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L’infinita pietas di Mamma Lucia

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di RITA DI LIETO

Quarant’anni fa, il 27 agosto 1982, moriva a Cava dei Tirreni Lucia Apicella, “Mamma Lucia”, la coraggiosa e sensibile donna dedita al recupero delle salme dei soldati tedeschi, caduti nel settembre 1943 nello stretto varco tra Vietri sul Mare e Cava dei Tirreni, in scontri all’ultimo sangue, per impedire agli Alleati sbarcati a Salerno di dirigersi a Napoli attraverso l’agro nocerino-sarnese.

Nello scorrere del tempo, ella ha continuato ad essere il loro nume tutelare: la sua opera caritatevole ha contribuito oggi a dare a quei poveri resti, non sempre identificati dal piastrino di riconoscimento, un volto e a render nota la gloriosa storia del loro sacrificio. Nonché a restituire al mondo la memoria di una battaglia dimenticata ealla Germania un luogo di memoria mancato.

La luminosa figura di Mamma Lucia rivive nelle pagine del libro di

Francesco Lamberti, Salerno, Settembre 1943. I combattimenti al caposaldo ‘San Liberatore’, JoveneEditore, Napoli2022. Presentazione di Lutz Klinkhammer, Prefazione di Fabio Fini.

Un saggio storico che sviscera ogni aspetto di una “determinante battaglia” della seconda guerra mondiale, risultato di una ricerca condotta “in sinergia d’intenti con l’Istituto storico germanico nella persona del suo vicedirettore, prof. Lutz Klinkhammer,” al fine di ricostruire i combattimenti che hanno avuto luogo dal 9 settembre 1943 nella zona tra Vietri sul Mare – Maiori – Agerola – Cava dei Tirreni”.

Uno studio nato dal desiderio di Italia e Germania di approfondimento comune sul passato di guerra italo-tedesca come contributo alla costruzione di una comune cultura della memoria.

Nel novembre 2008, infatti, durante un vertice bilaterale italo-tedesco a Trieste, dopo aver visitato la Risiera di San Sabba, i ministri degli Esteri Franco Frattini e Krank-Walter Steinmaeier decisero di creare una Commissione di cinque storici italiani e cinque tedeschi, nominati dai rispettivi governi, cui si garantiva piena autonomia. La Commissione storica s’insediò nel marzo 2009 presso il Centro italo-tedesco di Villa Vigoni sul lago di Como.

Il Monte San Liberatore, vera e propria sentinella naturale del passo della Molina di Vietri, dal 1942 al 1943 fu fortificato dalla stato italiano con la costruzione di 16 bunker. Divenne così il caposaldo militare che permise ai Tedeschi, bersagliati dal mare e dal cielo, anche con bombe al fosforo, di fermare per ben 21 giorni l’avanzata degli Alleati, mentre più a nord veniva apprestato tra Gaeta ed Ortona, lo sbarramento difensivo germanico che tagliava in due l’Italia dal Tirreno all’Adriatico ed aveva, sulla via per Roma, come fulcro Montecassino. Una divisione che equivaleva all’occupazione militare tedesca dell’Italia centro-meridionale.

Ventuno giorni per solo quattro chilometri

L’autore, vissuto a Cava dei Tirreni fino all’età di 18 anni, sin da ragazzino aveva provato un’attrazione magnetica per quei bunker. Vi trascinava i timorosi cugini nella speranza di trovarvi un qualche oggetto che ricordasse i soldati lì asserragliati.

Preziosi per comprendere l’andamento della battaglia, in cui furono coinvolti tutti i villaggi di Cava a partire da Dragonea, sono stati: il diario del II Battaglione del Battaglione panzergrenadier, scritto dal Tenente Oetterer, rinvenuto e tradotto dal prof. Klinkhammer, conservato nell’Archivio centrale militare tedesco a Friburgo,in Brisgovia, e una breve testimonianza privata, solo poche pagine del taccuino del Sottotenente Klaus Arnheiter, uno dei comandanti di Compagnia del II Battaglione, conservata in copia, nell’archivio dell’Istituto Germanico di Roma.

