerno, anche a Napoli, Pompei, Roma, Ferrara, in Sicilia, Umbria e Toscana. Stefan Andres era anche pittore e illustratore di cartoline postali (eccone un esempio in questa immagine che rappresenta una delle “terrazze nella luce” in cui lo scrittore abitò con la sua famiglia. Lo scrittore trascorse gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove è sepolto nel Cimitero Teutonico insieme con sua moglie Dorothee.

In occasione della presentazione, offriamo ai nostri lettori uno dei racconti  di Amata Positano. È la storia di Beniamino, un marinaio che per fare una sorpresa alla sua famiglia chiede un breve permesso al capitano della nave, il veliero Annamaria approdato per qualche giorno nel porto di Napoli prima di salpare per nuove rotte transoceaniche. Per  Beniamino, abituato agli spazi sconfinati, il luogo d’origine e la piccola cerchia di parenti e amici sono uno spazio angusto, da cui non vede l’ora di riprendere letteralmente il largo. Ma il caso, o forse una persona a lui vicina, decidono diversamente.

La licenza

Sul veliero “Annamaria”, che era entrato nel porto di Napoli, si trovava un giovane marinaio semplice, di nome Beniamino, che appena vide così vicino il suo paese d’origine, un paesino nella baia di Salerno, chiese dei giorni di licenza, che gli furono concessi subito. Però il capitano gli raccomandò di non star

via per più di tre giorni, perché dopo questo termine l’”Annamaria” avrebbe fatto vela verso l’Australia con il primo vento favorevole. Allora Beniamino preparò la sua valigetta, partì la mattina stessa con il treno per Castellammare e da lì con l’autobus fino ai piedi della montagna, dove, alto sul mare, sorgeva

il suo paese.

Era un giorno soleggiato. Nella valle aveva trovato dei mandorli in fiore e ne aveva staccato un rametto. Mentre lo portava su per la montagna, il rametto di fiorellini rosa divenne una verga da rabdomante, che passo dopo passo, quanto più si avvicinava alle misere case sull’altura, tanto più lo riportava a ricordi sempre più belli. E quando a sera – si era già fatto buio –  mise piede sul pavimento di terra battuta della casa, dove tra i letti stavano seduti il padre e la madre e i fratelli più giovani, la sua profonda sensazione che con la sua ricomparsa avrebbe fatto una gioiosa sorpresa ai genitori giunse al culmine.

Il padre andò all’osteria a comprare il vino e furono chiamati i vicini. Tra loro c’era anche la piccola Antonia, che per tutta la sera guardò con un’espressione di sorpresa colui che era tornato a casa dopo tre anni. Beniamino raccontò – erano state accese due lampade ad olio – degli iceberg, delle nebbie, delle nevose città del nord; descrisse i suoi compagni e ogni tanto parlava norvegese e inglese, per far vedere ai suoi ascoltatori tutto quello che aveva imparato.

Il giorno dopo, come in sogno, andò in giro per le poche case del posto, andò su e giù per le terrazze dove i contadini stavano zappando; dovette assaggiare formaggio e bere vino; e il piccolo villaggio nativo gli apparve come la prua di una nave gigantesca, che frusciando era tornata con lui nel sole e nella beatitudine della sua giovinezza. Di sera si sedevano di nuovo insieme, e di nuovo lui era al centro di un cerchio che ascoltava con il fiato sospeso. Antonia gli era seduta accanto, e mentre raccontava di taverne, di allegri compagni e di donne, avvertì un dolore bruciante al piede. Antonia, che attizzava il fuoco, lo guardò dal basso in alto con un sorriso scintillante. Gli aveva causato questo dolore con un pezzetto di brace. Lui arrossì e sfregò la parte dolorante, nessuno ci aveva fatto caso. Ma subito dopo disse: «Domani devo alzarmi presto, molto presto, avete una sveglia?»

Illogicamente, nella sua prima gioia, non aveva ancora detto a nessuno quanto sarebbe stata breve la sua visita. E ora che la madre e il padre e anche i vicini erano balzati in piedi – Antonia taceva – richiese ostinato la sveglia. Allora Antonia disse che i suoi genitori ne avevano una e che sarebbe andata a prenderla. La sera era ancora lunga. Beniamino bevve molto vino e, quando tutti se ne erano andati, farfugliando pregò ancora una volta sua madre di svegliarlo per tempo. Quando la mattina aprì gli occhi sua madre gli stava davanti, preoccupata ma sorridente: purtroppo erano già le nove, forse si era ubriacata anche la sveglia. Con un balzo saltò fuori dal letto, e in dieci minuti, dopo aver salutato in fretta e furia, scese a precipizio la scalinata verso il mare.

