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La Settimana Santa tra storia, liturgia e tradizione

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La Settimana Santa è il tempo più fecondo e più augusto che la Chiesa celebri nell’anno. La celebrazione della Settimana Santa è antichissima, tanto che ne troviamo menzione nelle Costituzioni Apostoliche non più tardi del III secolo, e nelle opere dei Santi Padri che fiorirono nel IV. La troviamo distinta con mistici nomi, a seconda dei misteri e delle cerimonie con le quali era celebrata: tra questi ricordiamo quello di “Settimana grande”, come la chiama san Giovanni Crisostomo; “Settimana maggiore”, ossia la più augusta di tutte le settimane dell’anno; “Settimana d’indulgenza”, per la riconciliazione dei peccatori e il Battesimo dei Catecumeni che avveniva nel corso di essa; “Settimana di fatiche e di stenti per le austerità che vi esercitavano i fedeli; “Settimana ultima”, poiché pone termine alla penitenza della Quaresima; “Settimana autentica”, ossia domenicale, per essere la Settimana tutta propria del Signore; e infine “Settimana Santa” per eccellenza, a causa della santità dei misteri e la sublimità delle funzioni in essa celebrate. Chiediamoci oggi se riusciamo concretamente a compiere tutto ciò! In queste poche righe meditative e di storia della Grande Settimana ciascun credente dovrebbe restare in atteggiamento silenzioso e orante. Gli antichi figli della Chiesa s’ingegnavano di distinguere questo tempo dalle precedenti settimane col raddoppiare la devozione, pregando gran parte del giorno col Clero in chiesa, con la pratica del digiuno e col congedarsi dalle opere profane, chiudendo i tribunali alle questioni degli uomini, con le processioni penitenziali degli incappucciati tipiche anche delle nostre zone.

Le cerimonie celebrate dalla Chiesa nella Settimana Santa sono: la benedizione e processione dei rami di palma nella Domenica detta appunto seu in Palmis; la consacrazione degli Olî e la lavanda dei piedi nel Giovedì; l’adorazione della Croce nel Venerdì; la benedizione del cero e del fonte battesimale nel Sabato.

Ma andiamo con ordine: La benedizione e processione dei rami si fa in memoria della solenne entrata di Cristo in Gerusalemme, quando le folle giudaiche la Domenica prima di Pasqua,andarono ad incontrarlo fuori delle porte della città con rami di palma in mano. Ai rami di palma, che in Occidente è rarissima, la Chiesa latina sostituisce quelli di olivo, pianta molto idonea a simboleggiare quella pace e mansuetudine che, in quell’occasione particolare, trasparivano dal Volto benedetto del Redentore. In questo tempo particolare sventoliamo quei rami ancora più forte, per chiedere davvero il dono della pace nel mondo.

La consacrazione degli Olî celebrata il mercoledì o il giovedì santo mattina è riservata solo al Vescovo. Gli Olî da consacrarsi sono il Crisma, adoperato nel Battesimo, nella Cresima, nella Ordinazione dei Sacerdoti e dei Vescovi, e un tempo nell’Incoronazione dei Re;(l’Olio dei Catecumeni, nelle cerimonie previe al Battesimo solenne,) l’Olio degli infermi, detto comunemente Olio santo per il Sacramento degli Infermi.

Il Triduo Pasquale, cosi denominato dopo la riforma liturgica del Vaticano II, infatti, veniva chiamato Sacro Triduo, ha inizio il giovedì sera con il rito della lavanda dei piedi che non è una funzione riservata solo al Clero. Fu istituita da Cristo nell’ultima cena quando diede agli Apostoli il comando di amarsi vicendevolmente, e di quell’amore diede Egli medesimo un gran segno di lavar loro i piedi. Ecco perché la lavanda si trova nei libri liturgici, accennata col nome di Comando. Il rito della Consacrazione degli Olî e della lavanda dei piedi pare a noi derivato dalla pratica medesima degli Apostoli.

