di ALESSIO VLAD*
Nell’estate del 1953, su iniziativa dell’Ente Provinciale per il Turismo di Salerno, nel 70° anniversario della morte di Richard Wagner, vedeva la luce il Festival di Ravello.
Quest’anno la settantesima edizione.
In apertura, lo stesso programma wagneriano e la stessa orchestra della prima volta.
Insieme al Maggio Musicale Fiorentino, nato nel 1933, e alle manifestazioni nate, anche loro, nei primissimi anni ’30 del secolo scorso intorno alla Biennale di Venezia, quello di Ravello è il più vecchio tra i Festival che hanno animato la vita culturale del nostro Paese; solo per citarne alcuni, quello di Spoleto nasce nel
1958, quello di Pesaro nel 1980 e quello di Ravenna nel 1990; ognuno con caratteristiche e impostazioni diverse.
Fin dall’inizio Ravello si è imposto e caratterizzato grazie ad un rapporto tra musica e paesaggio che ha reso uniche le rappresentazioni concertistiche sul palco di Villa Rufolo facendo sì che su quel palco si esibissero alcuni dei più importanti esponenti del mondo musicale internazionale.
Oggi è un altro il punto che mi preme sottolineare.
Ho sempre voluto considerare la visita di Wagner a Ravello come lo spunto per rappresentare l’incontro tra culture e mondi lontani che, in nome di un’attrazione estetica, hanno voluto individuare e poi condividere radici comuni.
In questi ultimi anni l’Europa non ha mai attraversato un periodo drammaticamente tragico come quello che stiamo vivendo.
Allora, mettendo da parte ogni settarismo e qualunque faziosità, la musica, che pone al centro della sua realizzazione la necessità dell’ascolto reciproco, diventa, non solo simbolicamente, il mezzo ideale perché ci si incontri, liberamente e senza pregiudizi.
In questo senso quell’attrazione estetica che ha fatto sognare i grandi viaggiatori e gli intellettuali dei secoli passati si traduce necessariamente in un sentimento etico, oggi quanto mai irrinunciabile, dove le barriere possono, almeno idealmente, essere affrontate con un confronto non solo consapevole che, pur non derogando a principi universali, sia sempre aperto, sincero, non strumentale e privo di retorica.
Vorrei, quindi, che Ravello, in quanto Città della musica, celebri i 70 anni del suo festival con questo spirito, affermandosi, una volta di più, come luogo dove l’incontro generi dialogo.
*Direttore artistico del Ravello Festival