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Le Idi di Marzo: chi è stato il traditore?

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di NOVELLA NICODEMI

Shakespeare nella tragedia Giulio Cesare fa dire a Calpurnia la frase profetica: Guardati dalle Idi di Marzo! Ma perché la locuzione oggi viene adoperata come avvertimento per qualcosa di brutto che sta per succedere?

Le Idi nel calendario romano erano i giorni che indicavano più o meno la metà del mese. Quelle di Marzo sono diventate proverbiali nel nostro linguaggio comune perché collegate alla morte di uno degli uomini più famosi della storia.

Il 15 marzo ricorre infatti l’anniversario di uno degli eventi più atroci della storia di Roma repubblicana: il brutale assassinio di Caio Giulio Cesare. Uno dei più grandi enigmi dell’antichità, ancora oggi oggetto di indagine da parte degli storici.

Quella mattina del 15 marzo del 44 a.C. Cesare uscì di casa senza scorta.

Era stato convocato con un pretesto a una riunione del Senato nella Curia Pompeia, all’interno del più ampio complesso del Teatro di Pompeo.

Tullio Cimbro si lanciò ai suoi piedi e gli tirò la toga, segnale premeditato da un numero cospicuo di senatori (da 60 a 80) che avevano ordito la congiura per frenarne la scalata al potere assoluto. Il condottiero era colpevole, a loro vedere, di voler smantellare la vecchia Repubblica Romana per accentrare tutto il potere nelle sue mani.

Dopo la Guerra Civile (49 a.C – 45 a.C) e la definitiva vittoria su Pompeo, infatti, Cesare aveva assunto la carica di dittatore a vita nel 44 a.C ed aveva anche designato un successore.

A capeggiare i cospiratori furono Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino.

Quando il generale notò tra i congiurati suo figlio adottivo Bruto, si coprì il capo con la toga, cadde ai piedi della statua di Pompeo, e si lasciò pugnalare per ben 23 volte.

Stando a quanto riportato dalle fonti, non pronunciò realmente la straziante frase Tu quoque, Brute, fili mi” (Anche tu, Bruto, figlio mio!), riportata nella ricostruzione dello storico Svetonio, probabilmente per conferire patos ad una scena intensamente drammatica. Una cosa è certa: nel momento in cui stava morendo, avrà pensato con dolore di essere stato tradito dai suoi affetti più cari.

Questo anche il pensiero e il sentimento di Dante, che  colloca Bruto e Cassio nella quarta zona di Cocito (IX Cerchio dell’Inferno), la Giudecca, dove sono puniti i traditori dei benefattori. Sono dilaniati dalle bocche laterali di Lucifero che li maciulla coi suoi denti: a sinistra, nella faccia nera, Bruto, che si contorce senza parlare; a destra, nella faccia giallastra, Cassio.

Come Giuda, traditore di Cristo,  è anche traditore della Chiesa, così i due cesaricidi per Dante sono anche traditori dell’istituzione imperiale.

Considerando questo evento dalla prospettiva inversa, sarebbe invece stato Cesare il vero traditore, un nemico dei valori di Roma repubblicana. Osannato dal popolo, il generale era in procinto di attuare un ambizioso piano espansionistico verso Oriente, la più gigantesca missione militare mai vista a Roma: la creazione di un vasto Impero dalla Britannia all’India.

Se Cesare vedeva nell’acquisizione di nuove terre la soluzione alla crisi ormai irreversibile della res publica romana, la classe senatoria intendeva preservare a tutti i costi la tradizione Repubblicana.

Bruto e Cassio vennero sconfitti da Marco Antonio nella battaglia di Filppi (42 a.C.) ed entrambi si uccisero. I due successori del condottiero, Marco Antonio e Ottaviano, si contesero il potere fino a quando e quando quest’ultimo prevalse: la gloriosa ‘eredità di Cesare venne raccolta da Ottaviano, suo nipote nonché altro figlio adottivo, che sarebbe poi diventato il primo imperatore di Roma.

redazione
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