Poiché l’autobus era già passato da molto tempo, prese una carrozza. Quando arrivò al porto di Napoli, l’”Annamaria” aveva levato l’ancora giusto due ore prima.

Dapprima rimase lì imbambolato con la sua valigetta che per la fretta aveva legato con una corda. Alla fine scosse il capo, con le sopracciglia dolorosamente aggrottate, e con le labbra tremanti sussurrò alcune volte il nome della nave che gli si era dileguata davanti. Non lo sfiorò il pensiero di farsi ingaggiare su un’altra nave, pensava solo all’”Annamaria”, pensava al buon vecchio capitano e ai giovani compagni. Alla sola idea che lo avrebbero potuto scambiare per un disertore, sentì un brivido. Era corso troppo velocemente giù per la scalinata dalla montagna e anche nel porto ora forestiero aveva continuato a correre qua e là come un cavallo imbizzarrito. Con la schiena madida di sudore, stanco, gironzolò sul molo per ore. Si fece notte e non se ne accorse. Il giorno dopo ricomparve dai genitori. Posò la valigetta e rimproverò la madre di non averlo svegliato per tempo. Ci fu una discussione e vi prese parte anche il padre; questi alla fine gli disse che se era tornato solo per mettere la casa sottosopra, allora poteva anche andarsene.

Senza ribattere, Beniamino lasciò la casa e salì sul monte più alto, fino al punto da cui poteva avere una buona visuale. L”’Annamaria” ora stava navigando sicuramente davanti a Palermo, forse già più a sud. Quando infine si guardò intorno, gli olivi, le terrazze, le rocce calcaree, tutto ciò che il giorno prima era

ancora pieno di ricordi, gli parve desolato e noioso. Tornò a casa. Il padre era nella stanza del formaggio, vicina alla camera da letto. Su una mensola, vicina alla porta, c’era sempre infilato in una brocca il rametto di fiori di mandorlo, che l’altro ieri aveva risvegliato in lui, passo dopo passo, gli anni della sua giovinezza. Alla parete di fronte c’era appesa una treccia di aglio e pomodori secchi. Sul tavolo c’era una grossa ciotola di coccio piena di latte che sapeva di acido. Fece un paio di passi e uscì di nuovo. Nell’oscurità incontrò Antonia.

Lei sorrise felice: «Adesso rimani qui, vero?» Fece spallucce e alzò il naso fiutando l’aria. Probabilmente sarebbe venuto a piovere anche quella notte, disse e proseguì da solo. Restare qui, zappare terrazze, portare il carbone a valle, fare formaggio? E l’anno prossimo sposarsi, mettere radici in questa zolla di terra? L’anno prossimo? In che porto sarebbe stata l’”Annamaria” l’anno prossimo in questo periodo? Forse in Australia? Non aveva ancora visto questo paese. Una volta a scuola l’aveva confusa con l’Austria. Ha i brividi e batte i denti.

Arrivato a casa Beniamino si tolse la divisa da marinaio e si mise a letto. La madre pregò il bottegaio di mandar su il dottore, quando fosse sceso a Positano. Beniamino stava nel letto dei genitori, suo padre dormiva accanto a lui, sua madre nell’altro letto. Prima ancora che il dottore arrivasse era di nuovo in piedi.

Il dottore gli batté tranquillamente sulla nuca, come a un cavallo robusto, assicurando alla madre che Beniamino era solo un po’ nervoso e raffreddato. Beniamino con brividi e tosse continuò per alcune settimane a camminare sotto la pioggia che per giorni interi cadde sulla montagna e che non lo tratteneva in casa: la pioggia lo guarisse, diceva lui – e morì silenziosamente, la mattina presto del primo bel giorno di primavera; i genitori si erano accorti della sua morte solo un’ora più tardi.

Quella mattina era uscito improvvisamente da quel suo silenzio, che ai genitori era parso un faticoso protendersi in ascolto, e aveva sussurrato all’orecchio della madre: «Il dottore ha ragione, non sono malato. Ma non posso restare qui, per me c’è troppo odore di latte acido e di formaggio!»

La madre e tutti quelli a cui ripeteva le ultime parole di Beniamino erano però convinti che avesse parlato sotto l’effetto della febbre. Non sapevano che profumi ci sono su una nave che, spinta da venti puliti, solitaria solca l’oceano deserto.

redazione
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