L’elevato numero di salme raccolte da Mamma Lucia è la prova della ferocia di quei combattimenti, spesso anche a corpo a corpo, per cui i cadaveri dei soldati tedeschi, non addestrati a tale genere di lotta, cosparsero ogni anfratto del territorio. I ritrovamenti della pia donna, registrati ed archiviati con cura dal Comune di Cava dei Tirreni, sono consultabili presso la Biblioteca comunale.

Lucia Apicella ha raccontato di aver avuto un sogno: aveva visto otto croci bianche sulla montagna e dalle tombe uscire otto morti con le braccia alzate che le dicevano:”Riportaci dalle nostre madri… in Germania”. Ed ha iniziato la sua ricerca, il 24 maggio 1946.

Prima di ogni scavo pregava il cuore di Gesù e Sant’Elena, l’imperatrice che aveva rinvenuto a Gerusalemme la vera Croce, “vi prego di aiutarmi. Io so soltanto che li devo rendere alle loro mamme”. Poi si rivolgeva al soldato morto: “bell’i mamma soia, che brutta fine ti ha riservato il destino! Solo, straziato dalla guerra, lontano dai tuoi genitori in terra straniera… ma non ti preoccupare, ora ci sono io qui con te,vicino a te, tu mò non sei più solo… tu mi hai chiamato ed io sono qui, ti voglio riportare all’amore della tua mamma lontana… vedi, io non ho paura delle bombe, perché sento che tu mi guardi e mi proteggi”. Aiutata da sua cugina Carmela Matonti Passaro e dalla sua nipotina Maria Sorrentino, ripuliva i resti putrefatti e i loro oggetti personali: anelli, orologi, foto o altro, e li riponeva in cassette di zinco comprate a sue spese, che dall’estate 1948 furono custodite nella chiesa di San Giacomo minore, al Borgo Scacciaventi, che divenne così il Sacrario dei caduti tedeschi. Le salme in seguito furono traslate nei cimiteri militari germanici di Pomezia o di Montecassino.

Più di mille madri tedesche le scrissero, quando seppero della sua opera di carità cristiana.

Nel luglio del 1951 fu invitata in Germania dal Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Theodor Heuss, che la insignì della Croce al merito.

Una ricerca molto complessa. Nel suo libro, Salerno, Settembre 1943, I combattimenti al caposaldo ‘San Liberatore’, Francesco Lamberti si è avvalso della collaborazione degli storici locali, Giuseppe Fienga, Antonio Cantoro ed Aniello Tesauro. È stata indagata, inoltre, ogni fonte disponibile. Ogni singolo episodio è stato raffrontato nella versione tedesca e in quella alleata, corroborata dai racconti dei testimoni italiani e dal controllo degli archivi, in una ricchissima documentazione di note, bibliografia, schede e foto.    

Un importante contributo è stato l’hobby per il collezionismo di militaria del suo amico Federico Criscuolo, che ha raccolto le lettere di lutto delle famiglie dei caduti con la foto del loro caro, data e luogo del decesso, consentendo di dare un volto a qualche salma esumata da Mamma Lucia e di individuarne il successivo luogo di sepoltura.

Un episodio riguarda più da vicino la Costiera:

Il 9 settembre 1943 la F Company dei ranger sbarcati a Maiori fu inviata verso Salerno. Prima e dopo Capodorso c’erano due presidi fortificati della difesa marina dipendenti da Napoli. Nel primo c’era una ventina di militari al comando di ‘un sergente molto spaventato’, non al corrente forse della resa italiana, che aprirono il fuoco contro gli Americani, i quali risposero infliggendo loro delle perdite. Al che i sopravvissuti si arresero. Nell’altro presidio, a tre Km. di distanza, tre ranger furono feriti da colpi di mortaio, prima che i soldati si arrendessero. I ranger lasciarono un plotone a guardia del posto e tornarono a Maiori con i feriti, sia americani che italiani, portati dai prigionieri su barelle di fortuna.

È stato, questo, l’ultimo scontro tra Alleati ed Italiani ad armistizio già annunciato.

redazione
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