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Gaetano Afeltra, il mago-direttore «milanese di Amalfi» che sapeva far scrivere i giornalisti

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di EMILIANO AMATO

Gaetano Afeltra, una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano, era nato ad Amalfi l’11 marzo 1915. Penultimo di nove fratelli, figlio del segretario comunale della città marinara, ha vissuto la passione del giornalismo fin da giovanissimo sulle orme del fratello Cesare, di 13 anni più adulto. Gaetano arrivò a Milano la notte del 25 settembre 1934: il fratello andò a prenderlo alla stazione e passando per via Solferino si fermò davanti al Corriere della Sera, mostrandogli la finestra della stanza dove aveva lavorato fin quando ne era stato allontanato come antifascista. Cesare ormai era impiegato all’Ente Risi (morì poi nel 1940) e lì andò anche Gaetano, a scrivere indirizzi sulle buste.

Ma la passione per i giornali non si affievoliva e il fratello, che per la propria amara esperienza inutilmente aveva tentato di dissuaderlo, decise allora di insegnargli il mestiere: comprava due o tre giornali e gli faceva rifare titoli e articoli, in una sorta di virtuale routine redazionale. Contemporaneamente gli faceva anche frequentare i nomi celebri della letteratura e del giornalismo, come Monelli, Quasimodo, Zavattini, Carrieri, Bergeret.

Arrivarono le piccole collaborazioni e la prima grande occasione all’Ambrosiano, un giornale della sera dove Afeltra firmava con lo pseudonimo di Omicron. Finalmente, era la fine del 1942, il direttore del Corriere, Aldo Borelli, lo notò e lo chiamò. Afeltra ha raccontato il suo esordio, una domenica, come «impaginatore»: il redattore capo si era dimenticato di lasciargli i titoli preparati per i testi e così dovette arrangiarsi, dando fondo alla fantasia che aveva sperimentato all’ Ambrosiano.

Poi tutta la notte restò sveglio per l ‘agitazione ma il giorno dopo ebbe la soddisfazione di un immediato aumento-premio sullo stipendio. La sua carriera giornalistica era davvero iniziata. Venne il 25 luglio 1943 e fu proprio il giovane redattore l’uomo-chiave del giornale. Dopo l ‘8 settembre Afeltra, come Montanelli e altri del Corriere, dovette nascondersi e tenne i contatti tra i capi della Resistenza e il mondo del giornalismo. Tornò in via Solferino il 25 aprile 1945 e fu tra quelli che dal balcone festeggiò la liberazione di Milano e del suo quotidiano. La fase di transizione lo vide ragazzo-direttore nell ‘alba della democrazia italiana. A lui fu anche affidata la nascita di Milano Sera, una nuova testata del pomeriggio che durò fino all’ affermarsi della repubblica, facendo poi rifluire tutte le «firme» in via Solferino. In quegli anni si è formato il mito di Afeltra gran facitore di giornali, scopritore di talenti, abilissimo nei titoli, maestro di «cucina», tormentatore di inviati.

Al Corriere della Sera ha percorso tutti i gradini, fino al penultimo, quello di vicedirettore. Direttore è stato invece al Giorno, d al 1972 al 1980, negli anni bui del terrorismo . Poi ha ripreso a collaborare con il Corriere e di nuovo col Giorno. A lui si devono delle intuizioni che resistono all’assalto delle nuove tecnologie come il dialogo con i lettori e la pagina economica. La sua abitudine di storpiare i nomi e di indulgere sull’ accento da «milanese di Amalfi» tante volte è stata oggetto di battute. Era vero comunque che scriveva ma soprattutto sapeva far scrivere gli altri, influenzandoli con forte personalità, grande intuito, enfasi e suggestioni. Precursore del giornalismo-spettacolo, mago di redazione prima che grande firma, di questo suo essere eminenza grigia si è compiaciuto.

E ha iniziato a scrivere in proprio quando ha smesso di far scrivere gli altri. Ne sono usciti libri importanti per capire la storia del giornalismo (come Corriere primo amore del 1984 e Missiroli e i suoi tempi del 1985). Afeltra, che non ha mai avuto la patente e non ha mai imparato a nuotare e ad andare in bicicletta, prese la prima volta l’aereo per recarsi al funerale di Moro che stimava molto. Come molti giornalisti della sua generazione, Afeltra ha vissuto il suo mestiere in modo totalizzante. Sposato, ha avuto una figlia, Maddalena, ma quel suo essere legato visceralmente al giornale lo ha portato a vivere fuori casa, in albergo. Da dove poteva continuare a pensare alle pagine, chiamando anche in piena notte corrispondenti e inviati. Morì a Milano il 9 ottobre 2005. È rimasta famosa una sua telefonata, quando con aria amabilissima ordinò a un collega: «Dormi pure due ore, riposati bene e alle cinque dettami un bel pezzo».

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