Il venerdì, giorno dove per antichissima tradizione la Chiesa non celebra la Santa Messa, ma bensì l’adorazione della Croce, che fa parlare Cristo medesimo al suo popolo, per dirgli quanto Egli abbia

sofferto per lui, di quanti benefici lo ha colmato, e con quante ingratitudini è stato corrisposto. Questi rimproveri, che partono da un Cuore tutto amore per gli uomini, la Chiesa li pone sulle sue labbra, in questo giorno di dolore, non per altro fine che per muovere i suoi figli a riconoscere in se medesimi la causa della morte del Salvatore, a umiliarsi dinanzi a Lui e a lavare nel Sangue di lui le proprie colpe. In questo giorno di universale salvezza, in cui Gesù Cristo nostro Maestro pregò per tutti, anche per i suoi persecutori, la Chiesa non esclude nessuno dalle sue preghiere; e perciò i figli che si sono separati dal suo seno, gli Ebrei, come pure i Pagani, tutti partecipano dei suffragi di Lei. La Chiesa si astiene però dall’offrire il sacrificio dell’Altare, ossia dal celebrare la Santa Messa, per rispetto al Sacrificio cruento che il vero Sacerdote, Gesù Cristo, offrì quest’oggi sulla Croce all’Eterno suo Padre. Difatti in questo giorno i sacri altari restano spogli, così come le sacre immagini continuano a restare velate fin dalla Quinta settimana di Quaresima. Questa giornata inoltre è caratterizzata dal silenzio che scandisce tutto il tempo liturgico.

Inizia sempre nel silenzio la liturgia del Sabato santo che a dirla con Sant’Agostino: è la madre di tutte le veglie.

La pubblica benedizione del cero pasquale, e l’accendersi di esso nelle Messe solenni dalla Pasqua all’Ascensione, è pur essa già da molti secoli in uso nella Chiesa, come simbolo della gloriosa Risurrezione di Cristo e della luce del Vangelo che si propagò tra tutte le genti. I tempi posteriori gli hanno attribuito il significato della colonna di fuoco, che guidò gli Israeliti nel deserto; e il vederlo acceso durante il tempo pasquale sembra indicare anche la Pasqua che quel popolo celebrò per tanti anni nel suo terreno pellegrinaggio.

Questa benedizione venne composta da sant’Ambrogio, per decreto di Zosimo, Sommo Pontefice.

Più antica della benedizione del cero è quella del fonte battesimale, poiché di questa ne parlano i Padri del IV, del III e anche del II secolo. Benedetto e consacrato il fonte secondo il rito nel Messale, il Vescovo procede a battezzare solennemente i bambini. Nei primi tempi della Chiesa vi era l’uso di non conferire il Battesimo se non agli adulti. Questi venivano prima istruiti sulle cose della nostra santa Fede, e il tempo di tale istruzione, ch’era almeno di tre mesi, si chiamava “catecumenato”. Erano poi i Catecumeni divisi in due classi, i Novizi e i Provetti, dei quali gli ultimi erano propriamente detti Competenti o Illuminandi: “Competenti”, perché insieme chiedevano il Battesimo, “Illuninandi”, a causa del lume della grazia che stavano per ricevere nel Sacramento. La Domenica Santa si presentavano in chiesa domandando di poter fare la professione di fede; al Giovedì Santo si lavavano il capo sparso dalle ceneri della Quaresima, e nel Sabato Santo erano poi battezzati. Ricevevano ed indossavano una veste bianca, simbolo dell’innocenza battesimale.

In memoria di ciò, la Domenica dell’Ottava di Pasqua porta ancor oggi il nome di “Domenica in albis depositis”, o delle vesti bianche dimesse. Nel canto del Gloria e dell’Alleluia la Chiesa esulta per la resurrezione del Signore, gli Altari vestiti a festa, il suono delle campane e dell’organo sono il segno esteriore e visibile di una gioia profonda che viene testimoniata durante questa solenne liturgia.

La Vigilia Pasquale è anche il simbolo dell’attesa del Giudice Divino. Questi ci ha avvertito che verrà quale un ladro di notte, e poiché è in gioco l’affare più importante della nostra vita la nostra eterna salvezza, nessuna precauzione è da considerarsi esagerata quando si tratta di ben disporci a quel tremendo istante dal quale dipende la nostra eternità. Gli antichi, durante la Veglia Pasquale, attendevano il compimento della desiderata parusía del Redentore.

Del tempo in cui essa verrà noi non sappiamo nulla; solo sappiamo che essa giungerà quando meno ci si penserà. Ma non è solo la parusía che è improvvisa; durante la giornata cristiana, Gesù viene a noi tante volte, improvvisamente, con le sue grazie: guai a lasciarsele sfuggire! Esse passano e non ritornano. Una grazia che Dio ci offre oggi, e che noi ci lasciamo sfuggire, sarà come un prezioso tesoro che a causa della nostra incorrispondenza è perso per sempre.

Viviamo la Pasqua non passivamente ma consciamente per il grande mistero di Redenzione che Gesù ci ha fatto offrendo se stesso per noi.

Salvatore Cascetta

Foto: Giuseppe Proto

redazione
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